Populu calavrisi ti ringraziu
ca ppe' cangiari hai votatu Agaziu

Speramu mo' ca ppe' pagari daziu
nun faci nu guvernu ch'è nu straziu!

Così commenta il risultato elettorale l'anonimo cantastorie, un modesto aedo calabrese. 

Non vi è alcun dubbio su chi ha perso le elezioni in Calabria, nell'ultima tornata elettorale. Per il centro-destra è suonata la settima tromba dell'Apocalisse e dopo dieci anni è stata mandata all'opposizione. Si è trattato di un vento gelido di "tremontina" che ha investito tutta l'Italia, ma che in Calabria assume connotati un po' peculiari.

Prima di tutto bisogna rendere merito al Consiglio uscente per avere approvato all'ultimo minuto una legge elettorale che deve essere considerata largamente positiva. Ha contribuito a limitare la proliferazione delle liste, con una semplificazione del quadro politico senza impedire una adeguata rappresentanza della componenti politiche e culturali più significative nella regione. L'unica vittima eccellente è il partito del Sole che ride, che deve porsi, con una certa urgenza, il problema di ricollocarsi per affinità elettive, senza disperdere il patrimonio di idee e di esperienze fin qui accumulato. Non ha trovato alcun riscontro, al contrario, è risultata infondata la paura del Centro-sinistra di poter essere danneggiata da un sistema che favorisce la semplificazione e l'opportunità di una sintesi tra formazioni simili. L'esigenza di superare lo sbarramento ha imposto un'aggregazione che certamente è positiva. Resta lo sconcerto per la presenza di un listino che risulta contrario alla logica ed al buon senso democratico, poiché la "sana" competizione che si determina all'interno di un sistema proporzionale ha consentito un rinnovo della rappresentanza. L'elettorato ha fornito in alcuni casi una indicazione assai distante da quelle effettuate in via prioritaria dagli apparati dei singoli partiti. Il nuovo Consiglio è rinnovato in profondità, per un circa un terzo, in conseguenza del cambio di maggioranza. È un elemento di dinamicità: si è formata un'Assemblea più rappresentativa. Vi sono stati anche alternanze inaspettate nei singoli partiti. Il caso più evidente è quello di Damiano Gagliardi, che si è visto scavalcato dal giudice Egidio Masella. E non è certo l'unico caso. L'immediata soppressione del listino, che costituisce un bunker di protezione per la nomenklatura,  sarebbe un segnale molto positivo. 

Passando a commentare il risultato elettorale non si può non ricordare che la Calabria è l'unica Regione in cui non è stato ricandidato il Presidente uscente, e già questo è un chiaro segno di scarso apprezzamento del suo operato da parte della sua stessa coalizione. A questo si deve aggiungere la singolarità di un ex-Presidente candidato nella stessa coalizione che ha rinnegato quella esperienza, unendosi ai critici sull'idoneità della classe dirigente espressa dalla CdL.

La campagna elettorale si è caratterizzata per lo strano caso di Sergio Abramo, candidato della coalizione uscente e continuatore di quella politica, a voler rappresentare l'unica reale alternativa, interpretando il ruolo dell'oppositore con critiche feroci e radicali all'operato del suo predecessore. Benché il suo volto fosse nuovo sulla scena regionale, dietro le sue spalle ed ad applaudirlo in platea vi erano gli stessi personaggi che avevano collaborato con il Governatore uscente e condiviso con lui tutte le scelte. Non si ricordano voti contrari o accese discussioni in merito ai provvedimenti o sull'operato della Giunta da parte della maggioranza. Verrebbe da dire che nemmeno l'opposizione si è dimostrata un osservatore attento, che abbia frustato la maggioranza e denunciato i suoi errori. 

Giuseppe Chiaravalloti, così, non solo è stato giubilato senza tanti complimenti, ma ha anche dovuto subire l'onta di un processo pubblico da parte dei suoi stessi collaboratori. Pressoché tutti i consiglieri uscenti, infatti, erano allegramente candidati per il nuovo Consiglio regionale. Essi magnificavano il loro operato, rivendicando meriti e contributi alla crescita della regione, facendo ricadere tutte le colpe della cattiva amministrazione su un unico capro espiatorio. 

In aperta contraddizione con la bocciatura senza appello riservato al governo regionale uscente, molto sorprendente è il bassissimo tasso di rinnovamento degli eletti nello schieramento uscente. La quasi totalità sono riconferme, ed addirittura tre di essi (Pino Gentile, Roberto Occhiuto e Giovani Dima) sono tra i più votati nella regione. La débâcle elettorale punisce, così, la politica della giunta, ma ne salva i "beniamini", come se non fossero proprio costoro i veri responsabili di un disastro. 

Vi è stato un rilevante spostamento di voti tra le due coalizioni, coloro che sono rimasti fedeli, però, hanno dimostrato di avere un rapporto molto stretto e personale con i rappresentanti, generando un blocco monolitico attorno al leader riconosciuto. I partiti non sono più macchine elettorali ed organizzative, ma il loro destino è fortemente condizionato dalle personalità che vi militano e che ad essi fanno riferimento. Persino tra il più granitico di essi, il PdS, l'esito elettorale è strettamente controllato dai singoli candidati.

Tra i tanti temi che potevano essere affrontati in una campagna elettorale così complessa è apparso che l'appiattimento dello sfidante sui temi di carattere generale, in particolare la devolution, facesse apparire il dibattito sotto tono, un po' privo di mordente. Tuttavia, il risultato delle urne premia il neo-Governatore al di là di ogni più rosea previsione, per cui è doveroso dargli il merito di aver saputo interpretare le ansie e le preoccupazioni dell'elettorato meglio di qualsiasi osservatore politico. L'essere riuscito ad intercettare queste ansie e queste paure, l'incertezza sul futuro, il rischio di una disgregazione sociale del Paese lo ha messo in sintonia con il clima generale di protesta diffuso in maniera generalizzata regalandogli un sostanzioso vantaggio.

Un interrogativo che si deve porre è a chi attribuire la vittoria. Non vi è dubbio che in questa circostanza, come non mai nel passato, si è assistito ad un rilevante fenomeno di transumanza di classe dirigente da uno schieramento all'altro: bisogna sottolineare che il fenomeno è unidirezionale, tutti i passaggi sono stati dal Centro-Destra verso il Centro-Sinistra.

Si potrebbe,  pertanto, essere tentati di considerare il risultato come un vero e proprio ribaltone, un travaso di pacchetti elettorali, che si è svolta al di sopra delle teste della gente: una vittoria top-down, imposta e gestita dall'alto. Questa tesi complottista tanto cara al bis-unto Cavaliere dell'Apocalisse, dovrebbe nascere da un "Paese occulto" oggi manovrato dai "comunisti", che si impone con i suoi intrighi sul Paese reale. 

Sarebbe tuttavia un grave errore, essenzialmente per due motivi. L'apporto di un pacchetto elettorale non è puramente incrementale, ma si traduce in un aggiustamento algebrico il cui effetto complessivo non è completamente misurabile. Sarebbero necessarie sofisticati strumenti statistici, ed una serie numerosa di dati per valutarne l'effetto. Vi possono essere (e vi sono ) eccezioni a questa regola, come in taluni casi di un blocco elettorale completamente egemonizzato da una figura carismatica che riesce a portarsi dietro quasi tutto il suo carico elettorale. Anche in questa ipotesi, la trasmigrazione provoca un effetto di aggiustamento con la autoesclusione di una fetta più o meno rilevante dell'elettorato tradizionale del partito ospitante. In quanto ai poteri occulti, essi riescono con molta più efficacia a manovrare all'interno della classe dirigente pilotandone le scelte, che non a canalizzare e controllare il flusso elettorale. 

Se vi è stata una transumanza politica, con travasi di classi dirigenti e pacchetti elettorali, ma non ha avuto effetti determinanti. Vi è stato un travaso elettorale ma, nel complesso, non vi è stato una trasfigurazione dei partiti, che sono riusciti a metabolizzare i nuovi ingressi, senza uscirne stravolti. Il caso più tipico e significativo è costituito dalla Margherita, che ha avuto il grande merito di aver assorbito forze nuove, senza uscirne trasformato, poiché gli eletti hanno un'anima ed una personalità legata storicamente a quella formazione, mentre i newcomer hanno contribuito con il loro voto, senza riuscire a snaturarne la fisionomia. Si conferma, pertanto, la sua natura di partito di sintesi, con una grande capacità di tenere insieme anime diverse che riescano a trovare delle radici comuni da condividere e valorizzare.

L'ampia forbice tra le due coalizioni permette di osservare che nessuna alchimia politica, nessun gioco di potere, nessuna azione di vertice può giustificare il comportamento degli elettori. È una vittoria dal basso, una spinta dal basso verso una vera rivoluzione nel governo della regione. La Calabria ha seguito il vento di cambiamento ed al giudizio politico negativo sull'operato del Governo nazionale ha aggiunto una pesante valutazione sull'operato della giunta regionale e sul reiterato fallimento di una proposta di Centro-Destra. Pertanto, si può affermare che è un voto contro, un pesante giudizio negativo, nasce da una protesta diffusa e generalizzata, da un desiderio di un reale cambiamento nei metodi e nei modi di governo della Regione. Più che di una vittoria del Centro-Sinistra, si ha l'impressione che sia stato punito il Centro-Destra, mentre il giudizio resta tuttora sospeso, in attesa di verificare l'evolversi dell'azione della nuova Giunta.

Il divario tra i due schieramenti è talmente ampio che non si può attribuire la vittoria soltanto all'effetto di trasmigrazione, ma è un risultato da attribuire ad una vera voglia di cambiamento, ad una richiesta di rinnovamento nei metodi, nella espressione della classe dirigente e nel blocco sociale. Sarebbe un grave errore ricercare una continuità, premiare le trasversalità che sono state numerose e rischiano di diventare un vero e proprio fiume in piena. Finora nella storia della Calabria, tutte le attese sono andate deluse. Sono prevalsi gattopardismi e cambiamenti di facciata, mentre in profondità nulla è cambiato. 

Manca nella regione una tradizione consolidata di buongoverno, un modello da seguire. Le tradizionali regioni rosse o la Lombardia, costituiscono un riferimento di governo del territorio che gli elettori premiano con una continuità che in alcuni casi si appresta a diventare secolare. Possono esservi critiche puntuali su singoli decisioni o provvedimenti, ma il complesso dell'azione di governo locale viene giudicata positivamente e si continua a rinnovare la fiducia alla stessa classe dirigente. Niente di simile è riscontrabile nella nostra realtà. Nel complesso l'intera classe politica non è riuscita a formare una classe dirigente presentabile, a dare alla regione un governo efficiente. Tutti hanno rincorso il perseguimento di obiettivi di corto respiro, anche condizionati dalla volatilità del potere. Neanche gli ultimi (ed unici) dieci anni di governo forte per l'investitura popolare del Presidente, non sono  riusciti a trasformarsi in una scuola di formazione politica, di cernita di una classe dirigente.

Nei cinque anni appena trascorsi, non è mancato solo un governo credibile ed autorevole in grado di governare i processi, di esser protoattivo ed anticipare le attese ed i bisogni della gente. È mancata clamorosamente anche l'opposizione, una opposizione di denuncia delle tante inefficienze, dei tanti sprechi, delle tante opportunità mancate. Si è assistito, al contrario, ad un continuo metodo spartitorio che ha portato a contrattare i posti nel concorsone, ad assicurarsi cospicue fette delle tante consulenze da distribuire a sodali e parenti, ad assicurarsi i monogruppi, a partecipare all'aumento degli appannaggi e dei privilegi a favore degli stessi componenti degli organi della regione e così via.

L'aver concentrato un gran numero di preferenze sui soliti noti, dimostra ancora una volta che il clientelismo è duro  morire e non sarà sconfitto facilmente. Ma accanto ad esso, nuove esigenze e nuove aspettative crescono dalla società calabrese, che non sembra essere diventata all'improvviso rivoluzionaria e sinistrorsa. Come è regola costante, in tutti i paesi meno sviluppati i bisogni elementari costituiscono la preoccupazione principale e primaria della gente, che si traduce in una pressante richiesta di assistenza politico-clientelare. Il perseguimento della pubblica utilità, il soddisfacimento dei bisogni pubblici passa in secondo ordine.

Tuttavia, questo si accompagna oggi ad una maggior fluidità e fragilità del voto, con un elevato grado di mobilità. Cadono vecchi tabù, alimentati più da una vecchia classe dirigente per difendere sé stessa, come dimostra il caso clamoroso della Puglia. Un gay e comunista è stato accettato e digerito dalla maggioranza cattolica e moderata, che si è dimostrata molto meno pruriginosa di quanto l'avessero dipinta.

Alla luce di questo si può ben dire che la vittoria di oggi non premia tanto la proposta ed il comportamento dell'opposizione, ma esprime un'ansia ed un desiderio di trovare strade nuove, di sperimentare ricette innovative per uscire dalle secche del sottosviluppo. Questo non da alcuna garanzia di tenuta a lungo termine di questa nuova maggioranza, ma bisogna creare un modello, offrire una alternativa reale e credibile alla regione. Rinnovamento della giunta, coraggio nelle scelte, realizzazione di un programma coerente, nuovo rapporto con l'elettorato, non appiattirsi su una linea di continuazione e di piatto trasformismo, abbandono della logica clientelare, rispetto delle regole e della legalità. L'obiettivo è di coinvolgere la maggioranza di calabresi che credono nei valori della democrazia, trasformandola da una massa apatica e priva di spinte ideali, in una vera forza del cambiamento.

La Calabria è e resta una regione moderata, ma disposta a grandi fughe in avanti, pronta a grandi entusiasmi, se si riesce a stimolarne le pulsioni più profonde. Abbiamo anni cruciali davanti che segneranno una linea di demarcazione da una regione inesorabilmente attratta verso il Nord-Africa, o pronta a partecipare a pieno titolo alla europeizzazione, ponendosi come un ponte ideale nel Mediterraneo. 

Oggi si offre finalmente l'opportunità di attuare una svolta vera, lasciandosi alle spalle le vecchie logiche clientelari, la ricerca di un consenso ristretto l'area familiare e personale, ma operando per una svolta nella gestione della "res publica", operando coraggiose scelte che possono nell'immediatezza risultare impopolari, ma che possano costituire la base di una svolta, di un deciso cambiamenti di rotta. Solo nella fase iniziale, nella luna di miele politica, è possibile attuare un cambiamento radicale, se si perde l'abbrivio tutto diventerà più difficile, perché le incrostazioni si formano rapidamente e sono molto difficili da rimuovere.

In particolare bisogna avere il coraggio di rimuovere le ragioni campanilistiche che vorrebbero un ulteriore frantumazione amministrativa della regione rincorrendo l'istituzione di province e nuove unità amministrative, concentrare gli sforzi in poli d'eccellenza, eliminando duplicazioni inutili ed inefficienze inaccettabili, come nel caso degli ospedali, non alimentare o sostenere qualsiasi richiesta nel nome di un buonismo che è una delle cause più evidenti del nostro degrado. Le scelte devono essere coraggiose e razionali, rifiutando aeroporti di contrada e, università paesane come a Villa San Giovanni, ospedali di quartiere, ma procedere per un quadro d'insieme, per una visione unitaria dello sviluppo regionale, per una visione armonica che cerchi di valorizzare le risorse con azioni sinergiche, con la creazioni di reti interconnesse e non con la duplicazione delle infrastrutture. Una rete infraregionale di trasporti ferroviari può valorizzare l'aeroporto di Lametia Terme, come un nodo intermediterraneo, con collegamenti rapidi con la sibaritide , il crotonese rendendo inutili due strutture strapaesane, che sarebbero afflitte da una cronica carenza di passeggeri e  di servizi, depauperando l'unica struttura  che ha un futuro reale nella regione e disperdendo le risorse. 

Se si analizzano i flussi elettorali, si possono individuare alcune tendenze ben delineate. Il dato più vistoso è la caduta libera di Forza Italia, che in pochi anni ha quasi dimezzato il suo patrimonio elettorale. Considerata la sua natura anomala, la cui sopravvivenza è legata alla possibilità di distribuire potere e prebende, potrebbe verificarsi una vera e propria emorragia, portando ad un rapido dissolvimento della sua presenza sul territorio. È il fallimento di un progetto, la perdita  del popolo delle partite IVA, il dissolvimento di un sogno di poter dare una risposta a qualsiasi esigenza e bisogno della gente. È la crisi della trasformazione della cosa pubblica in azienda, della privatizzazione dell'anima, del libero arbitrio politico al di fuori di qualsiasi vincolo e limite, nella consapevolezza che che sia sufficiente l'ottimismo e la tolleranza ad imporre una crescita all'economia. Dopo l'illusione e la magia delle parole, dagli studi di Ballarò emerge drammaticamente l'immagine di un re nudo, i suoi trucchi scoperti, l'inconsistenza delle sue argomentazioni manifesta, il suo carisma sbriciolato. E l'appannamento dell'immagine del "lider maximo", che aveva tentato di nascondersi durante la campagna elettorale, abolendo i maxi poster, eliminando gli slogan. È bastata la sua presenza dietro le quinte ad avere alimentato un coro assordante di fischi, di proteste, di scarso gradimento per uno spettacolo diventato stucchevole. Un cabaret di infimo ordine.  

Si tratta di una rivoluzione soft, senza sconvolgimenti "ideologici". Crescono i partiti di centro (UDEUR, Margherita e UDC), che diventato sempre più determinanti nei due schieramenti, mentre non si è registrato alcuno sfondamento dei partiti portatori di valori più estremizzati, tanto a destra che a sinistra. 

Il giorno del giudizio è arrivato. Per la sinistra. Che deve dimostrare di saper spendere i talenti ricevuti dall'elettorato.


«In Italia c'è uno Stato manifesto, costituito dal Governo e dalla sua maggioranza in Parlamento, e c'è uno Stato parallelo: quello organizzato in forma di potere dalla sinistra nelle scuole e nelle università, nel giornalismo e nelle TV, nei sindacati e nella Magistratura, nel CSM e nei TAR, fino alla Consulta. Se si consentirà a questo Stato occulto di unirsi allo Stato palese, avremo in Italia un regime vendicativo e giustizialista, mascherato di legalità e ostile a tutto ciò che è privato.» (da un'intervista di Tino Oldani a Silvio Berlusconi, in Panorama Anno XLIII N. 13 del 14 Aprile 2005)

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