«Prof. Cetin Morris Sonsino del Fraunhofer Institut, piacere.»
«Prof. Franco Furgiuele».
Come al solito non si era capito niente nella presentazione. Solo dopo aver preso carta e penna e sotto dettatura è risultato chiaro chi fossero i due distinti signori vestiti in stile molto casual, che entravano in una piccola azienda in contrada Motta di Castrolibero.
Il Prof. Sonsino è un tedesco. Delle sue lontane origine italiane ha conservato la lingua che parla correttamente e con fluidità. A Darmstadt dove ha sede il Fraunhofer Institut für Betriebsfestigkeit LBF, è responsabile dei "Werkstoffe und Methoden", la struttura dei materiali con le relative implementazioni tecnologiche, le potenzialità di mercato e il loro impatto sull'economia. È stato invitato in Calabria quale "visiting professor" dal Prof. Franco Furgiuele, docente al Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale presso l'Unical, per una serie di conferenze dedicate ai suoi studenti, nonché l'avvio di un progetto di cooperazione europea.
Mostra una punta di fastidio il professore quando gli si chiede se insegna all'Università. "Certo, teniamo dei corsi, ma l'istituto è molto più importante." Santa ignoranza, era proprio una realtà sconosciuta, mentre si tratta di uno dei più prestigiosi enti di ricerca industriale in Europa.
I due eminenti studiosi sono entrati nella sede della ACL srl, in cima ad una collinetta vicino a Pianeta Casa. Un ufficio lindo, con annesso il laboratorio dove si confezionano scarpe rigorosamente cucite a mano. È un'azienda sorta da pochi anni. Una realtà micro ma tutt'altro che familiare. Si respira un'aria manageriale, inconsueta ed insolita per la sua dimensione ed i numeri che ancora esprime. Ha però un trend di crescita stupefacente, che sembra fugare tutti i dubbi sull'evoluzione del sistema produttivo della regione.
La sua breve storia merita di essere raccontata per le molte "stranezze" che la caratterizzano. Nasce da una intuizione di Mario Chippari e Mario Leonetti, Entrambi si sono fatti le ossa nel Calzaturificio di Luzzi, seguendo la parabola dalla sua nascita sino all'esalazione dell'ultimo respiro. Hanno visto l'affermazione del marchio Cesare Firrao, creato dal nulla ed imposto con una ben orchestrata campagna di marketing, che ha coinvolto i bei nomi della moda, le fiere internazionali e le riviste specializzate.
Il fallimento della "loro" azienda lascia un vuoto dentro e la voglia di ricominciare, il desiderio di non disperdere una preziosa esperienza. Già questo è inconsueto in una regione dove tutto ruota attorno al finanziamento, al posto conquistato o perso, dove gli investimenti si trasformano ineluttabilmente nella rottamazione dei macchinari, degli stabilimenti, delle idee e degli imprenditori. Il loro naufragio lascia una lunga scia nelle aule dei tribunali, nel paesaggio agrario deturpato, nelle desolanti statistiche del sottosviluppo calabrese. Ma gli stessi imprenditori sono pronti a nuove avventure, a bruciare ulteriori finanziamenti alla continua ricerca della pietra filosofale del facile guadagno, dell'arricchimento senza causa, per abusare di un'espressione giuridica. È una perversa spirale che ha bruciato migliaia di miliardi senza creare il sospirato sviluppo industriale.
Una esperienza innovativa, al contrario, riesce a dimostrare la sua validità anche dopo morta, sopravvive al suo fallimento. Il suo seme germoglierà come dimostrato dalla esperienza del Nord-Est, la cui vitalità industriale è derivata dalla crisi delle grandi aziende che ha liberato risorse intellettuali, formazione tecnica e capitali che hanno consentito la nascita del miracolo triveneto.
In verità, la gestione del fallimento "Calzaturificio di Luzzi" è stata ... fallimentare. Non si è colto che il cespite patrimoniale più prezioso, con una validità anche sociale, era il marchio, e lo si è lasciato marcire nei polverosi faldoni del tribunale. Una griffe è un bene immateriale, effimero, che ha bisogno di essere alimentato costantemente per non consumarsi. Dopo un lungo tempo di inutilizzo il suo valore tende ad annullarsi. Come dimostrato dalla Isotta Fraschini, blasonato nome automobilistico che invano si è tentato di far rinascere in quel di Gioia Tauro.
Cesare Firrao è morto, viva De Tommaso. I due iniziano come façonisti, utilizzando in toto professionalità diverse sparse qua e là, dai designer ai piccoli stabilimenti per ottenere i modelli desiderati che vengono raccolti in un elegante catalogo. Aprono un piccolo salone da esposizione dove presentano la loro collezione, con l'obiettivo di lanciare un nuovo marchio.
Preparano una ipotesi di investimento. In quella occasione avviene l'encontre fatale con Cosimo De Tomaso, responsabile delle relazione industriali alla Confindustria di Cosenza. Nasce un amore imprenditoriale e l'idea di utilizzare i fondi della legge sull'imprenditoria giovanile. Viene preparato un progetto esecutivo di qualche miliardo di lire, servendosi di una società in cui sono utilizzati i figli per rispondere ai requisiti della normativa, more solito. Incongruenza di una legge che vuole i nuovi imprenditori giovani, squattrinati e senza alcuna esperienza: un sicuro viatico al fallimento di qualsiasi idea imprenditoriale.
Siamo nel 2001, anno di grandi cambiamenti politici. Con il nuovo governo cambiano criteri e metodi di selezione. Del progetto non vi è più traccia, mentre il tempo scorre inesorabile. Ma non invano. I nostri amici, ai quali nel frattempo si è associata Alessandra Ventura di Paola, figlia d'arte imprenditoriale, decidono di andare avanti lo stesso.
Quando Sviluppo Italia riesuma il progetto sono passati quattro anni, i giovani aspiranti imprenditori hanno nel frattempo trovato altre strade. Miracolo! Si accantona l'idea dell'agevolazione, tirando dritto sul piano industriale. Per fortuna. Nasce un embrione fecondato unicamente dalle idee. Un'azienda neonata con la volontà di crescere, di irrobustirsi durante la sua infanzia. Si tratta del capovolgimento completo della filosofia degli investimenti agevolati che favoriscono nascituri mostruosi, affetti da gigantismo industriale. Hanno la presunzione di poter aggredire il mondo inondandoli di prodotti approssimativi ed obsoleti, ma si fermano ai primi vagiti produttivi, incapaci di qualsiasi penetrazione commerciale.
E siamo alla seconda "stranezza" di questa breve vita di un'azienda. Si parte dal prodotto per arrivare alla catena di montaggio, allo stabilimento industriale, si cerca un mercato prima di pensare alla produzione. Il sistema del façon consente questa flessibilità, permette di consolidare un'esperienza senza grandi investimenti che vengono decisi e realizzati nel momento reputato opportuno. È efficace ma non consente una eccessiva personalizzazione dei prodotti.
Nel 2002 si decide di iniziare la produzione con un minuscolo laboratorio artigiano per un prodotto interamente cucito a mano. Cùanciu cùanciu. Tre persone in tutto, con 3.500 paia di scarpe e 264.000 euro di fatturato in un anno circa.
Sembrava una scommessa impossibile, quella di affrontare un mercato maturo, dove l'Italia aveva una leadership mondiale già prima dell'arrivo dei cinesi. Sistemi produttivi e prodotti non lasciavano intravedere margini di miglioramento, né vi erano in Calabria condizioni per una riduzione dei costi. Tutt'altro! Inefficienze burocratiche, lontananza dei mercati tanto di approvvigionamento delle materie prime che di vendita, assenze di una rete di servizi pubblici e privati, lasciavano temere condizioni peggiorative rispetto ai concorrenti.
Eppur si muove. L'azienda cresce: il personale passa prima a 8 unità nel 2003, a 13 nel 2004; il fatturato raggiunge i 596.000 euro nel 2003, fino a 783.000 nell'ultimo anno, mentre il numero delle paia di scarpe supera le 7.000 unità. Numeri piccoli, crescita cinese, che consentono anche un modesto ma sicuro margine di utile.
Quali sono stati i fattori di una simile performance? In primis, individuare una nicchia di mercato, non soggetta alla competitività sui costi, ma ad un confronto qualitativo. Rivolgersi ad un target di clientela alla ricerca di un prodotto che non risponda solo a dei bisogni primordiali, ma rappresenti uno "status symbol", per i quali è importante il particolare. Nel settore calzaturiero, come in tutti i settori maturi, è impossibile fare concorrenza sui prezzi, tentare di affrontare il mercato di massa dove cinesi, indiani o brasiliani sono imbattibili. Bisogna trovare chi è disposto a pagare di più, a prezzo di affezione, un prodotto in cui la qualità, l'innovazione e l'originalità rappresenti l'elemento determinante.
Si possono comprare i macchinari e la tecnologia, ma l'esperienza artigianale, cultura e tradizioni sono inimitabili, difficilmente riproducibili. In questo campo, come sistema Italia, non avremo rivali ancora per molto tempo. Possiamo fermarci a rinnovare ed innovare, dà il tempo di preparare i correttivi idonei.
Un enorme vantaggio è connesso alla quantità limitata. Il production cap non è costituito da un limite fisico legato al sistema produttivo, ma un limite psicologico che fornisce la preziosità dell'oggetto, gli attribuisce un valore peculiare. Un po' come una litografia numerata d'autore: tanto più preziosa quanto minore il numero delle copie tirate. O come le Ferrari. Prodotte in numeri ridottissimi, tanto da diventare oggetti di culto, da amatori.
Con il successo si è portati ad ampliare la produzione, ma esiste un limite oltre al quale, la desiderabilità dell'oggetto decade con una grande rapidità. La quantificazione di questo limite è legata all'ampiezza del mercato, poiché bisogna evitare eccessive concentrazioni delle vendite.
Giapponesi e coreani hanno copiato tutto, hanno affrontato concorrenti temibili come i big three americani (GM, Ford e Chrysler) nel settore delle auto, ma anche nell'ottica, nei piccoli elettrodomestici e così via. Ma non sono riusciti a riprodurre Maranello ed il suo clima, l'artigianilità legata alla tecnica, la professionalità coniugata con un amore viscerale per una tradizione ed una cultura che ha aficionados in tutto il mondo.
"Paura dei cinesi? Ma, no. Per noi sono una risorsa. Dovranno essere i nostri clienti di domani. Non c'è solo povertà in Cina. Sta crescendo una classe di nuovi ricchi. Pochi in percentuale della popolazione, ma si contano in milioni: cento, centocinquanta. Una marea." Dice convinto, Mario Chippari.
Aggiunge Mario Leonetti: "Noi non abbiamo bisogni di grandi numeri, ma di grandi scarpe, sempre più personalizzate, sempre più artigianali. Oltre un certo limite, il nome scade, perde il suo fascino. Vogliamo una clientela esclusiva, che scelga la qualità. Massimo D'Alema, Ciriaco De Mita, Dario Franceschini sono nostri clienti che ci scelgono per la qualità e l'affidabilità del prodotto. Puntiamo su prodotti speciali ed esclusivi, le scarpe da golf, di pelle di cavallo (il cordovan), di rettili come il coccodrillo ed altri materiali di provenienza sudafricana. Tutte cucite a mano, e siamo al momento gli unici al mondo per la linea sportiva, la più esclusiva esistente sul mercato. La nostra linea di produzione è solo maschile perché sono prodotti destinati a durare nel tempo, che migliorano col tempo e danno un'idea di robustezza e solidità ineguagliabile."
In pochi anni, il marchio si è imposto, tanto che in un recente articolo sul quotidiano "Libero", De Tomaso viene indicato come "uno dei più esclusivi calzaturifici italiani."
Racconta De Tomaso: "Abbiamo fatto una attenta analisi della nostra clientela potenziale in tutto il mondo, servendoci delle riviste specializzate, dei contatti dirette nelle fiere, dell'aiuto degli uffici ICE (Istituto Commercio Estero), presieduto da un corregionale Doc come Beniamino Quintieri. Sempre pronto a dare una mano alle aziende calabresi, con scarso successo per mancanza di "domanda". Ci siamo presi il lusso di scegliere noi i nostri interlocutori esteri. Emblematico il caso del Giappone. Dopo vari tentativi abbiamo individuato un imprenditore che ha creduto nel nostro progetto, ha deciso di investire su di noi. Siamo apparsi sulla migliore rivista del settore in quel lontano paese e siamo diventati una griffe di prestigio". Lo stesso approccio è stato utilizzato per il Canada e l'Australia, sempre con la "puzza sotto il naso", una selettività alla rovescia operata dal produttore e non dal cliente.
Una dei successi è l'aver fornito le calzature ai pittoreschi protagonisti del Festival del Jazz di New Orleans organizzato dalla Fondazione Louis Armstrong. Bellissime scarpe di colore rosso secondo la richiesta americano: un difficile equilibrio tra il tamarro gusto yankee ed una finesse tutta italiana. Si tratta di piccole partite, con una straordinaria ricaduta pubblicitaria in un grande mercato.
Già oggi il 40% delle scarpe viene venduto all'estero, il rimanente in tutta Italia. Pochissime in Calabria. Vi sono ancora ampi margini di crescita. Il limite è costituito dalla disponibilità di personale specializzato, che il sistema scolastico non è in grado di formare. L'humus sociale della regione produce tanti cervelli, ma poche "braccia intellettuali", figure professionali in grado di dare risposta alle esigenze reali della economia locale. Si deve provvedere in proprio, con un investimento non indifferente.
Per sopperire alle esigenze l'azienda ha organizzato un corso di formazione per "addetti alla produzione di calzature artigianale", finanziato con il POR, misura 3.3c. Si tratta dell'unico finanziamento richiesto da questa azienda. Dei dodici partecipanti, nove molto curiosamente aspettano da alcuni mesi di essere assunti. L'Amministrazione provinciale non riesce a nominare una commissione d'esame. L'assunzione prima dell'imprimatur della prova finale produrrebbe la decadenza del beneficio. Un cavillo che rischia di rallentare la crescita dell'azienda e frustrare le attese dei giovani che hanno partecipato con entusiasmo nella speranza di trovare un'occupazione.
Nel briefing con i due studiosi si parla del connubio tra la cultura e la scienza necessaria per esaltare la tradizione artigianale di lungo corso, dandogli quell'aggiornamento tecnico che può consentire innovazioni sul prodotto e sul loro utilizzo fino a raggiungere "l'ideale De Tommaso": una scarpa che veste il piede, proteggendolo e valorizzandone l'estetica.
Si parla di problemi antichi, della suola e della possibilità di dargli nuova vita, aumentando flessibilità e robustezza, migliorandone la lucentezza e la idrorepellenza. Il Prof. Furgiuele ha già dato ad un suo laureando - Leonardo Lo Passo - una tesi di laurea: "Analisi del campo di tensione che si genera in una scarpa durante la deambulazione", dove si discute con grande serietà di un oggetto quotidiano al quale difficilmente prestiamo una attenzione men che distratta.
Non si parla solo di materiali futuribili o radical-chic - pelli di daino e fibre sintetiche - ma anche di materie prime antiche come la ginestra, che potrebbero riservare delle sorprese utilizzate in maniera opportuna e corretta. Ma il progetto più affascinante è la scarpa "on demand", su richiesta da tutto il mondo.
In fondo si tratta di una idea semplice basata su di una tecnologia esistente. Organizzare dei centri di misurazione nelle principali piazza mondiali, nei negozi più esclusivi di Mosca, Tokio e Parigi ad esempio, con modelli CAD a tre dimensioni da trasmettere via web fino a contrada Motta. Qui il piede virtuale servirà come modello per produrre calzature personalizzate di alta qualità, di gran moda che possano adattarsi perfettamente al piede ed alla funzione cui sono destinate, correggere eventuali piccoli difetti e regalare a ciascuno la sensazione di possedere un oggetto unico insostituibile.
Il Prof. Sonsino calza un sandalo un po' demodé che s'intona con il suo aspetto da intellettuale. Come primo atto di una collaborazione che si può immaginare proficua si sperimenta immediatamente il modello, promettendo di fargli trovare nella sua prossima visita un paio di scarpe appositamente studiato per il suo piede.
"Ha una pianta larghissima, professore!" - assicura Mario Leonetti con aria dottorale - "per lei ci vuole qualcosa di speciale."
Qualcuno in Calabria pensa che il futuro è adesso. La sfida con i cinesi è già cominciata, ma il teorema ricardiano dei costi comparati è lì a ricordarci che il loro benessere non deve necessariamente confliggere con i nostri interessi.