Quale sviluppo per questa regione: intervista a Franco Petramala
di Oreste Parise - Rende, 25 febbraio 2005

In un recente intervento su "Il Quotidiano", Lei ha proposto una provocazione sulla politica di sviluppo regionale, mettendo in discussione non solo e non tanto l'utilità del Ponte, ma soprattutto il modo com'è stata "subita" l'iniziativa.
Il Ponte è opera che converrebbe, forse, alla Sicilia non alla Calabria, per ragioni evidenti. Tralascio la sostenibilità ambientale!
Quel che stupisce è che da Roma il Ponte è stato presentato come fattore di sviluppo dell'Area dello Stretto. Invece il problema vero è lo sviluppo dell'Area dello Stretto al quale bisogna pur dare una risposta seria; poi, se conveniente, si sarebbe arrivati al Ponte.
Cosa ha impedito di procedere con questo metodo di lavoro?
Perché è da almeno un decennio che la Regione non governa sé stessa, non ha quindi un vero progetto, non ha capacità di elaborare una sua proposta per il futuro, aggravando una situazione di scarsa identità: quindi gli si può imporre tutto.
Quali dovrebbero essere le misure appropriate per provocare lo sviluppo?
Non abbiamo ancora capito per esempio che l'offerta turistica, che pure è una risorsa, va riqualificata, non solamente presentando il mare azzurro (non sempre pulito) e bei panorami, ma presentando un contesto urbano dei centri di maggiore attrazione in grado di suscitare l'interesse del turista. Le spiagge belle e le pinete sono offerte ormai da tantissimi Paesi europei ed extraeuropei, anche più raggiungibili della Calabria; quel che altri non possono offrire è la cultura, il complesso di elementi della storia e della memoria di questi luoghi, le splendide peculiarità di tutta la Regione; è questa la nuova frontiera del turismo.
… e intanto chiudono molte imprese aperte negli anni '80.
Non ho visto una resistenza "arrabbiata" per evitare i tantissimi licenziamenti. Non ho neanche visto uno sforzo di proposta di alternative e di riconversioni produttive. Non mi pare che sia stato prospettato alcunché: per esempio un distretto della cantieristica nautica da diporto a Reggio. Così non abbiamo notato una proposta organica per sostenere quella miriade di aziende artigiane del tessile che, avendo perduto i contratti in façon, numerose si sono dedicate al prodotto di qualità.
Ma quale può essere la funzione della logistica in una regione che geograficamente sembra in posizione fortunata?
Se Lei ascoltasse quel che i gestori e le autorità portuali di Gioia Tauro chiedono, ma inutilmente, sul potenziamento dello scalo, si accorgerebbe dell'atteggiamento di sufficienza della Regione; è come se provvedere ad un ampliamento del porto fosse un fastidio; così come molto lentamente, … troppo lentamente, si cerca di valorizzare gli scali portuali di Crotone, Corigliano, Vibo.
Insomma quale dovrebbe essere il ruolo della Regione in tema di sviluppo?
Nel 1978 fu prodotto da una Commissione di ottimi esperti, coordinata da Alberto Di Maio, il "Documento di avvio per lo sviluppo della Calabria". Era una riflessione cui non è seguita negli anni un progetto di attuazione. Allora come oggi, la politica era affannata alla ricerca ed al raccatto del consenso elettorale, ma l'esigenza di riflettere ci fu.
Oggi è il momento di riprendere quel metodo di lavoro, che non era solamente di natura tecnica, ma anche politica, perché le forze politiche in campo si dichiararono disponibili a progettare insieme; fu accettato il principio che l'azione complessiva delle istituzioni dovesse orientarsi ad una politica regionalista e di unità regionale; ciò che successivamente e progressivamente si è affievolita fino a scomparire.
Ho scritto che la Calabria, in assenza di progetto, è governata di fatto da lobby che si autoreferenziano; sopratutto catanzaresi, che di fatto negano a Catanzaro il ruolo di Capoluogo. Lo hanno ribadito l'On Vincenzo Aiello, l'On Giuseppe Aloise e da ultimo il Prof. Geppino De Rose sullo stesso "Quotidiano", che fra l'altro ha rilevato l'arretramento del ceto medio e la "invisibilità" della borghesia, ritiratasi nell'illusione di godere privilegi di regime molto fatui, perché a scapito dei ceti meno abbienti; questi ultimi ovviamente stentano e perdono progressivamente le conquiste degli anni 1960/80;
Cosa ha caratterizzato l'azione della Regione, qual'è stata la sua politica? Cos'è oggi che determina l'azione istituzionale?
Il disordine. L'improvvisazione. L'andare avanti senza una meta e navigando a vista.
Lo sviluppo dell'Area di Reggio non è da considerarsi solamente un'opportunità per quella Provincia, bensì un contesto che si collega con lo sviluppo delle altre Province, secondo le peculiarità loro proprie.
Un esempio. Si dice che l'economia calabrese è in profonda crisi perché le sue produzioni sono anche in altri paesi, agricole o manifatturiere che siano.
Abbiamo alcune colture di alta qualità come gli agrumi, alcuni addirittura irriproducibili, quali quelle del bergamotto e del cedro. Dal 1970 ad oggi l'area del Bergamotto si è ridotta ad un quarto. Non si riesce ad attivare concretamente un contratto di programma pure sottoscritto con il ministero Attività Produttive che consentirebbe quantomeno un raddoppio dell'area agricola coltivata con notevole aumento dell'offerta dell'agrume, anche per uso diverso dal settore profumiero, per esempio quello gastronomico di alta qualità. Sarebbe possibile per esempio realizzare aziende di trasformazione secondaria anche nelle altre province. Per non accennare anche alla realizzazione di una rete archeologica che correrebbe da Sibari a Crotone, da Locri a Reggio fino a Rosarno e Lamezia, sulla quale impegnare Regione e Ministero Beni Culturali in uno sforzo di interventi di grande respiro.
Che immagine ha la Calabria all'estero, in piena epoca del "globale"?
Praticamente nessuna. Fino a dieci anni fa la comunicazione riusciva a trasferire l'immagine della Calabria bella e produttiva, affascinante nella sua unicità; oggi non la conosce nessuno.
Politiche per l'internazionalizzazione? Nessuna. Non solamente non vi è orientato il Complemento di Programmazione, il POR Calabria, ma non si ritiene di fare nessuno sforzo, come è accaduto in Campania e di recente anche in Sicilia, per strutturare in maniera colta ed efficace, la presenza della Calabria sui mercati esteri.
Ma la Regione avrebbe strumenti idonei?
Certamente, ove si pensasse di non lasciare il governo di queste cose a chi non ha interesse, e nemmeno adeguati mezzi culturali, per fare.
Ma il problema è anche nelle infrastrutture, nei grandi servizi.
Certamente. Il Piano Regionale della Sanità? Senza carattere, senza peculiarità, insegue interessi corporativi e di territorio. Programmiamo senza tenere conto, per esempio, che la riforma del lontano 1978, non è stata per niente realizzata in Calabria. Ci si balocca sulla scelta dell'unica azienda, tre aziende, cinque, quindici aziende. Ma la verità è che ci si rifiuta di riflettere su quel che è più conveniente per una Regione in forte deficit organizzativo e strutturale e delle caratteristiche del territorio calabrese.
Quali speranze dovrebbe avere un giovane calabrese oggi? Quale futuro deve immaginarsi?
Che prevalgano le ragioni delle politiche regionaliste e fortemente unitarie; che pur nei confronti aperti, scelta una via si percorra con forte senso della responsabilità. Loiero ha vissuto quella stagione a cui facevo cenno. Il tema è tornato quello.

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