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E la Calabria continua a franare

di
Oreste Parise (Mezzoeuro Anno V num 51 del 23/12/2006)

Rende , 22 dicembre 2006

È stato un autunno insolitamente mite. Il più caldo degli ultimi non-si-sa-quanti anni e già si preannunciava la desertificazione di interi territori.

Il 21 dicembre con il solstizio d'inverno è arrivata la pioggia. Insistente, fastidiosa, appiccicaticcia. Ti entra nelle ossa. Certamente l'occasione si presta per un nuovo allarme planetario sul diluvio universale prossimo venturo. La sempre preannunciata Apocalisse ecologica foriera di terribili eventi crea un clima di sbigottita apprensione, ma non riesce a smuovere le coscienze più di tanto. Siamo tutti impotenti di fronte ai disastri scatenate da forze potenti ed occulte e ci rifugiamo nella normalità del quotidiano. E sono bastate poche gocce minute, educate per creare grandi disagi in questa Calabria che di tanto in tanto si  ritrova  identificata nella definizione di Giustino Fortunato come "sfasciume idro-geologico pendulo sul mare".

Quando frana il terreno sotto i nostri piedi subentra uno stato di vera a propria angoscia, una indefinibile ansia poiché vengono meno le certezze e la ripetitività dei piccoli momenti che riempiono le nostre giornate.

Cos'è una frana? Un insignificante movimento di terreno nell'incessante ricerca di equilibrio del pianeta. Ma è un movimento che sconvolge le nostre abitudini, interrompe strade e sconvolge gli edifici. O geologi spiegano con dovizia di particolari tecnici gli arcani ed innumerevoli motivi che le provocano. Tuttavia non riescono ad attenuare le imprecazioni e le bestemmie di chi è costretto a subire disagi e rilevanti perdite per causa loro.

Mentre alla regione si litiga sull'otto più due, la Calabria continua a franare. E Cerzeto è diventato un simbolo di questo disastro annunciato, un emblema delle tante aree in dissesto. In assenza di un intervento organico progressivamente le aree interne saranno sconvolte. Già vanno spopolandosi per ragioni del mutato equilibrio economico-sociale. I disagi e le difficoltà derivanti dalla fragilità del territorio provocheranno un vero e proprio esodo. Si somma un doppio effetto. L'assenza di un'organica politica di sostegno alle piccole comunità e l'aggressione dei centri più importanti che con la loro politica urbanistica centripeta favorisce la concentrazione della popolazione della regione in pochi poli d'attrazione.

Perché parlare di Cerzeto e delle frane oggi, alla vigilia di Natale? Per una circostanza di per sé insignificante rispetto ai mille problemi in discussione: la chiusura della strada provinciale che collega Torano Castello con San Martino di Finita. Prima di arrivarvi essa si dirama verso San Giacomo e Cerzeto. Non molto tempo fa proseguiva fino a Mongrassano e San Marco Argentano. Oggi è interrotta per il buco nero creato dalla scomparsa di Cavallerizzo.

L'interruzione è proprio sotto il cimitero di San Giacomo ed è dovuta alla minaccia di una grossa zolla di terreno di scivolare sul manto stradale con possibilità di travolgere qualche auto in transito. Non si tratta di un fenomeno improvviso, poiché tutta l'area è costituita da calanchi argillosi di origine pliocenica. Il disboscamento risalente ormai a parecchi secoli ha sconvolto l'equilibrio idro-geologico dei terreni soggetti ad un intenso sfruttamento agricolo. La costante opera dell'uomo teneva sotto controllo il ruscellamento delle acque. Oggi sono in gran parte abbandonati per cui si sono creati dei solchi erosivi che provocano una imbibizione delle acque piovane che provocano il distacco dei calanchi.

A questo si deve aggiungere che siamo in una area interessata dalla "faglia di San Fili" che prova una instabilità geologica in un vasto territorio, che comprende Rota Greca, San Martino di Finita, Cerzeto, Mongrassano ed oltre. Tutti interessati ad una intensa azione franosa che minaccia i rispettivi centri abitati.

Il tratto della provinciale che è stato chiuso è sotto l'abitato di San Giacomo e sulla traiettoria per San Martino. Provoca un isolamento reciproco dei tre comuni che hanno intense e storiche interrelazione con stretti legami sociali e familiari tra le comunità. Il disagio è enorme ed aumenterà ancor di più alla ripresa dell'attività. La riapertura delle scuole rischia di trasformarsi in  un incubo per gli studenti e le loro famiglie.

La situazione di Cerzeto può definirsi disperata, poiché diventa un malato terminale. La interpoderale che la collega a Mongrassano Scalo è ai limiti della percorribilità per il dissesto del manto stradale sottoposto ad una intensa usura per effetto del cantiere del nuovo abitato di Cavallerizzo, in località Pianette. È diventata una gimkana tra buche profonde e pericolose.

La bretella per Mongrassano non è ancora terminata e presenta tassi di pendenza molto problematici. E comunque la strozzatura del centro abitato di Cerzeto impediscono il passaggio dei mezzi pesanti (camion ed autobus). Il comune è così  completamente isolato. L'unica strada percorribile a questi resta quella che si inerpica per San Martino e prosegue tra curve e tornanti lungo la dorsale appenninica fino a Cosenza. Anche questa non può essere considerata completamente immune da pericoli di frane e smottamenti poiché corre lungo la cimosa della "Faglia" e su terreni instabili, soggetti ad intensi fenomeni di erosione per effetto del dilavamento provocato dalle acque piovane non regimentate.

La frana di Cavallerizzo ha provocato un acceso dibattito soprattutto per la ricostruzione del centro abitato. Ma tutta l'area in dissesto - e si tratta di centinaia di ettari - è stata lasciata completamente in abbandono. Non vi è alcuna seria ipotesi di intervento per una ricostruzione dell'equilibrio idro-geologico e la sua rinaturalizzazione. Le condizioni di degrado sono così accentuate che senza un deciso intervento di ingegneria naturalistica il dissesto continuerà fino a travolgere l'abitato di Mongrassano. Poteva essere una azione pilota da estendere al restante territorio interessato allo stessa intensa azione di degradazione.

Basta ricordare che l'unico intervento serio ed organico risale al 1969. È stato realizzato dal Consorzio di Bonifica che ha stabilizzato il letto del sottostante fiume Finita. Sono state costruite delle briglie armate con crociere in ferro con effetto di colmato ai piedi dei calanchi per contrastarne lo scivolamento. Un sistema all'avanguardia per l'epoca. A monte si è proceduto ad una importante opera di rimboschimento con realizzazione di canali di scolo e graticciate per regolare il flusso delle acque lungo le scarpate.

Quell'intervento è stato utile ed ha stabilizzato il terreno. Oggi non quella lontana attività è però più sufficiente. Sarebbe necessaria un'altra stagione di grandi opere, di interventi sul territorio per rispondere alle nuove sfide dovute al degrado conseguente alla scarsa azione antropica, riprendere l'azione di rimboschimento dei terreni abbandonati per rallentare con il manto arboreo il tempo di corrivazione delle acque che provoca disastri ad ogni inizio delle grandi piogge.

Oggi i Consorzi di Bonifica sono considerati enti inutili. Sarebbe il caso di liquidarli. O trovare per essi una nuova "mission".  Il risanamento idro-geologico dello "sfasciume pendulo" potrebbe essere un fine nobile e politicamente rilevante?


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