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Il buco nero

di Oreste Parise (Mezzoeuro Anno VI num 10 del 10/3/2007)

Rende, 8 marzo 2007

Vito Teti in un lungo ed appassionato articolo pubblicato qualche giorno fa su "Il Quotidiano" ripercorre il cammino di disperazione e speranza degli sfollati di Cavallerizzo. Un racconto struggente lungo due anni dell'abbandono delle proprie case, degli averi, lo spossessamento dalla "roba", il doloroso distacco dalla memoria. Il vescovo di San Marco Mons. Crusco ha paragonato l'odissea di Cavallerizzo all'esodo biblico degli ebrei in Egitto. Un paese senza due anni, seguendo l'immaginario di Gianni Rodari. Un paese senza tempo, immerso nel suo passato che lo avvolge e lo accarezza fino all'ultimo abbraccio finale. Scivola ancora, dolcemente in attesa del prossimo diluvio d'acqua. Tra un anno, tra dieci. Chissà. Quest'anno la lunga transizione tra l'autunno e la primavera ha risparmiato patemi d'animo ed angosce, che riesplodono puntuali sotto la pioggia scrosciante. Ma non era finito tutto quel maledetto marzo di due anni fa? Rivive nell'inconscio, si ripresenta nei sogni, si trasforma in una indefinibile ansia dei bambini e degli adulti.

Un grande buco nero. L'universitas di Cavallerizzo ha avuto la dignità di comune per qualche anno durante il periodo murattiano. Si trova oggi dispersa. Ogni famiglia ha trovato una soluzione nei centri vicini. I più sono rimasti nel comune di Cerzeto, ma tanti sono altrove, dove rischiano di diventare altro, di frantumare il passato ed il senso di appartenenza.

Si è scelto di non utilizzare soluzioni provvisorie, tendopoli o prefabbricati. Una soluzione saggia per evitare precarietà. Una soluzione rischiosa per chi intende preservare la propria identità di gruppo. Solo una forte volontà collettiva può realizzare il miracolo di una ricomposizione sociale dopo un periodo così lungo di transizione.

Facendo riferimento ai trascorsi di questo popolo errante si possono trovare dei motivi di speranza, nella tenacia con cui hanno conservato la propria identità nell'indigenza e nella miseria. Secondo tutte le fonti, hanno ripopolato il casale abbandonato di Cavalato nel 1478, dove hanno trovato una piccola chiesa e qualche casolare. Per più di un secolo hanno dovuto accontentarsi di un tetto provvisorio in capanne per evitare il pagamento del casalinaggio preteso dai principi di Sanseverino per le costruzioni stabili. Le prime "case" costruite con legno pietre e fango cominciano ad apparire solo nel '600, e nel '700 vengono costruiti case e palazzi in muratura con le pietre strappate ad una ad una ai greti dei torrenti.

Dopo la fuga precipitosa in un freddo mattino di marzo si sono ritrovati ancora una volta insieme in una tragedia, senza strepiti e lacrime. Solo qualche singhiozzo trattenuto dal pudore. Pronti a ricominciare, come sempre, come tante altre volte in un passato millenario. Sarà forse questo retaggio secolare che ha caratterizzato la dignità con cui l'intera collettività ha affrontato questo momento di difficoltà. Vito Teti propone di additare Cavallerizzo come un simbolo della grande dignità dei calabresi, di inserire loro in un manifesto di Toscani. Una grande manifestazione di compostezza e di dignità, di voglia di vivere, contro la rassegnazione che ti impone un fato avverso, contro le difficoltà orografiche e le pastoie burocratiche che rallentano il processo di ricostruzione.

Una tale comunità avrebbe meritato una ben diversa rappresentanza istituzionale. Le elezioni amministrative tenutosi a ridosso di quel giorno maledetto avrebbero dovuto rappresentare il momento dell'unione, uno sforzo corale per superare l'emergenza, per dare aiuto e sollievo alla popolazione.

gruppo di partecipanti
Dopo il primo momento dell'esaltazione solidale, il demone della discordia si è annidato nella comunità. In questo processo una responsabilità oggettiva si deve attribuire all'intera amministrazione, e soggettiva al suo maggiore esponente. Lo sforzo maggiore è nell'attribuzione dei meriti, nella esaltazione di un metodo e di un processo che vorrebbe additare come modello di ricostruzione. Una pretesa contestata apertamente soprattutto da parte degli abitanti di Cavallerizzo, che non si considerano rappresentati, che sentono un distacco sempre più profondo ed insanabile tra una amministrazione chiusa nel suo bunker con i suoi riti e le sue liturgie ed un Comitato che cerca soluzioni dal basso, con il coinvolgimento diretto della gente.

Per la seconda volta il giorno della commemorazione si è sdoppiato in una cerimonia ufficiale dove hanno partecipato le autorità, i rappresentanti politico-istituzionali al mattino. Alla presenza di Guido Bertolaso, del Presidente della Provincia Mario Oliverio, dell'Assessore ai Lavori Pubblici della Regione Calabria Luigi Incarnato è stato consegnato il centro di accoglienza, un complesso polifunzionale che costituisce il luogo di raccolta di tutti coloro che sono stati sradicati dalla propria quotidianità.

Guido Bertolaso ha voluto essere presente in questo giorno particolare a due anni esatti dalla sciagura per testimoniare il suo impegno a ridare un tetto a tutti, insieme alla ricomposizione dei ricordi, al riannodamento degli antichi legami, alla riconquista della normalità. Il plastico della ricostruzione che è stato presentato vorrebbe rassicurare sul risorgere degli intrecci di relazioni che avevano come scenario l'intrigo di viuzze, il sovrapporsi dei ballatoi, la protuberanza dei passetti dove ndrikullat commentavano il quotidiano, rinverdivano il ricordo dei morti, richiamavano la presenza degli affetti lontani.

La struttura del nuovo centro abitato ha la pretesa di voler ricreare il senso della comunità. Ma è impossibile resuscitare l'anima collettiva, restituire il passato alle pietre trasformatasi in un malta anonima che non racconta più l'epopea di un popolo errante, non ha il fascino briganti che si aggiravano furtivi nella notte. Latruni, dice il Padula degli abitanti di Cavallerizzo. Ma oggi essi non riescono a rubare il proprio passato dalle pietre che sono stati costretti ad abbandonare.

Della ricostruzione del vecchio centro abitato non se ne parla neppure. Una memoria da rottamare, un presepe da aggiungere ai tanti che costellano il territorio della regione. Vito Teti continua a inventariarli, a tentare di ridare un'anima a quei paesaggi spettrali dove si aggirano i fantasmi. In 900 giorno l'opera sarà completata, promette. Quasi tre anni. Aggiunti ai due già trascorsi fanno un lustro. È molto o è poco? Tecnicamente si tratta di un tempo più che ragionevole, che può considerarsi record, se venisse rispettato. Ma le ferite dell'anima rischiano di aprirsi fino a diventare insanabili. Chi vi sarà nel nuovo centro abitato? Quanti si perderanno per strada e sarà una croce a ricordarli. Altri preferiranno il radicamento nella nuova realtà al disagio di un nuovo inizio. Altri ancora avranno trovato la strada del proprio futuro in lontane contrade come i loro nonni, come i loro padri. Come sarà allora la nuova Cavallerizzo? Se si guarda i numeri impietosi dei censimenti, risulta evidente il lento declino. In dieci anni dal 1991 al 2001 gli abitanti si sono quasi dimezzati e la tendenza non si è arrestata. In via naturale, nel 2011 si sarebbe potuto supporre che non avrebbe avuto più di 200-250 abitanti e forse ancora meno. Quella è la presumibile data di consegna del manufatto. Chi ci sarà? In quanti potranno partecipare alla festa?

Abitanti della frazione di Cavallerizzo alla data dei censimenti

Data

1951

1961

1971

1981

1991

2001

2005

Popolazione

835

712

495

698

645

332

299

% incremento


-14,73

-30,48

+41,01

-7,59

-48,53

-9,94

Sono interrogativi che restano nell'aria, perché manca una idea di cosa fare al di là della ricostruzione di un nucleo di case. Senza una ipotesi di sviluppo il futuro resta comunque incerto. Qualche interrogativo è emerso nel pomeriggio. Nella Chiesa parrocchiale di Cerzeto si è proceduti alla  commemorazione dell'anima. Una ideale continuazione della fiaccolata che la sera precedente aveva unito l'intera cittadinanza ai propri cari sepolti nel cimitero, sito proprio sul ciglio della frana, a poche centinaia di metri. Il principio e la fine di tutto.

Vi era rappresentata l'anima popolare, la coralità della popolazione di Cavallerizzo. Tutti attenti a sentire l'appassionato intervento di Vito Teti, a rincuorarsi reciprocamente sperando nel futuro della ricostruzione. Il sindaco che non ha saputo entrare in sintonia con la sofferenza della gente, chiuso nella turris eburnea dei propri egoismi e delle proprie ambizioni, incapace di stare tra la gente, con la gente, innamorato delle proprie parole che lo rendono protagonista senza partecipazione. Manca la liaison spirituale, ma anche la capacità di programmazione, la gestione proattiva di un momento di grave difficoltà dell'intera collettività. Contestato la mattina per la rivendicazione dei meriti della ricostruzione, ha saputo sfoderare il meglio del proprio repertorio nel tentare di impedire l'ingresso nel cantiere ai rappresentanti del Comitato cittadino, chiudendosi in un becero sentimento di vendetta per una sfida inesistente. Ha accusato la totale mancanza del "phisique du rôle", del sapersi vestire della fascia dell'umiltà prima di minacciare di sfoderare quella tricolore per sopperire con l'autorità al deficit di rappresentatività.

I grandi eventi provocano un trauma, costituiscono un momento di rottura di un equilibrio. Sono anche l'occasione per un riflessione, una meditazione necessaria per poter leggere la realtà ed imparare a convivere con le difficoltà, le asperità del terreno e le fragilità geomorfologiche, il ripetersi di disastri e le avversità atmosferiche. I disastri dovrebbero imporre una grammatica di sopravvivenza, un codice di comportamento che assicuri l'incolumità e tenga sotto controllo i danni prevedibili. L'intero territorio comunale è attraversato da una faglia tettonica, che si estende a sud fino a San Fili ed a Nord a San Sosti. Vi sono fragilità e pericoli per gli abitati di Rota Greca, San Martino di Finita, San Giacomo, Mongrassano. Per limitarsi al vecchio mandamento di Cerzeto.

Si continua a parlare di monitoraggio. Opera altamente meritoria ed inutile. Se non accompagnata da una programmazione di interventi per il risanamento ambientale. Come misurare la febbre ad un bambino annotando minuziosamente il progressivo elevamento della sua temperatura corporea, ed assistendo inermi fino a certificarne il decesso. Inevitabile considerato che niente viene fatto a livello diagnostico per individuare la causa e tentare dei rimedi.  Quello che è successo a Cavallerizzo. Si sapeva tutto tranne il momento esatto in cui sarebbe crollato. Non si è nemmeno predisposto un piano di evacuazione. La gente ha spontaneamente cercato la via di fuga ammassandosi sul ciglio della frana. Si sono salvati solo perché San Giorgio ha rallentano l'erosione basale per consentire il passaggio della sua statua! Altrimenti sarebbero finiti in massa nel magma di detriti e fango che si è sprigionato dalle visceri della terra.

Dopo il disastro di Cavallerizzo si è pensato solo alla ricostruzione dell'abitato. Era una priorità ed è giusto e comprensibile che il percorso di una possibile rinascita abbia questo start. Il vecchio abitato è dichiarato defunto, abbandonato. Progressivamente tutto andrà deteriorandosi, l'evoluzione naturale del territorio troverà un nuovo equilibrio geomorfologico, abituandosi all'assenza dell'uomo. Centinaia di ettari di terreno vengono abbandonati allo stesso modo. Si può ben affermare che lo erano già di fatto, poiché gran parte di questi non erano più coltivati. Ma erano li a disposizione, e in una misura minore o maggiore servivano ad integrare quel reddito di sussistenza con le piccole coltivazioni erbacee, con la raccolta delle olive o delle castagne. Costituivano un piccolo scrigno, una fonte di sussistenza che si aggiungeva alle magre disponibilità derivante da qualche forma di assistenza o di qualche magra pensione, ottenuta dopo anni di lavoro negli angoli più sperduti della terra. La mancanza di strade di accesso che consentano di poter raggiungere il proprio podere, impediscono di fatto la fruizione di questo importante patrimonio.  Sembra impensabile che si possa rottamare un intero territorio. La fragilità del terreno può sconsigliare gli insediamenti abitativi, ma non può essere un ostacolo ad una agricoltura controllata, biologica, rispettosa dell'ambiente, ad una attività eco compatibile. Fin dalla sua origine l'uomo ha imparato a convivere con i pericoli, prendendo le opportune misure. La moderna agricoltura consente uno sfruttamento economico del territorio, difeso dalle tecniche di ingegneria naturalistica.

Frane e smottamenti minacciano interi centri abitati, ma non si è pensato ad un coordinamento delle amministrazioni interessate per un progetto di ampio respiro finalizzato alla rigenerazione del territorio. L'Europa si appresta ad inondare la Calabria con un mare di soldi. Vi è urgente bisogno di idee, progetti, proposte che possono e debbono provenire dal basso. Si parla di modello Cerzeto per la ricostruzione. Bisogna ricordare che quel modello nasce da una volontà lontana ed estranea, per una intuizione illuminata da parte di Guido Bertolaso, ma ha trovato perplessità ed ostacoli nell'Amministrazione locale. Il vero "modello" è costituito da coordinamento dell'attività amministrativa con il coinvolgimento dei sindaci del circondario per proporre una bonifica ed una rigenerazione del territorio restituendolo alla macchia mediterranea con cultivar ed essenze che siano in grado di una utilizzazione economica e produttiva. Le zone interne della Calabria possono ritrovare una loro vitalità solo se saranno in grado di garantire un futuro di benessere ai propri cittadini. Cavallerizzo, la nuova Cavallerizzo rischia di entrare nell'elenco di Vito Teti come paese fantasma prima ancora che sia completato.

Bisogna evitare di ritrovarsi nelle condizioni denunciate da Federico Ruysch nelle leopardiane Operette Morali:
"Così colui, del colpo non accorto,
Andava combattendo, ed era morto".

I giovani di Cavallerizzo combattono la propria battaglia per la sopravvivenza di una comunità in dissolvenza, hanno rifiutato più comode soluzioni personali che si sarebbero risolte facilmente con un risarcimento dei danni. Hanno preferito una strada più lunga ed impervia, un percorso difficile in fondo al quale sperano di poter recuperare la memoria. Non si ha solo bisogno di case, ma di prospettive di occupazione, di trovare un senso a questo investimento. Come il “pazzo” Caligola di Camus, ucciso perché sognava la pace, anche loro inseguono un sogno: «Io voglio solo la luna, Elicone." Loro vogliono un paese nuovo che sia vecchio di 500 anni, che racchiuda tra le sue strade i ricordi sepolti nella frana.

Per questo non basta la buona volontà, occorrerebbe una amministrazione accorta, attenta alle evoluzione delle cose. La tragedia ha messo in evidenza le carenze organizzative, ha creato grandi fratture, bisogna reinventarsi l'utilizzo del territorio, ripensare la politica urbanistica ferma ad un programma di fabbricazione ormai datato e reso obsoleto dagli sconvolgimenti che si sono verificati. ridisegnare la rete stradale coinvolgendo i comuni limitrofi con i quali discutere l'assetto complessivo del territorio. Non si riesce neanche a mettere in salvo l'Archivio comunale, lasciato abbandonato nella scuola elementare di Cavallerizzo in uno stato di degrado e di abbandono. Questo dovrebbe essere il vero modello Cerzeto? Ci vuole ben altro. Un momento di riflessione e di riscrittura dell'organizzazione amministrativa. Altrove si studiano forme di collaborazione fra i comuni, come Pandosia o l'Unione dei comuni del Savuto. Qui costituisce una assoluta necessità per affrontare insieme una emergenza.

Tutto questo è futurista nelle mani di una amministrazione incapace di uno slancio propositivo e programmatico. Al momento bisogna puntare tute le speranze sulla ricostruzione come momento di speranza, come punto di ripartenza. Ricostruzione possibile solo perché affidate in mani terze, perché il responsabile è lontano dai giochi e dalle beghe locali. Una vittoria che costituisce una ulteriore denuncia dell'incapacità della classe dirigente. Tante sono le preoccupazioni anche su questo fronte.

Un certo ritardo alimenta dubbi e perplessità che consentono di gettare ombra sul processo. Si lasciano trapelare notizie di infiltrazioni mafiose, della incapacità realizzativa della ditta che ha appaltato i lavori. Si sentono strani sussurri e mormorii su occulte forze che vorrebbero rallentare i lavori per lucrare sui ritardi, sulla revisione dei prezzi, sulle varianti e via dicendo. In questo à necessaria una opera di chiarezza e di assicurazione da parte delle forze di sicurezza per evitino speculazioni e paralisi nell'attività.

FOTO: Con il sindaco di San Giuliano


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