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Il "sistema urbano" è una realtà?
(Parla il Prof. Filippo Ciccone)
di Oreste Parise (Mezzoeuro Anno
VI num 20 del 19/5/2007)
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Rende, 16 maggio 2007
Continuiamo il dibattito sull'Area urbana con l'intervista al Prof.
Filippo Ciccone, docente di Tecnica e Pianificazione
Urbanistica all'Università della Calabria. Il Prof. Ciccone, è un
calabrese di elezione, avendo deciso di restare nella nostra terra dove
insegna ormai da oltre un ventennio. Da sempre è interessato alla
problematica dell'Area Urbana, coinvolgendo nella discussione i suoi
studenti chiamati ad approfondire alcuni aspetti specifici con tesi,
tesine e ricerche varie, ed i suoi collaboratori con i quali
discute e si confronta su questa realtà in rapida evoluzione.
Nella sua
"visione" frutto di una
sofisticata elaborazione, attuata con l'utilizzo
di parametri tecnico-scientifici, e con l'ausilio di una conoscenza
diretta e personale del territorio che consente una valutazione
oggettivizzata della
realtà propone la costituzione di un "sistema
urbano" di 36 comuni,
dove sono compresi i casali di Cosenza ed oltre. Verso Nord la
città si estenderebbe fino a Montalto Uffugo.
Una concezione avveniristica molto lontana dalla sensibilità
maturata
dai politici,
che limitano l'idea a una soluzione ben più ristretta. Chi si ferma ai
due comuni più importanti (Cosenza e Rende), altri si spingono a
ricomprenderne fino a quattro comuni (con l'aggiunta di
Montalto Uffugo e Castrolibero).
La classe politica viene messa sotto accusa non solo per
l'incapacità
di concepire un progetto ampio e lungimirante politico-amministrativo
di pianificazione del
territorio, ma viene altresì riprovata per i molteplici errori che
hanno portato a guasti difficilmente sanabili.
Il discorso è di stretta attualità poiché tutta la politica
urbanistica è in rapida evoluzione. Le
varianti dei PRG approvate di recente nei due
comuni maggiori sono giunti a maturazione e stanno mostrando
interamente il
loro vero volto.
A Cosenza ci si lecca
ancora le
ferite del Piano Zevi, impostato sulla concorrenza con Rende basata sul
metro cubo,
tragico e comico errore. A Rende si sta già pensando ad un Piano di
riqualificazione,
nell’ambito della nuova legge regionale, che metta ordine negli
interventi più
recenti, troppo poco meditati.
C’è molto da discutere, afferma Filippo Ciccone ...
Intervista al Prof. Filippo Ciccone
- In un recente incontro al Garden, si è parlato di Area Urbana,
ponendo l'accento sulla concertazione di iniziative culturale. Erano
presenti i sindaci di Cosenza e Rende ed il Rettore dell'Unical. Non le
sembra riduttivo questo approccio?
- Provo ad azzardare una prima risposta, il prodromo. Noi siamo il
"sistema urbano" più maturo ed
interessante dell'intero Mezzogiorno,
oserei dire del Centro-Sud Italia. Questo è il frutto di una serie di
azioni casuali. Ma nasce anche dalla concorrenza tra due grandi
famiglie di sinistra. Per essere chiari e dare nome e cognome a coloro
che hanno agevolato o comunque assecondato questo processo
indicandone le direttive sono i Mancini ed i Principe. Uso il plurale
poiché siamo in presenza di due dinastie, senza voler dare giudizi
sulle persone o connotare negativamente questa osservazione. Si tratta
di socialisti, vale a dire di politici attenti ai valori comuni e
collettivi.
- C'è una diversità nell'approccio allo sviluppo urbanistico?
- Stavo per arrivarci. Questo insieme è nato da questa concorrenza
tra le due famiglie. È agevole procedere alla caratterizzazione delle
due esperienze, vale a dire l'utilizzo di un'analisi specifica per
individuare i tratti distintivi di un agglomerato urbano. Tra
l'urbanistica consolidata di Cosenza in questo secondo dopoguerra e
quella di Rende vi sono enormi differenze. Cosenza ha una urbanistica
contemporanea molto modesta, mentre quella rendese è avanzata.
Cosa
significa modesta
ed avanzata? In riferimento a quale
parametro?
- Consideriamo i meccanismi di crescita. Cosenza è il capoluogo.
Nell'immediato dopoguerra, a partire dal 1950 con l'avvio del boom
economico, subisce l'impatto dei grandi flussi di spostamenti
della
popolazione, con l'emigrazione, che prende due
direzioni. Il flusso più rilevante è costituito dagli spostamenti dal
Sud verso il Nord e le direttrici estere. Il secondo assume la forma di
una migrazione diretta verso le aree
urbane: dai paesini interni della Calabria verso il capoluogo, per
restare al nostro caso.
Vi è una
grande pressione immobiliare su Cosenza, che reagisce in maniera
identica al resto dell'Italia. Non c'è stata una risposta corretta con
la pianificazione urbanistica come si è verificato nel resto
dell'Europa, qui ha vinto la "speculazione
edilizia". Questo significa la ricerca della
massimizzazione dei profitti: case alte, distacchi minimi, standard
inesistenti. Normativamente gli standard vengono definiti in seguito,
nel 1968, e
si continua a non farli rispettare. Anzi il Piano Zevi, tra l'altro,
tappa ogni buco nelle aree centrali e viene
ignorato qualsiasi principio di buon senso urbanistico. Detto senza
infingimenti, Zevi, che è stato un dei miei maestri, era un grande
storico ed un buon architetto, ma l'urbanistica non era proprio nelle
sue corde.
- Il fenomeno ha interessato solo il capoluogo?
- Esattamente. In quel periodo Rende era ferma e tale resta fino al
1970 quando arriva la grande occasione, che è l'università. Comincia
una lotta politica, giusta, lecita. normale tra le due
dinastie sulla localizzazione dell'ateneo. In quel momento le dinastie
sono
rappresentate dai capostipiti,
Giacomo Mancini e Francesco Principe. Il primo avrebbe preferito che
l'Università fosse insediata a Cosenza. Ma Cosenza non
aveva più spazi per una realtà così ingombrante. Per far passare la
cosa a
livello politico ed impedire che al popolo manciniano potesse sembrare
un cedimento, si ricorse alla finzione dello scambio tra l'Università a
Rende e la grande struttura ospedaliera a Cosenza. Fu un "gentlemen's
agreement" tra i due uomini politici per fare apparire una sorta
di
compensazione tra due progetti altrettanto ambiziosi. Il grande
ospedale cosentino, che doveva essere ubicato a Piano Lago non si farà
mai più, mentre l'Università ha preso corpo.
- In questo periodo si è ripreso a parlare del nuovo ospedale di
Cosenza ...
- Sì, ma questa è un'altra storia. Con l'aria di crisi e la
decurtazione dei fondi agli enti locali, ed alla sanità in
particolare, si tratta più di
desideri che di un progetto esecutivo.
Come detto l'Università ha
un'altra storia. Viene immediatamente bandito un concorso
internazionale in contemporanea con Cagliari e Firenze. Gregotti ne
vince addirittura due, l'Unical e l'Università di Firenze, servendosi
dello stesso gruppo di progettisti. A Firenze il progetto muore per
strada ed il campus non verrà mai realizzato. A Cosenza si inizia a
realizzarlo partendo da progetti-stralcio che non sono un anticipo di
quello messo a concorso,
ma diversi ed autonomi commissionati da grandi fondatori
dell'Università, primo fra
tutti Beniamino Andreatta e Franco Archibugi. Prima dell'inizio del "Ponte", si inizia con il complesso
delle maisonette e dell'Aula Magna
dell'ottimo progettista bolognese Enzo Zacchiroli
e con il Polifunzionale del napoletano Massimo Pica Ciamarra.
- La ricostruzione storica della nascita dell'Università è
intrigante, ma torniamo alla questione dell'area urbana ...
- La nascita dell'Università innesta lo sviluppo di Rende. Senza
questa presenza Rende sarebbe rimasta ferma, tranne piccoli episodi
poco significativi. Poiché a Cosenza, aggredita dalla speculazione
edilizia non si viveva così bene molta gente avrebbe comunque cercato
una soluzione nei comuni limitrofi, come Castrolibero per costruirvi la
villetta o avrebbe rivolto la sua attenzione alla Valle del Crati, nel
comune di Rende. La scala del fenomeno sarebbe stata tuttavia
risibile.
L'Università provoca una vera e propria rivoluzione urbanistica,
provocando una esplosione della crescita demografica di Rende. Mancini
aveva
sentore del fenomeno, essendo sempre in concorrenza con i
Principe, arrivò a camuffare i dati anagrafici per sostenere di stare
ancora sopra i centomila abitanti. La politica cosentina sentiva che
gli
stavano togliendo il terreno da sotto i piedi. Il fenomeno non era
"gestito" ma "subìto", frutto di insediamenti
spontanei, della pressione della
domanda.
- Si produce una divaricazione dello sviluppo demografico.
- Cosenza scende e Rende sale e le due diagonali tendono ad
incrociarsi. Prima o poi ci sarà il grande sorpasso. Questo è
ineluttabile.
- Ma perché non si è pensato ad una complementarietà sia dei
territori che dello sviluppo?
- La concorrenza tra le due grandi famiglie socialisti ha impedito
la costruzione di un percorso comune. C'era un municipalismo che
prevaleva sulle ragioni della armonizzazione delle politiche.
- C'era?
- C'era e c'è tuttora.
- Vista dall'esterno, siamo di fronte ad una città unica. Vi è
contiguità degli edifici, nell'espansione edilizia.
- Non c'è soluzione di continuità, la città unica urbanisticamente
unica è nei fatti.
- Questo è opinabile. Vi è la mancata sutura dei due territori. Un
ostacolo insignificante come il Campagnano crea tuttora problemi di
connettività.
- Dall'esterno non si capisce che si è di fronte a due città. Non
lo si capisce, non lo si può capire. La discontinuità appare guardando
la realtà con una lente di ingrandimento. Risulta evidente solo ad un
osservatore "vicino", che
conosce bene i luoghi e riesce a leggerne le peculiarità. Bisogna
pensare alle sensazioni che prova un utente qualsiasi, un nuovo
abitante, un visitatore occasionale. Tutti costoro non percepiscono
questa differenza. E poi non ha più importanza sottolinearla, perché
non c'è, urbanisticamente parlando non c'è più. Piuttosto, c'è una
discontinuità di qualità. Osservando con attenzione, ed inizialmente si
fa fatica a riconoscerne i tratti e definirne i confini, il Campagnano
segna il confine tra un luogo "incasinato",
per usare un termine eufemistico, che è Cosenza, ed un luogo "interessante", quanto a distacchi
spazi verde, cura dell'arredo urbano ecc. che è Rende. Questa
discontinuità è evidente. Utilizzo proprio questo esempio per far
capire agli
studenti in che cosa consista la differenza tra i due modi di fare
urbanistica.
Non possiamo dimenticare alcuni momenti importanti.
Mancini, grande ministro dei lavori pubblici, a Cosenza ha commesso
diversi errori.
- Vuole indicarne qualcuno?
- L'errore più clamoroso, assolutamente ingiustificato e contrario
a qualsiasi logica, è la stazione di Vaglio Lise. È un errore clamoroso
che ne trascinerà altri. L'architetto che progettò Vaglio Lise, cioè
Sara Rossi, entrerà nel gruppo di tecnici chiamati ad elaborare la
Variante al Piano Regolatore, insieme a Bruno Zevi. con il quale aveva
un rapporto anche sentimentale. Un "DICO" "ante litteram".
- Vaglio Lise ha rappresentato un momento topico perché ha prodotto
ricadute importanti sull'assetto dei trasporti, impedendo un razionale
piano non tra le due città, ma tra la città, considerato quanto abbiamo
detto precedentemente ...
- Vaglio Lise è un cadavere, che bisogna in qualche modo rimuovere.
Non è vero che non si sono fatti dei piani dei trasporti. Il
direttore del nostro Dipartimento, l'Ing. Demetrio Festa, ha fatto sia
il
piano del traffico di Cosenza, che quello di Rende. Qualche
volta ha tentato di farlo insieme, di coordinare le politiche, ma
glielo hanno impedito.
Qui non è questione di piano dei trasporti. Per come viene interpretato
in Italia, esso è una sistemazione del flusso veicolare, "sic standibus
rebus": uno strumento inutile. Non esiste un piano dei trasporti
con scelte
operative strategiche.
- Cosa bisognerebbe fare, allora?
- La programmazione di sistemi di trasporto alternativi, che
comportano investimenti in nuove tipologie infrastrutturali fa parte
ancora oggi del piano urbanistico. Le scelte di nuove infrastrutture,
che non siano parcheggi, è demandata a strumenti ed organismi il cui
obiettivo è altro che la razionalizzazione del sistema viabilistico in
essere.
Quando si parla di urbanistica il focus
rimane purtroppo sempre e solo sull'espansione
edilizia.
- Un altro problema riguarda la parcellizzazione della
programmazione cui faceva cenno. I piani sono costruiti
strettamente a livello comunale creando una evidente frattura tra la
realtà fattuale e la realtà amministrativa.
- Il problema è drammaticamente italiano. Cosenza e Rende non sono
certo distanti dal comune sentire nazionale. Per certi aspetti qui
siamo addirittura un passo avanti. Viviamo in un Paese folle che si
muove in maniera antistorica. I comuni continuano a dividersi. Ad
esempio Roma aveva il grande pregio di essere il comune più grande
d'Italia, e lo è tuttora, con 132.000 ettari seguito da Ravenna con
75.000. Fiumicino ha inteso scorporarsi diventando una municipalità
autonoma. Gli effetti sono stati assolutamente negativi. Qualche
piccolo vantaggio clientelare è costato carissimo in termini di
risorse, razionalità delle reti, sinergie di sviluppo ecc. La qualità
complessiva della vita urbana ne ha risentito negativamente.
In Calabria esiste un caso di unificazione: Lametia Terme,
dovuto al
grande senatore Perugini che mi sembra di ricordare abbia qualche
rapporto di parentela con l'attuale sindaco di Cosenza che dovrebbe
pensare un po' più di più a suo nonno, accendergli un gran cero.
Quando un politico si avventura in grandi intuizioni e le realizza, i
cittadini ne riconoscono i meriti. Oggi sono tutti lieti di avere un
grande comune con enormi prospettive.
- Cosa dovrebbe fare il sindaco Perugini?
- Io l'ho incensato pubblicamente per aver messo al centro del suo
programma elettorale la realizzazione dell'Area Urbana, con l'avvio di
progetti comuni. L'ho anche
affettuosamente rimproverato perché questo elemento sembra
accantonato.Il programma del sindaco è un documento di
riferimento per l'attività amministrativa, un progetto di cui rendere
conto all'elettorato.
Non le
sembra assurdo
non utilizzare con immediatezza le
infrastrutture esistenti, o che possono essere rese efficienti con
limitate risorse in tempi rapidi, nell'attesa dei mega-progetti
avveniristici?
- Rispetto al resto d'Europa, in Italia manchiamo di un elemento
essenziale che consente di realizzare le grandi idee: la continuità
dell'azione amministrativa. Qualunque sindaco a Parigi avrebbe
continuato a fare metropolitane e non si sarebbe attardato a
classificare politicamente i progetti. La qualità urbana, la mobilità
pubblica non hanno colore politico ovunque in Europa e ovunque nel
mondo. Qui sembra che il treno possa essere rosso, rosa o nero. Il
sistema di mobilità pubblica assume il colore di chi lo propone.
Purtroppo spesso neanche questo è vero, poiché nel gioco dei veti e
degli accordi trasversali nessuno difende fino in fondo le proprie
scelte. Non ne ha l'energia e la voglia. Ciascuno è pronto a
sacrificarle in nome della ricerca di un equilibrio politico, peraltro
sempre
precario.
- Lei sostiene che la politica è incapace di dare una risposta ai
problemi concreti?
- Siamo in presenza di un ceto politico che ha molta disponibilità
a parlare di qualsiasi cosa che non sia un fatto concreto. Un sindaco,
un amministratore a cui si chiede la ragione di una buca, è capace di
tenerti due ore a disquisire del problema del centrosinistra senza
trattino o col
trattino. Bisognerebbe diventare prosaici. L'amministratore europeo è
un amministratore che gestisce, opera a favore della collettività: non
è un amministratore che fa politica astratta. Politica inconcludente.
- Allora è stato un errore, ad esempio, abbandonare il ramo
ferroviario che collegava Cosenza con l'Università?
Comunque rappresentava un momento di sutura del territorio.
- Certo che è stato un errore. I sistemi di trasporto in sede
propria
sono in condizione drammatica in tutta Italia. Il problema si presenta
per le
ferrovie nazionali ed
assume un carattere parossistico a livello locale. Fino alla seconda
guerra mondiale eravamo pari al resto d'Europa. Questo deve essere ben
chiaro. L'abbandono di tutto ciò che è pubblico avviene insieme al boom
economico ed alla speculazione edilizia. Tutte le nostre città hanno
realizzato orrende periferie sia da un punto di vista estetico che
funzionale. Nel resto d'Europa hanno periferie estremamente efficienti.
Non esiste nessun posto al mondo dove si fanno prima le case e poi le
opere di urbanizzazione. In Italia questo modo di fare continua ancora
oggi, perché la
politica
ha abdicato al suo ruolo di pianificazione del territorio, delegando
questa funzione ai privati.
- Ma vi è pure qualche eccezione, come il triangolo rosso?
- L'eccezione delle cosiddette regioni rosse, Emilia e Romagna,
Umbria e Toscana, è durata fino a quando si è puntato ed investito su
una politica
urbanistica di qualità. Il caso del centro storico di Monticchiello
dimostra a che punto è arrivato un ceto politico che ha avuto una
straordinaria continuità di governo. Nel corso degli anni si sono
culturalmente impoverite le buone tradizioni urbanistiche per una sorta
di processo di emulazione alla
rovescia, subendo una contaminazione negativa. In questo piccolo centro
della
Val D'Orcia, inserito tra i "patrimoni
dell'umanità UNESCO", è
stata autorizzata la costruzione di qualche decina di edifici a due
piani, che ne stravolgono la caratterizzazione storica e paesaggistica.
È diventato un esempio di un malgoverno territoriale.
- Qui il "modello rosso" si chiama San Giovanni in Fiore, Petilia
Policastro; Mesoraca, Cutro, San Luca d'Aspromonte. Tutti comuni da
sempre amministrati da giunte rosse, i cui esiti urbanistici possono
definire
disastrosi. Il "modello rosso
meridionale" è Vittoria che vanta il
primo sindaco d'Italia, protettore degli speculatori edilizi e
dell'abusivismo.
- Perfetto. Il sindaco di Vittoria guidava il populismo
dell'abusivismo di necessità. Questo succede al Sud. Nel Centro si sono
fatte
tante cose buone. Sul terreno dei trasporti, però, anche lì si è fatto
pochissimo. Bologna e Firenze non sono certo dei modelli di eccellenza
per il trasporto pubblico.
- Cosa bisognerebbe fare, qui. Qual'è la città urbana? Dove inizia
e dove finisce? Il caso di Donnici e della richiesta di edificabilità
in zona rurale dimostra che vi è una richiesta di esaurire il
territorio. C'è un finis alla città?
- Da più di vent'anni, da quando insegno in questa università con
studenti e collaboratori parliamo di Area Urbana e l'abbiamo
definita sulla base di una serie di parametri. Se fossi presuntuoso li
definirei scientifici. L'urbanistica non è una scienza, ma un
disciplina legata al buon senso. Questo dà al cittadino la percezione
delle cose realizzate e la possibilità di poter esprimere una
valutazione di bello e di brutto, meravigliandosi che queste
valutazioni elementari possano sfuggire ai politici. Non è che questi
sono incapaci,
sono inefficienti
- Sono soggetti a pressioni clientelari, a ricatti elettorali ...
- Possiamo definire tutto ciò inefficienza. Tanto a Rende che a
Cosenza nelle ultime elezioni amministrative si sono affrontati due competitor di sinistra,
senza che questo arrecasse alcun vantaggio alla
destra. Questa è una terra benedetta da dio, da un punto di vista della
politica "giusta", almeno in teoria. Il problema è che nessuno affronta
i problemi concreti.
L'Area Urbana secondo le nostre elaborazioni è costituita da 36
comuni.
Il parametro più semplice per individuarli è quello geo-morfologico
costituito da bacino
della media Valle Crati.
- Ma quali sono i 36 comuni, indicandoli per fascia?
- Vi comprendiamo tutti i comuni da Piano Lago fino a Montalto,
passando per le pendici della Catena Paolana e della Sila.
- Questo dovrebbe dunque essere il bacino ottimale per la
massimizzazione
dell'offerta dei servizi pubblici.
- È correttamente definito dai 36 comuni. Nessuno lo può negare,
poiché sono stati individuati facendo ricorso a parametri tecnici e di
buon senso.
- Quali sono le politiche che dovrebbero essere messe in comune?
- Sicuramente le macropolitiche urbanistiche, ambientali, della
mobilità. Parliamo dell'energia, dell'illuminazione pubblica,
delle reti informatiche e di tutte le reti tecniche. Tutti servizi che
è meglio erogare a livello di bacino piuttosto che a livello di singolo
comune per offrire ai cittadini un prodotto migliore e a costi
più
contenuti.
- Quale strumento amministrativo bisognerebbe creare per
massimizzare il "valore aggiunto sociale"? L'Unione dei comuni, la
creazione di società miste, la fusione dei comuni ...
- In questa fase non è necessario fondere i comuni. Ci viene in
aiuto la legge urbanistica regionale, la 19 del 2002, che con le linee
guida varate a gennaio di quest'anno, consentono, favoriscono, anzi
danno aiuti finanziari ai comuni che intendono affrontare le questioni
urbanistiche in forma associata. Basterebbe la volontà di
realizzare insieme gli strumenti urbanistici. Nella mia enorme
presunzione ho anche suggerito un nome. Io chiamerei Crazia questa
nuova città. Per sottolineare la presenza di questo fiume che
l'attraversa in tutta la sua lunghezza, è un elemento unificante.
- Per lunghi periodi dell'anno il Crati non è che un rigagnolo ...
- Ho fatto fare molti studi e tesi di laurea per elaborare delle
proposte concrete con l'obiettivo di nobilitare questo antico fiume,
restituendogli la sua dignità. Questa benedetta e vessata creatura deve
avere un deflusso minimo vitale. Non è vero che non c'è acqua. Viene
captata prima. Abbiamo pensato ad un sistema di barriere mobili per
avere all'incrocio dei due fiumi uno specchio d'acqua visibile e
vitale, non questa specie di puzzle di pozzanghere assediate dalla
spazzatura,
dalla plastica.
Dobbiamo sottolineare che mentre abbiamo una
organizzazione efficiente a livello di problemi intermedi, vi è una
straordinaria incapacità di affrontare i problemi micro e macro, come
mobilità, ambiente, spazzatura, acqua, luce, gas ecc. Per micro intendo
il fatto che vorrei dei marciapiedi che siano dei marciapiedi, vorrei
che ogni cittadino potesse godere di un livello alto di sicurezza
urbana, di poter circolare in città senza i mille ostacoli che rendono
faticoso ogni percorso a piedi, una città a misura di handicap, una
città
attenta alle debolezze sociali, alle difficoltà dei poveri e degli
emarginati.
- Non Le sembra che questo "sistema urbano" sia fin qui frutto del
caos, conseguenza di una assenza di pianificazione territoriale? È
forse mancato il Barone Georges-Eugéne Haussmann che ha fatto grande
Parigi?
- Il Barone Haussmann ha fatto a Parigi nella seconda metà
dell'Ottocento, una
operazione simile a quella già attuata da Sisto V nella Roma del
Cinquecento. In tutti e
due i casi si è effettuata una operazione di trasformazione urbana, con
la creazione di assi viari che fiancheggiavano quartieri degradati. Qui
si è trattato del
problema opposto: la trasformazione di aree rurali in aree
urbanizzate, una operazione più semplice perché consentiva la
realizzazione preventiva delle infrastrutture.
A
Parigi da un caos urbano, si è creata una città ordinata con
ampi
boulevard.
- Noi non abbiamo il problema di Haussmann. Siamo di fronte ad una
città che è cresciuta seppure in misura diseguale. L'urbanistica
rendese guidata dalla dinastia Principe, padre e figlio, ha impostato
la sua urbanistica su criteri "italiani"
di eccellenza. Non stiamo
parlando di standard europei, che sono un po' superiori. Adesso si
stanno facendo molti errori.
- Quali sono gli errori della odierna espansione urbanistica
rendese?
- Rispetto al precedente Piano Regolatore, vi sono state una
ventina di varianti, che già di per sé vanno prese con le molle. Ogni
variante puntuale presenta potenziali pericoli di stravolgimento.
Con le varianti si è consentita l'edificazione in aree dove non vi era
una
armatura urbana
adeguata. In pianura, gli errori si possono facilmente correggere. Uno
degli esiti più critici si è verificato proprio nell'area
Arcavacata-Università,
dove si è ecceduto nel concedere cubatura ed espansione edilizia
incontrollata.
Girando per questo borgo si può verificare che sono state consentite
decine di costruzioni dove abitano centinaia di studenti. Le
casupole dell'antico centro storico sono state quasi tutte demolite. Ne
resta qualcuna come testimonial,
come la casupolina adibita a
drug-store, dove si vende di tutto fino a mezzanotte. Oggi l'arca è pienissima di studenti e
persone, ma carentissima
di
servizi. Lo studente che viene a piedi all'università rischia la vita
tutti i giorni, poiché la strada è un budello privo di marciapiedi.
Mancano le infrastrutture di base.
- Cosa bisognerebbe fare nell'immediato per suturare il territorio,
per dare un respiro immediato a questa realtà urbana?
- Il principe dei problemi è la mobilità. Non possiamo più andare
avanti così. Qui ci sono 30.000 studenti che la notte non possono
andare da nessuna parte perché mancano di servizi pubblici. Come in
ogni parte del mondo gli studenti amano vivere la notte, e con la loro
presenza animano i centri storici delle città universitarie. Qui questo
non accade ed i centri storici languono. La notte produce reddito e
consente a tanti piccoli operatori di sopravvivere. Se vi fosse uno
mezzo che in 18-20 minuti consentisse di raggiungere Cosenza,
molti studenti andrebbero certamente ad animare quel cadavere del
centro storico. Appena al di fuori di Corso Telesio è tutto in grave
abbandono. La presenza degli studenti consentirebbe il recupero delle
unità immobiliari sia di edilizia pubblica che privata. All'Unical
abbiamo il
record italiano di offerta di residenzialità per gli studenti, con i
circa 4.500 posti disponibili. Restano pur sempre circa 25.000 che
formano un enorme bacino di utenza. Affittono, investono, si muovono,
consumano. Se ci
sono le condizioni di mobilità si crea una opportunità per
rivitalizzare il centro storico di Cosenza oltre alle colline di
Arcavacata..
- Resta però la concorrenza tra il nuovo che si sta costruendo a
Viale Parco a Cosenza ed il recupero delle antiche residenze del centro
storico.
- Affidare la revisione del PRG a Sara Rossi e Bruno Zevi è stato
l'ultimo clamoroso errore di Mancini. Si è creata una concorrenza con
Rende basata sul metro cubo che ha creato ulteriori gravi problemi. Si
è
riempito ogni buco con nuova edilizia, Se non si attiva una serie di
interventi a scala di area urbana, la situazione può degenerare. Ogni
intervento di riqualificazione diventerà più costoso e forse
irrealizzabile.
La voce che gira - vox
populi, vox dei - è che il
sindaco Perugini dedichi gran parte del suo tempo al look - è il più
elegante di Cosenza, ma un po' meno ai problemi concreti. È un
simpatico rimprovero. Lo sappiamo che è difficile amministrare, però
non sta dando prova di voler affrontare i problemi, che sono enormi e
difficili. Per risolverli
bisogna essere duri, fermi. Il sindaco oggi può avere un grande ruolo
poiché il
sistema elettorale gli da poteri pieni, può cambiare gli assessori
quando gli pare.
Inoltre egli ha un mestiere che gli consente di dare alla politica
la passione di voler realizzare delle cose e lasciare un segno sul
territorio. Non vive di politica, ma vive la politica con passione, per
passione.
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