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L'ARSSA arsa viva

di Oreste Parise (Mezzoeuro Anno VI num 24 del 16/6/2007)

Rende, 13 giugno 2007

Raccontare la storia dell'ARSSA è un tonfo nella storia post bellica, le lotte contadine in Calabria, l'occupazione delle terre, l'eccidio di Melissa. L'epilogo di queste vicende è stata la Riforma agraria e la costituzione dell'OVS, l'Opera di Valorizzazione della Sila, che ha stravolto il panorama agrario della regione. L'Opera Sila ha espropriato 75.000 ettari eliminando il latifondo, e ne ha acquistato altri 11.000, formando circa 12.000 poderi e 7.000 quote distribuite ai contadini. Si è trattato di una rivoluzione vera che ha inciso profondamente nella società. Intervenuta solo con un pizzico di ritardo, a realizzare un sogno lungamente inseguito e svanito all'alba del nuovo giorno. L'orologio della storia stava già iniziando un nuovo episodio: il boom economico e l'emigrazione di massa che in gran parte hanno vanificato quello sforzo. Tra il 1950 ed il 1970 oltre 350.000 persone lasciarono la Calabria, in prevalenza agricoltori. Non erano solo salariati agricoli in esubero ad emigrare, ma anche i nuovi coltivatori diretti. Le campagne si spopolarono poiché la proprietà assegnata ai contadini non riusciva a garantire alle loro famiglie uno standard di vita adeguato al nuovo livello di benessere, alla frenesia consumistica seguita a secoli di deprivazione, all'impossibilità di soddisfare ben anche i più elementari bisogni.

L'OVS è stata trasformata prima in ESAC e successivamente in ARSSA, con la legge regionale n. 10 del 1993. Di quella storia però ne porta ancora le stigmate, costituito dai circa 16.000 ettari che permangono in sua proprietà.  Se ne era programmata la dismissione prima del drastico intervento di liquidazione.

L'ente possiede inoltre circa 450 ettari di terreno coltivato in proprio per la sperimentazione e la ricerca agricola, attraverso i Centri Sperimentali sparsi nella regione. I più importanti sono nella provincia di Cosenza, come Molarotta in Sila o San Marco Argentano. Ma ve ne sono in totale 10 sparsi un po' in tutta la regione.

La L.R. 10 aveva inteso chiudere la parentesi della riforma agraria prefigurando la trasformazione dell'ESAC in un'agenzia di servizi per l'agricoltura. Il neo-costituito ente di fatto è rimasto pressoché identico al precedente poiché la riforma non è stata attuata. Si è continuato ad utilizzarlo come un serbatoio clientelare tanto negli organi di gestione, dove sono stati collocati politici "trombati" secondo l'espressione di Tonino Russo, sia nelle assunzioni del personale, utilizzandolo come ammortizzatore sociale, ma in maniera strettamente e rigorosamente clientelare. In questi centri lavorano circa 250 persone, tutte in maniera precaria, per le famose 51 giornate che garantiscono la posizione contributiva e la fruizione dell'indennità di disoccupazione. Sono l'ultimo anello della catena e rischiano di rimanere stritolati dal meccanismo. Di questo ed altro parla Tonino Russo, segretario generale della FAI-CISL intervistato qui sotto,  che da tempo immemorabile segue le vicende dell'ARSSA.

In una delle prime nomine della prima Giunta Loiero a presiedere l'ARSSA è stato nominato il Prof. Valerio Donato. Aveva avviato un ampio processo di ristrutturazione e godeva del consenso generalizzato tanto del personale dell'ente che di sindacati ed associazioni di produttori. Sembrava insomma che finalmente si poteva sperare in una positiva evoluzione, dopo il decennale immobilismo e soprattutto la parentesi Pizzini, durante la cui gestione l'ente ha conosciuto il periodo meno brillante della sua storia.

Cosa è successo in questi mesi è lo stesso presidente uscente a raccontarlo nella intervista qui sotto.

Il futuro si presenta color fumo di Londra, nebuloso ed incerto per le tante problematiche in sospeso. Lo stesso processo di liquidazione avrà tempi certamente molto maggiori dei sei mesi previsti e presumibilmente si trascinerà stancamente per anni.

Alla fine si renderà necessario ricostituire una agenzia, magari con un altro nome secondo quanto prevede il Prof. Donato. Le centurie di Nostradamus sono oscure al riguardo, ma considerando gli esempi similari c'è da scommettere che più che una predizione siamo di fronte ad una certezza.

L'ARSSA non può morire
Parla Valerio Donato, Presidente uscente dell'ARSSA

L'ARSSA è stata posta in liquidazione, ma era proprio necessario cambiare cavallo? Lei è stato scelto poco più di un anno fa per rilanciare l'agenzia, perché non  è stato ritenuto idoneo ad affrontare questa nuova fase, alla luce dell'esperienza maturata?

Non posso rispondere e comunque la mia risposta sarebbe molto prudente.
Chiariamo meglio. Vi è stato qualche motivo, qualche episodio che ha incrinato il suo rapporto di fiducia con la Giunta che lo ha nominato?
Per quanto è a mia conoscenza non vi è alcun motivo. Non so se sia stato valutato negativamente il mio operato, ma credo si sia deciso per una ripartenza in tutte e due gli enti, ARSSA ed AFOR, intendo.
Vi era però un unanime giudizio positivo sull'ultimo CdA dell'ente. Questo improvviso giro di boa è parso alquanto strano.
Il giudizio positivo è stato espresso sia dalle organizzazioni sindacali che le associazioni professionali. Erano anni che si continuava a chiedere la chiusura dell'ARSSA. Nell'ultimo anno vi era stato un ripensamento e sono stati espressi giudizi lusinghieri non tanto sulla gestione quanto sulle capacità dell'ente di riacquistare un ruolo. Stavamo concertando la progettazione della ricerca e della divulgazione, tanto con le associazioni professionali che con  il sistema universitario regionale. L'obiettivo era di arrivare alla definizione di un programma comune con il mondo imprenditoriale ed il mondo della ricerca e della formazione da spendere sul prossimo PSR (Programma di Sviluppo Rurale).
Vi è stato qualche segno premonitore che lasciava intravedere la liquidazione, o si è trattato di un fulmine a ciel sereno?
Onestamente no. Al di là del progetto di unificazione di ARSSA ed AFOR che francamente lasciava perplessi, ero convinto, sono convinto ed insieme a me ne erano convinti autorevoli esponenti della Giunta Regionale, che più che una riforma normativa vi era bisogno di una grande riforma di comportamenti e di azione. La legge istitutiva dell'ARSSA non è mai stata realizzata davvero. Al mio arrivo ancora continuava a funzionare come la vecchia Opera Sila o l'ESAC. La riforma preconizzata con la L.R. 15 del 1993 non era stata neppure avviata.
Solo qualche giorno prima l'Assessore all'Agricoltura ribadiva che si voleva riformare, trovare un metodo per andare avanti, non certo procedere alla liquidazione. Cosa è cambiato in pochi giorni?
Che una qualche riforma fosse necessaria è indiscutibile. Il problema è di intendersi su quale tipo di riforma. Vediamo quale erano i problemi più spinosi che richiedevano un pronto intervento. Al centro vi era un numero di settori elevato, 13 per ciascuno dei quali era previsto un livello dirigenziale. Il CdA uscente è intervenuto riducendoli a 5 ritenuti fondamentali. L'altro accenno critico era l'organizzazione territoriale, costituito da ben 50 strutture, che non servono. Il progetto era di ridurle a 10 aziende. Costituire, in armonia con la legislazione comunitaria, 5 centri di competenza e 5 centri di eccellenza. All'interno di essi si poteva svolgere l'azione di ricerca e di divulgazione.
L'ARSSA ha al suo interno i Centri Sperimentali che sono vere e proprie aziende agricole, nonché svolge una serie di servizi per l'agricoltura. Nel suo bilancio non vi è che qualche traccia di ricavi, come giustifica una azienda produttiva senza ricavi?
L'ARSSA è una agenzia e non una azienda anche se al suo interno svolge delle attività produttive. Vediamo cosa ho trovato e cosa ho lasciato. L'ARSSA ha delle aziende agricole e poi il Florens. Al mio arrivo il Florens "produceva" 900mila euro di costi e 300mila euro di entrate, con un disavanzo di 600mila euro. Avevamo previsto di ribaltare questa situazione in un breve lasso di tempo. Le aziende erano utilizzate dalle Università italiane per delle attività sperimentali legate a proprie ricerche, e le utilizzavano come una sorta di piazzole di sosta. Non vi era una capacità propulsiva dell'azienda. Sotto il profilo economico erano completamente inesistenti. Non dico che esse dovessero essere gestite industrialmente e produrre reddito, ma andavano riequilibrate. Si era pensato di trasformare i CSA (Centri di  Sperimentazione Agricola) in aziende modello. Una azienda nella quale in primo luogo si maturava il prodotto, si svolgeva un'attività economica con una capacità di ritorno per i servizi che determinano degli introiti. In secondo luogo l'azienda modello mi serve per due ragioni differenti. Mi costituisce una rete di fattorie didattiche, capaci di generare un turismo scolastico notevole e dall'altro fornisce un prodotto di particolare qualità, frutto della sperimentazione. L'appettibilità di quel prodotto è ancora più significativo. Avevamo stipulato un rapporto con la Carrefour di Cosenza, per esempio, per produrre una confezione "ARSSA per Carrefour" da distribuire in tutta la loro rete di distribuzione. Non entrava in competizione con le altre aziende agricole della regione, trattandosi di prodotti particolari, che servivano come una operazione di marketing, un grimaldello per aprire i mercati ai prodotti calabresi. Gli introiti economici di questa attività avrebbero consentito di mandare a regime la ricerca. In secondo luogo, in quella azienda modello l'agenzia riesce a svolgere anche i suoi compiti istituzionali: ricerca applicata e sperimentazione, la divulgazione, la formazione alta, intermedia tra quella fornita dalla scuola e dalle università.
Credo che nessuno avrebbe voluto che l'ARSSA  si trasformasse in una azienda produttiva "stricto sensu", ma che riuscisse ad utilizzare le sue capacità per un'azione sinergica con le Università, per offrire dei modelli al sistema agricolo regionale.
Si stava appunto programmando una Università ambulante, di concerto con la Facoltà di Veterinaria di Catanzaro e Agraria di Reggio Calabria. Sarebbe stato molto utile che questi atenei avessero potuto trovare un luogo non gestito da loro, poiché la gestione diretta determina degli sconquassi notevoli, dove poter svolgere attività di carattere curricolare in maniera diversa. Ciascuna delle dieci aziende avrebbe potuto fare accordi con privati per produzioni specializzate. Si sarebbe potuto formare un gruppo di studenti che completassero la loro formazione con degli stage dove entrare in contatto con tecniche colturali e sistemi di produzioni peculiari. Questo avrebbe avuto una importanza fondamentale nel medio-lungo periodo. In Calabria manca la cultura e la formazione dell'imprenditore agricolo. Ancora oggi permane forte l'immagine del contadino povero e sfruttato. I giovani non si avvicinano all'agricoltura poiché l'associano al quel modello. Facciamo l'esempio del suino nero ad Acri. Si stava concludendo un accordo interessante con il comune per trasferire il Centro Sperimentale in un bosco di circa 100 ettari. Con un investimento di un milione di euro avremmo costitutivo un centro di 300 riproduttori, che avrebbero prodotto 6.000 capi d'ingrasso,  numero che consentiva una gestione autosufficiente del Centro. I ricavi non solo avrebbero coperto i costi dell'allevamento, ma avrebbero finanziato anche la ricerca. Questo il modello da seguire: trasformare i Centri Sperimentali in aziende autosufficienti, sia pure al netto del personale. Il costo sociale del personale è sopportabile se ho come ritorno un contributo di servizi e di ricerca e dei modelli aziendali che possono migliorare le tecniche colturali per contaminazione.
Prof. Valerio DonatoAll'agricoltore calabrese nessuno ha offerto dei modelli, neanche l'ARSSA pur se questo era il suo compito.
Questo è vero, ma non lo si poteva fare certo in un anno, ma questo era l'obiettivo. Per chiarire quanto andavo dicendo, siamo passati da una condizione in cui i Centri costavano 3/400mila euro l'anno a previsioni di incasso di 800mila euro.
Veniamo ai problemi posti dall'ipotesi di liquidazione. Che fine farà il patrimonio fondiario dell'ente? Può la Provincia essere chiamata a gestire aziende agricole? Come si prefigura il futuro dell'ARSSA? Vi sono anche i circa 16.000 ettari dell'ex OVS ...
Questo è un problema serio. Secondo quanto prefigurato nella finanziaria regionale, i compiti di respiro regionale verranno gestiti da un autonomo settore dell'Assessorato all'Agricoltura, gli altri compiti di rilievo locale saranno trasferiti alle Province.
Lo schema è semplice, ma dovunque andranno a collocarsi resta il problema di gestire il personale, i Centri Sperimentali, il patrimonio fondiario ...
Consideriamo il problema finanziario. Si tratta di un falso problema, poiché il personale ovunque verrà collocato deve essere pagato poiché non può essere licenziato. Qual'era il sistema virtuoso che si stava sperimentando all'ARSSA? Il contributo regionale 2006 all'ARSSA era pari a 41 milioni di euro, di cui tre e mezzo per il rimborso di un prestito pregresso garantito dalla stessa regione ed un milione che l'ARSSA doveva destinare ai vini di Cirò per la crisi del settore. All'ente restavano 36 milioni a fronte di 41,5 di soli costi del personale senza considerare il resto delle attività. Il contributo di quest'anno è pari a 30 milioni contro i 42 necessari per le retribuzioni. L'attività dell'agenzia consentiva il recupero di queste somme attraverso l'attività, le alienazioni immobiliari. La liquidazione dell'ARSSA provoca un incremento delle spese a carico del bilancio pubblico, distribuito tra la Regione e le Province.
Ma quant'è il personale ARSSA?
Sono circa 1.200 persone di cui 300 ex-ESAC. Secondo un modello che avevo sviluppato, nell'arco di 7/8 anni si poteva accompagnare al pensionamento questo personale, lasciando soltanto 40-50 lavoratori che poi sono quelli che danno il maggior contributo all'agenzia, con un risparmio complessivo di 42 milioni di euro.
L'aspetto finanziario non esaurisce la questione. Cosa faranno 1.200 persone trasferite alla Regione o alle Province? Eliminato il carrozzone resta il problema del loro utilizzo.
Soffermiamoci per un attimo sul carrozzone. Questo costa lo 0,3% del bilancio regionale. Ma chiediamoci perché l'ARSSA è stato sempre qualificato come un carrozzone. Essenzialmente per due ragioni, uno per i compiti impropri che gli sono stati assegnati come gli impianti di risaliti e gli acquedotti. Questi ultimi sono già stati trasferiti ai Consorzi di Bonifica con un provvedimento che troverà attuazione a breve. Per gli impianti di risalita era già stata disposta la costituzione di una società privata con l'ingresso della Provincia e della Ferrovia della Calabria per gestirle espungendole dall'ARSSA, trasferendo anche 100 lavoratori. Il secondo problema è costituito dalle 50 strutture territoriali, che sono state concepite in una epoca nella quale potevano avere un senso, mentre oggi hanno perso qualsiasi ruolo. Vi sono 24 CEDA (Centri di Divulgazione Agricola) e 10 CESA (Centri di Servizi Agricoli) che non hanno alcuna utilità ma che sono previsti da una legge regionale e senza un intervento legislativo non si poteva intervenire. Al mio arrivo ho anche trovato 5 Centro Provinciali costituiti unicamente per giustificare una dirigenza, che ho provveduto ad eliminare.
Quindi sarebbe stato possibile risanare l'ARSSA, c'era un futuro?
Certo, togliendo tutte le attività improprie e riducendola  a 10 aziende produttive lo scenario sarebbe stato molto diverso. In questo periodo si è fatto uno sforzo per concentrare l'attività dell'agenzia nei suoi compiti istituzionali, ricerca, sperimentazione-divulgazione e formazione. Questi avrebbero dovuto essere i tre pilastri sui quali costruire il futuro rendendo finanziariamente autonoma l'agenzia. Le risorse finanziarie avrebbero potuto essere reperite in primis con la dismissione del patrimonio ex-OVS e per questo avevamo riattivato il censimento degli immobili, completato al 70%. Abbiamo predisposto gli atti per recuperare a bando 12 milioni di euro, ma considerati i ribassi, avremmo potuto facilmente ottenere 7/8 milioni che già rappresentavano una rivoluzione. Con questo sistema abbiamo per esempio venduto "Il Brigante" in Sila e quest'anno avremmo potuto mandare a regime il meccanismo recuperando già 3/4 milioni di euro. In secondo luogo abbiamo programmati progetti sul PSR per circa 15 milioni di euro. Terzo vi sono dei servizi che l'ARSSA svolgeva a favore di terzi che erano comunque una fonte di ricavi. Infine, sulle attività produttive potevamo far ricorso al credito bancario per l'assunzione di mutui il cui rimborso era assicurato dalle attività previste nel business plan.
Qual'è, a suo avviso, la logica che ha portato alla liquidazione dell'ente? Non vi è un evidente dimostrazione di risparmio.
Non saprei. Immagino sia stato un problema politico, per segnare una svolta. Le ragioni possono essere una o centomila, il giudizio politico mi riguarda poco, anche se non posso esprimere un giudizio molto positivo. Voglio sottolineare tuttavia che questa può essere l'occasione da cogliere per realizzare una reale riforma.
Ma in capo a chi, facendo cosa? Non credo che il Dipartimento dell'Assessorato all'Agricoltura o la Provincia siano in grado di realizzare quanto non è stato possibile realizzare con una agenzia specializzata.
Penso che il Commissario dovrà avere il compito di espungere quelle attività improprie cui abbiamo fatto cenno e mantenere le attività al momento in capo alla gestione liquidatoria per trasferirle poi alla Regione. Una volta depurata da queste attività sono sicuro che si porrà il problema della ricostituzione di una agenzia per l'agricoltura. Le aziende agricole non possono essere gestite dalle università, né dal Dipartimento. I servizi non possono essere gestiti dalle Università né dalle Province. E neanche dalla Regione.
Mi chiedo se non è una vicenda assimilabile a quella del Consorzio Sibari Crati, che è stata liquidata undici anni fa e sta ancora li per la difficoltà di mettere in atto la procedura liquidatoria. Il liquidatore aveva avuto tre mesi di tempo ...
Non sarà possibile liquidare l'ARSSA nel breve tempo prefigurato dalla legge. Solo per trasferire il patrimonio alla Regione necessita di un milione di euro. Il passaggio di personale dal comparto agricoltura al comparto pubblico impiego implica una maggiore contribuzione di tre milioni di euro annue, a questi bisogna aggiungere il TFR quantificabile in 15 milioni di euro ed infine un disavanzo tra il contributo regionale erogato all'ARSSA e le retribuzioni del personale di 11 milioni di euro. Ma il punto dolente sono i giudizi pendenti, che sono migliaia salvo a non volerli addossare alla Regione, poiché non possono certo trasferirli alle Province.
Un bell'affare davvero per la Regione.
Ora il Commissario liquidatore dovrà fare di tutto per mantenere queste attività e cogliere l'occasione della ricerca per epurare gli elementi negativi. Anche i divulgatori che sono una grande risorsa, devono collaborare in questo sforzo. Fatto questo bisognerà fare una seria riforma dell'ARSSA per trasformarla in una vera struttura di servizi territoriali.
Risulta incomprensibile che non si sia utilizzata la struttura per elaborare un progetto di rilancio, di sviluppo o anche di liquidazione per conoscere in anticipo le conseguenze di una decisione. La strada scelta non mi sembra razionale.
Questo è vero. Una discussione serena sul futuro dell'ARSSA avrebbe sicuramente impedito una soluzione affrettata e pasticciata ed una sua graduale conduzione verso una gestione ordinaria. Questo percorso avrebbe però sicuramente incontrato forti ostacoli a livello politico.
Ma è proprio necessario riformare a tutti i costi, o non è a volte preferibile scegliere la strada della razionalizzazione?
Come studioso del diritto so che qualsiasi norma non modifica la realtà. L'ARSSA è stata normativamente riformata nel 1993 con la legge 15, ma a dodici anni di distanza quella legge non è mai stata attuata. Quella era una buona legge, e se fosse stata applicata avrebbe realmente prodotto una rivoluzione. Il problema era quello di abrogare la legge 10, che ha istituito i servizi territoriali.
Non sarebbe stato opportuno che qualcuna avesse alzato il telefono per chiedere al Prof. Donato, che da più di un anno studiava il problema un parere su come procedere?
Io sono sempre stato disponibile, ma non mi propongo mai. Da cittadino penso che tutto questo sia irragionevole, ma capisco che la politica ha degli obiettivi difficile da realizzare per i quali è talvolta necessaria una spinta propulsiva. Ribadisco tuttavia che bisogna cogliere questa occasione per realizzare davvero una riforma dell'agenzia.

Ma i precari devono essere assunti subito
Intervista a Tonino Russo, Segretario Generale FAI-CISL

Da un punto di vista sindacale la questione cruciale sono i precari. Tuttavia, mi sembra che l'interrogativo più importante sia sulla sorte dei centri sperimentali a cui questi sono collegati. Che fine devono fare? Licenziamo i precari o li sistemiamo altrove, ma di questo grande patrimonio, sia da un punto vi vista fondiario che produttivo, che ne facciamo? Lo dismettiamo, lo mettiamo sul mercato, incentiviamo la formazione di imprese private?

La nostra preoccupazione non è solo quella di tutelare 250 posti di lavoro a rischio. Certo anche questo, considerato l'elevato tasso di disoccupazione è un elemento da non trascurare. La nostra maggiore preoccupazione è però rivolta all'istituto, alla difesa del uso ruolo. In una regione come la nostra dove il settore agricolo è fortemente polverizzato, l'incidenza media aziendale non supera i tre ettari, lo strumento pubblico di sostegno non solo nello sviluppo, ma nella ricerca, nell'indirizzo di mercato è necessario. Tanti piccoli agricoltori non riescono a mettersi insieme perché manca nel Meridione la logica associativa per competere meglio su mercati globalizzati.
Ma in questo senso, l'ARSSA ha svolto un ruolo?
Solo in minima parte. Non per incapacità dell'ente o per carenze legislative. Un costume tutto calabrese è quello di voler cambiare le leggi, ancor prima di applicarle compiutamente. L'ARSSA cambia nome ogni dieci anni. Siamo partiti con l'OVS (Opera Valorizzazione Sila), poi è stata trasformata in ESAC, e quindi l'ARSSA. Si stava ipotizzando un altro percorso per la creazione dell'ARSAF, accorpandola all'AFOR. Ora in una forma che riteniamo un po' carbonara, si pensa di sopprimere entrambi gli enti perché sono dei carrozzoni. Prima di procedere con il bisturi bisognerebbe capire se la funzione per cui quell'ente è stato creato è stata espletato o meno.
Ma cosa ha impedito all'ente di svolgere la propria funzione?
La politica che tende in ogni occasione di mettere mani nella gestione, anziché limitarsi alla sua funzione di indirizzo, di programmazione. Questa commistione dei ruoli provoca la degenerazione del sistema.
Ma vi sono all'interno dell'ARSSA delle professionalità in grado di offrire dei servizi avanzati in agricoltura?
Certamente si. Di recente è stato arruolato un gruppo di divulgatori ...
Ma la domanda tendeva a chiarire il ruolo della politica. Nella sua ingerenza nella gestione, non ha anche "scelto" il personale, e non certo seguendo criteri di competenza e professionalità?
Anche questo certo. Non so se i metodi della selezione sono sempre stati trasparenti ed hanno tenuto conto dei meriti o di altro. Posso però garantire che all'interno dell'ente vi sono professionalità valide per dare quel sostegno necessario alla nostra agricoltura. Non è per la mancanza di un idoneo strumento legislativo che non è stato dato questo sostegno, ma per colpa della politica. Attraverso i commissari, attraverso varie forme di governo diretto che ha voluto mantenere su queste strutture, ne ha offuscato l'operatività. Noi riteniamo che i Centri Sperimentali sono il fiore all'occhiello dell'Agenzia. Senza di essi l'ARSSA o qualsiasi cosa la sostituisca non avrebbe futuro. Sarebbe un grande sperpero di denaro pubblico, perché essi generano comunque dei costi.
Ma quale dovrebbe essere la forma migliore per gestire i centri sperimentali? Cosa dovrebbero realmente fare? Si ha l'impressione che nell'ARSSA come in tanti altri enti pubblici ci si occupa di tante cose, ma alla fine non ci si occupa di niente, poiché il prodotto non esce fuori, non si vede alcun risultato apprezzabile. Facciamo un esempio banale, il "Centro vendita". È relegato in un magazzino a Via Popilia e pochi ne conoscono l'esistenza. Non ha un ruolo né commerciale, né di divulgazione scientifica, né di degustazione dei prodotti ...
Nella logica riorganizzativa che noi pensavamo che la politica volesse percorrere, lo sforzo era quello di depurare questi enti da funzioni e da compiti che noi riteniamo impropri. Non solo i "Centri Vendita", che riqualificati potrebbero avere un ruolo per far conoscere un prodotto tipico locale su mercati che si fanno sempre più agguerriti a livello mondiale e potrebbe servire da volano per tanti piccoli agricoltori o produttori che non la capacità di far conoscere fuori dai propri confini prodotti eccellenti in termini di qualità, di bontà. La cosa più abnorme è però quella di mantenere la gestione di impianti di risalita a Camigliatello e Lorica che nulla hanno a che vedere con le funzioni proprie dell'ARSSA. Quando si tenta di fare tutto si finisce per fare poco e quel poco lo si fa male. Gli impianti di risalita sono essenziali per lo sviluppo del turismo in Sila, ma sono funzioni che non possono essere delegate all'ARSSA.

Tra le eccentricità si possono menzionare i Parchi gioco, come a Lorica, per altro sempre chiuso. Ritorniamo per un attimo ai Centri Vendita, che mi sembra un caso paradigmatico. Vi sono almeno due incongruenze. L'uno è far conoscere i prodotti locali "in loco", l'altro è commerciale. Non sarebbe più efficace un accordo con Carrefour o la CONAD, o altra azienda della grande distribuzione, per ottenere una efficacia molto maggiore a costo infinitamente minore se non nullo?
L'obiettivo dei Centri Vendita era quello della divulgazione dei prodotti ottenuti nei Centri Sperimentali. Obiettivo della legge non era certamente quello di organizzare uno spaccio locale, ma bisognava organizzarla quanto meno a livello nazionale per ottenere una diffusione ampia anche al di fuori dei confini nazionali. Si era ipotizzato, per esempio, di organizzare nelle grandi città delle specie di fiere per un'azione di marketing, di pubblicità dei prodotti locali con un contatto diretto con la gente nelle piazze. Si era pensato di organizzare delle manifestazioni volanti. Purtroppo nei ruoli chiave, non vengono messi persone competenti ma i trombati dalla politica, candidati non eletti o da rottamare che vengono sistemati in posizioni di sottogoverno dove vengono lautamente compensati. Questi enti sono condannati a non funzionare principalmente per questi motivi.
Tornando al problema dei Centri sperimentali, esiste un problema di patrimonio fondiario rilevante. Che fine devono fare questi beni? Bisogna venderli, mantenerli in produzione, trasferirne al proprietà alle Province? Quale dovrebbe essere il loro futuro secondo il sindacato

Anche questo ci preoccupata. La Regione sfortunatamente legifera poco: solo due o tre leggi contro le oltre 40 della Puglia nello stesso periodo. Spesso si provvede a modificarle o sopprimerle senza aver neanche avuto il tempo di sperimentarle. La legge 9 del maggio scorso ha disposto la dismissione di alcuni beni immobiliari, tra cui quelli degli entri che vengono soppressi  con il risultato di veder vanificata la possibilità di poter svolgere i compiti istituzionali in competenza all'ARSSA.
Di cosa stiamo parlando? Qual'è l'entità di questo patrimonio?
Si tratta di una estensione immensa. La stessa regione non ha contezza del loro valore. A voler solo pensare al costo del trasferimento delle proprietà da un ente all'altro, di determinano situazioni assurde. In essi vanno ricompresi terreni, fabbricati, strutture aziendali e impianti. Tra di essi vi sono dei veri e propri gioielli per la salvaguardia e la valorizzazione dei prodotti locali, alcuni centri che dovevano essere rilanciati e fornire il loro contributo nella fase di valorizzazione, alcuni centri degustazione come il Florens, un modello per la valorizzazione della gastronomia calabrese.
Quanti sono e quali sono i centri di produzione?
Ve ne sono una trentina in tutta la regione. Nella solo Provincia di Cosenza che poi è la più estesa, ve ne sono sette o otto. Ognuno di essi ha una funzione diversa. Per esempio il Centro di Molarotta è orientato verso la zootecnia, dove si sono sperimentati l'allevamento dei bufali, della selvaggina da ripopolamento. Il Centro di Mirto orientato verso l'agricoltura, con alcune pregevoli cultivar d'olivo.
Sarebbe ipotizzabile la costituzione di cooperative tra gli stessi lavoratori per rilanciare sul mercato queste attività?
Vi era un vecchio progetto, poi fallito, che era alla base della costituzione dell'Esac Impresa. Questa aveva lo scopo di superare le difficoltà di cui stiamo parlando.
Cosa ha fatto fallire quel piano, sempre e solo la politica? Però bisogna dire che non c'è stato un progetto industriale, uno sforzo degli stessi lavoratori ad un salto nell'imprenditorialità.
Contrariamente a quanto si pensa, vi sono tanti progetti anche molto intelligenti, idee innovative. Il problema è che poi non vengono tramutare in realtà.
Non sarebbe opportuno predisporre un progetto industriale e chiamare gli industriali agricoli a realizzarlo?

Nonostante tutti i sostegni che l'agricoltura ha ricevuto, l'agricoltura non ha fatto quel progresso che si si sarebbe aspettato. I fondi pubblici sono stati spesi male, ma i fondi elargiti ai privati non hanno avuto esito migliore. Dove ci è andata bene non si è avuto alcun risultato. Gli obiettivi comunitari di sviluppo ed occupazione sono stati totalmente disattesi.
Anche questo è colpa della politica?
Assolutamente no. Qui manca una classe imprenditoriale capace di raccogliere le sfide del cambiamento e dell'innovazione, di fare in conti con un mercato che non si esaurisce nell'ambito locale. I confini sono mondializzati e in quel confine ti devi misurare. La politica amministra consensi e deve dare risposte per il ruolo che gli viene conferito. Ha le sue responsabilità per l'assenza di un quadro di riferimento. Le idee non sono mancate. Negli anni '70 si pensò di varare in Calabria un piano per la valorizzazione dell'olio di oliva, prodotto di grande qualità che possiede alcune caratteristiche organolettiche riconosciute come uniche. Si voleva creare un marchio, un prodotto di nicchia che potesse essere conosciuto sui mercati internazionali. Ne nacquero due progetti, un centro di raccolta a Lametia e l'Elaiopolio - dal greco città dell'olio - a Rossano, dove si dovevano effettuare analisi del prodotto,  confezionamento, indirizzo dei coltivatori per gli accorgimenti da utilizzare per ottenere un prodotto di qualità. I due impianti sono stati completati e mai entrati in funzione. A Rossano vi sono ancora i macchinari imballati, magari ora arrugginiti, in attesa di essere istallati. Questo stabilimento di parecchie migliaia di metri quadrati non è nemmeno di proprietà della Regione, ma del MAF (Ministero Agricoltura e Foreste). Oggi la Regione vorrebbe dismetterlo, vendere un bene non suo. Nella vicina Sibari vi era un'altra struttura nata per il concentrato di pomodoro e così via di spreco in spreco.
Noi stiamo giustamente addebitando alla politica i suoi errori, ponendola di fronte alle sue responsabilità. Oggi, però, è stato deciso lo smantellamento dell'ARSSA, ritenuto un inutile carrozzone. Perché non si riesce a contrapporre un progetto di rilancio di questa attività, parlo dei sindacati, delle associazioni di categoria, degli  stessi lavoratori. Se continuiamo a pretendere soluzioni dall'alto non le otterremo mai e sicuramente non nella direzione giusta.
Intanto la politica deve chiarire cosa vuole fare. Il vero problema è che manca un tavolo di concertazione. Alla base di questo sciopero del 19 prossimo c'è la questione del lavoro, ma soprattutto l'assenza di un confronto. Noi abbiamo delle idee che vogliamo sottoporre ad una politica responsabile. Sulla base di una disposizione della finanziaria regionale del 2002, era in corso una trattativa con l'Assessore competente, per il ridisegno dei due enti AFOR ed ARSSA. L'ultimo incontro si era tenuto solo due giorni prima della notte in cui è stato deciso il maxi-emendamento. L'Assessore si era dichiarato soddisfatto dell'andamento della trattativa. Il vero problema è in questa giunta la mano destra non sa quello che fa la sinistra. A che serve confrontarsi con idee e proposte quando poi non vengono prese in nessuna considerazione o gli interlocutori con i quali ci si confronta vengono delegittimati dalla stessa politica. Avevamo avuto sentore di questa furia di voler cancellare i due enti, ma a nostra esplicita richiesta l'On. Pirillo ha sempre ribadito che l'obiettivo prioritario era il riordino con l'accorpamento dei due enti. Ipotesi alla quale eravamo favorevoli. C'eravamo già addentrati nel merito.
Quale sono le vostre proposte per tutelare i lavoratori precari che sono l'anello debole di questa catena, per dare una speranza a queste vite spezzate?
Le nostre proposte sono chiare. Vi è stata anche qualche polemica con il Vice-Presidente della Giunta Regionale. Come CISL riteniamo che bisogna fare un serio discorso di prospettiva ai circa 250 precari che vantano circa un ventennio di professionalità all'interno di queste strutture, prima che queste vengano dismesse. Finora abbiamo avuto solo indicazioni molto fumose per una stabilizzazione. Noi per stabilizzazione intendiamo il passaggio a tempo indeterminato proprio perché vogliamo un ruolo ed una funzione per i Centri.. Non ci preoccupiamo solo dell'aspetto sociale. In una regione come la nostra se sperimentazione si deve fare non la si può fare ad intermittenza. Le idee sono però confuse, si parla di volerli agganciare alle Università.
L'ipotesi legislativa è di voler trasferire tutto alle Province, ma queste sono in grado di gestire i Centri Sperimentali? Si parla dell'Università, ma questa può trasformarsi in imprenditore agricolo?
Queste sono le nostre preoccupazioni. Queste sono le preoccupazione dei lavoratori.
L'ipotesi più razionale è proprio quella della dismissione, poiché nessuno è in grado di gestirle, ma chi "acquisterebbe" l'onere di 250 lavoratori?
È molto difficile che un privato possa acquistare questo patrimonio, bisognerebbe prima creare le condizioni. Per questo noi pretendiamo che i lavoratori vengano stabilizzati prima della dismissione di questi impianti.
Se comunque gli impianti verranno dismessi, cosa dovranno fare i lavoratori assunti? Andare a lavorare alla Provincia? Non certo nei Centri Sperimentali dismessi.
Non penso che la politica voglia realmente disfarsi di queste valide strutture. Le condizioni catastali del patrimonio agricolo calabrese non consente agli agricoltori di potersi organizzare da soli per affrontare i mercati mondiali. Necessitano di una politica di indirizzo e di supporto. Dai contatti avuti con i vari esponenti politici, si ha l'impressione che questi Centri Sperimentali continueranno ad avere un ruolo anche nel prossimo futuro, anche se non è chiaro chi sarà l'ente gestore.
Questo mi sembra un rebus. Non si possono vendere, non possono essere trasferiti alle Province...
Non è chiaro se vogliono venderli o trasferirli alle Province. Se vengono trasferiti alla fine li gestirà un ente pubblico. Si tratta dell'inizio di un nuovo ciclo di cambiamento nominalistico.
Ma se l'ARSSA è un carrozzone basterà cambiare ancora una volta il nome?
La logica è sempre la stessa, si ripete quanto è stato fatto dal passaggio dall'ESAC all'ARSSA. L'addebito che facciamo alla politica è proprio questo, che bisogna cambiare indirizzo.
Allora, la vostra proposta mi sembra che sia che i precari debbano diventare dipendenti provinciali a tempo indeterminato.

No. La Regione ha nominato un Commissario Liquidatore per sei mesi per dismettere questi enti. Il termine è prorogabile secondo la previsione della stessa legge. Conoscendo per esperienza il linguaggio burocratico, noi ci proiettiamo in un arco di un un anno. Basti pensare al Consorzio Sibari-Crati. È stato messo in liquidazione nel 1996 con la nomina di un Commissario Liquidatore per tre mesi. Siamo arrivati ad 11 anni e non se ne intravede la fine. Noi chiediamo al Commissario Liquidatore, prima che cessi della sua funzione, di stabilizzare i precari. Questo era un impegno ed un percorso già delineato all'interno dell'ARSSA.
Questi andranno trasferiti successivamente alle Province...
Se sarà quello il gestore. Quanto noi proponiamo non ha nemmeno costi aggiuntivi perché il contratto di lavoro a tempo determinato in agricoltura prevede alcune nozioni contrattuali che hanno dei costi aggiuntivi pari circa al 30%, più l'indennizzo che viene erogato dall'INPS come indennità di disoccupazione che incidono comunque sulla spesa pubblica, danno un ammontare che non si discosta molto dal costo del tempo indeterminato.
Credo che l'intenzione fosse quella di licenziarli per diminuire l'incidenza sul bilancio regionale.
Bisogna capire che qui non si può perdere nemmeno un posto di lavoro, poiché con la disoccupazione che c'è, questo costituisce un dramma. Bisogna ricordare che questi carrozzoni sono stati creati dalla politica e sono stati imbottiti di personale, spesso al livello apicale, che non sono funzionali ai compiti assegnati all'ente.



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