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L'Unical di Lino Versace

di Oreste Parise (Mezzoeuro Anno VII num. 40 del 4/10/2008)

Rende, 2 ottobre 2008


L'Unical è uno dei fiori all'occhiello della Calabria, ma il progetto originario è stato stravolto. Pasquale Versace, il candidato a rettore che nelle ultimi elezioni si è contrapposto a Gianni Latorre racconta una sua idea ...

Pasquale Versace è un docente all'Unical fin dagli esordi dell'ateneo. Napoletano, che ha conservato un legame profondo con la sua città, dove vive tuttora la sua famiglia, ha un profondo attaccamento per la sua università. Ne difende la sua originalità, ma vede con occhio molto lucido i difetti che sono andati accumulandosi nel corso degli anni, seguendo il passaggio da università di élite a università di massa, da un ateneo aperto ad una scuola sempre più "provinciale" e nella composizione degli studenti, e nella struttura burocratica e nella classe docente: una "cosa" sempre più "nostra", seguendo un modello che è andato diffondendosi in tutta Italia. È solo di ieri il grido di allarme apparso sulla Repubblica: "L'ateneo al voto tra i parenti", denuncia Tito Boeri riferendosi alla Sapienza di Roma. Il nepotismo è un male oscuro che ha contagiato un po' tutta l'Italia e non è certo l'unico.

Certamente l'Unical non è esente, qualche untore è arrivato fin qui, e poi la pletora dei consorzi, l'aumento esponenziale del numero degli studenti, la "fabbrica di San Pietro".

Il prof. Versace è un chiacchierone, come egli stesso ama definirsi, dall'eloquio facile, pronto ad intervenire senza rete su qualsiasi argomento. Abbiamo riassunto un lungo colloquio, da cui emergono tanti spunti di riflessione.


Intervista a Lino Versace

L'università è ormai una fucina di idee, con una costellazione di enti, consorzio, ed iniziative varie che si stenta a seguire.
Ho molte perplessità nei confronti di tutte queste cose che sono sorte come i "Centri di competenza". i distretti tecnologici, il Parco tecnologico. Si ha l'impressione che sia sufficiente aggiungere il termine esoterico di tecnologico per trasformare una idea banale in una lampo di genio. Qualsiasi cosa definita tecnologica porta - ipso facto - sviluppo e crescita. Soprattutto si stanno creando molti di questi organismi che sono scatole assolutamente vuote. Io faccio parte di questa cosa misteriosa che sono i "Centri di Competenza", che sono partiti almeno un anno e mezzo fa, ma non si riesce a capirne il senso. Sembra solo nate poiché c'erano delle risorse che qualche ministero rendeva disponibili; le università  si sono accordate per lottizzarsi i fondi, con una generica attribuzione di campi di ricerca ed una disseminazione a pioggia dei fondi, senza che si sia visto neanche un inizio di attività. Di risultati neanche a parlarne. Sto dentro questo centro, ho investito delle risorse e vorrei capire cosa si aspettano che io faccia.
C'è anche un conflitto di fatto con Calpark, poiché hanno funzioni più o meno simili.
Per la verità  Calpark non si è mai capito cosa volesse fare. È una vecchia idea di "intercettazione fondi". La stessa identica cosa sta avvenendo adesso, sebbene in scala più ridotta, per il nuovo programma europeo. La logica è che si sono create in questo settore che dovrebbe essere di sviluppo, delle rendite parassitarie; una serie di enti, e di persone che non producono nulla se non dei servizi spesso non necessari, immaginari. Tutte queste idee come lo spin-off, gli incubatori, mi sembrano che non tengono conto del fatto essenziale che non c'è una domanda finale. Io immagino il passaggio successivo: l'università  fa la ricerca, l'università  crea lo spin-off, l'università  fa l'incubatrice, l'università  farà  l'azienda e l'università  si comprerà  i prodotti. In tal modo l'università  chiude su sé stessa l'intero ciclo: dal pensatore al consumatore finale!
Un altro aspetto di questa organizzazione è che questo tipo di struttura impone l'esigenza di confrontarsi con la politica, o di trasformare i docenti in politici, tanto è vero che vi è stata una gemmazione di movimenti politici all'interno dell'Università; "Progetto Calabria", ad esempio, è nato qua.

L'università  ha perso la sfida dell'autonomia ed ha scelto la strada della subordinazione. È evidente che si è entrati in un meccanismo dal quale poi è molto complicato affrancarsi, nel momento in cui il rettore, che è la massima carica dell'ateneo, si candida per elezioni di qualsiasi tipo; essendo un professore dovrebbe avere questa come meta ultima del suo itinerario culturale e professionale. Soprattutto in una situazione come questa, in cui certe scelte vengono continuamente rimandate, delle aspettative non si concretizzano e generano una condizione di perenne vigilia. Chi ha una carica importante non può soffermarsi a scegliere se fare un nuovo partito o aderire ad una vecchio, l'opzione dovrebbe essere di acquisire la consapevolezza di operare nel settore culturale e confrontarsi all'interno con il corpo docente ed all'esterno con le altre università, come hanno fatto tutti i rettori precedenti.
Un recente esempio di contrattazione politica è quello dei corsi di azzeramento: un accordo intervenuto tra la regione ed il mondo accademico che prevede il recupero dei ritardi formativi accumulati dai nuovi iscritti nel corso della loro attività  curricolare. Il tutto innaffiato da qualche milione di euro trovati tra le pieghe del bilancio dell'Assessorato alla Cultura della Regione.
Certamente si sarebbero potuti organizzare meglio. C'è stato troppo centralismo e dirigismo. Non si è voluto riconoscere alle facoltà  quella autonomia necessaria. In ingegneria abbiamo constatato che da qualche tempo il livello di preparazione matematica degli studenti in ingresso presentava molte lacune, che misuriamo con appositi test, ed abbiamo cercato di organizzarci. Sono alcuni anni che facciamo dei corsi di azzeramento posticipando l'inizio del nuovo anno accademico, sfruttando i sabati e le domeniche. La prof.ssa Canino ha svolto un lavoro lodevole mettendo a disposizione la sua grande preparazione matematica. La logica avrebbe voluto che i fondi disponibili fossero stati assegnati alle varie facoltà  per organizzare in autonomia questi corsi tenendo conto delle esigenze di ciascuna di esse. Nel nostro caso ad esempio è necessario che le matricole abbiamo un sufficiente corredo di strumenti matematici e logici per capire un sillogismo. Questi residui di bilancio anche nel poco tempo a disposizione avrebbero potuto essere impiegati più proficuamente.
Una stranezza è quella di pagare gli studenti per la loro partecipazione, premiando chi ha accumulato il maggior debito formativo.
Semmai chi usufruisce di un servizio dovrebbe pagarlo. In ogni caso i fondi andrebbero destinati a qualche forma di premialità, magari non facendo pagare le tasse ai più bravi, che non hanno bisogno di colmare delle lacune e non costringono a organizzare questi corsi. Evidentemente quanto è stato fatto appartiene ad un'altra logica.
È un ulteriore iato tra la politica e l'università, i fondi sono destinati alla formazione ma assumono una chiara connotazione populistico-clientelare.
Si scatena una reazione all'incontrario con gente che vuole dimostrare a tutti i costi di avere delle lacune da colmare, perché per dei ragazzi si tratta di una ammontare interessante di "argent-de- poche", utili per cominciare a sgravare le famiglie da certe spese più immediate.
Quello che appare opinabile è il metodo al negativo, quanto più è carente la formazione, tanto maggiore saranno le ore retribuite.
È un aspetto che si è trascurato perché si badava ai contenuti, ma certamente il tutto appare molto diseducativo. Qualcosa di simile è accaduto per i cosiddetti "cervelli di rientro". La regione ha emesso un bando per la concessione di una borsa di studio annuale ai calabresi che si erano laureati fuori dalla regione ed intendevano ritornare, in modo da consentirgli di venire in contatto con le università  calabresi ed avere una opportunità  di trovare una collocazione. La procedura è durata più di un anno e nel frattempo il contributo si è ridotto a tre mesi, assolutamente insufficienti per qualsiasi scambio di esperienza. Presumibilmente la pressione clientelare ha avuto qualche peso ... Gli interessati "interessanti" per fortuna avevano già  trovato qualche altra soluzione, per cui l'effetto è stato solo quello di dare una mancia a qualche favorito.
L'Unical ha un proprio "assessore" di riferimento, oggi vice-presidente.
Mimmo Cersosimo è una persona in gamba, che cerca in ogni cosa di tirar fuori qualcosa di utile per l'università. Ad esempio c'è stato un altro bando per mandare all'estero nostri ricercatori, per un periodo di due o tre mesi, con il vincolo di non poter partire prima di settembre e ritornare entro dicembre, per cui alla fine è andato deserto.
Il problema è che si cercano delle soluzioni congiunturali a problemi strutturali. Si deve stabilire un metodo che funzioni e dare continuità  agli interventi. Se si hanno delle risorse sarebbe opportuno investirle nella qualità  dell'insegnamento, affidandone la gestione agli stessi atenei. Altrimenti siamo di fronte sempre a dei palliativi; la storia da scrivere è sempre una storia di fallimenti.
Non c'è alcun dubbio e non sarebbe nemmeno complicato. Il Politecnico di Milano ha affidato ad università  straniere ed italiane di prestigio, la valutazione dei propri corsi di laurea cercando di individuare i punti di forza da premiare con maggiori fondi per la ricerca e quelli debolezza per tentare di eliminare gli handicap. Potremmo ad esempio inviare le nostri tesi di laurea ad altre università  per una valutazione complessiva dei risultati conseguiti, possiamo anche aggiungere dei test di uscita, una verifica periodica dei curricula dei professori e del loro contributo scientifico. Sarebbe utile, ad esempio, sapere quanti ricercatori hanno approfittato dell'opportunità  di andare all'estero e quale profitto ne hanno tratto nel confrontarsi con questa dimensione internazionale del sapere. Ho l'impressione che se andiamo a fare un bilancio otteniamo un elenco modesto.
Proprio per seguire l'intero ciclo sarebbe stato più opportuno dare quelle risorse alle università  da gestire in autonomia per gli stessi obiettivi e finalità  senza dover soggiacere alle forche caudine della regione.
Ci scontriamo con questi meccanismi misteriosi dei fondi europei, che richiedono sempre iter kafkiani, con tanti bandi e commissioni di valutazione e procedure di liquidazione che rallentano tutti i processi. Alla fine l'unico mezzo sicuro è di farsi anticipare i soldi dalla mamma, perché altrimenti nessuno  partirebbe mai. Devo dire che la gestione regionale è stata però corretta, anche perché nell'ultimo bando ci sono state meno domande rispetto alle disponibilità  e di conseguenza nessuna pressione. Il trasferimento diretto dalla regione richiede la predisposizione di un piano complessivo della formazione e della ricerca; ma l'università  non ha un progetto per queste cose.
Cosa impedisce di poterlo fare? Questa mi sembra una carenza fondamentale. L'università  dovrebbe diventare soggetto attivo, farsi promotrice di queste iniziative, predisporre il progetto complessivo sul quale chiedere i finanziamento della regione. L'intellighenzia sta qui, l'università  è il cervello, perché deve sempre attendere la provvidenza?
In questo senso c'è una chiusura. Quando abbiamo fatto la discussione in merito, avevo proposto un meccanismo semplice. Stanziamo una cifra da utilizzare in favore dei ricercatori disponibili ad andare all'estero, dandogli in cambio gli stessi soldi che avrebbero ricevuto per la loro attività  didattica. L'eccesso di didattica dei nostri ricercatori nasce da una loro esigenza economica di doversi comunque mantenere, oltre che da una obiettiva necessità  di dover fornire dei corsi ad un numero crescente di studenti. L'università  dovrebbe favorire la ricerca, l'internalizzazione della sua classe docente, l'intercambio culturale e di in questo l'incentivo economico gioca un ruolo determinante perché non siamo di fronte a dei ventenni, ma a gente adulta che deve portare avanti un proprio progetto di vita.
Siamo circa a metà  circa del mandato del rettore - il mid-term - e bisognerebbe costruire una ipotesi per il futuro. C'è chi parla di una ulteriore riconferma di Latorre, ma su che cosa dovrebbe avvenire il confronto su di un progetto o sulla figura del rettore?
Certamente il confronto dovrebbe avvenire su di un progetto, ma bisogna considerare in che modo vengono esercitati nel concreto i poteri. In questi anni abbiamo avuto una gestione molto accentratrice che fa passare tutto da sé ed ha questi percorsi paralleli che attribuisce un potere enorme nelle sue mani. È una situazione in cui la semplice manifestazione di voler discutere ed approfondire delle tematiche viene vista come una "congiura dei Pazzi", per cui è molto difficile riuscire ad intavolare una discussione, mettere in campo delle prospettive. La dialettica aiuterebbe lo stesso rettore, se fosse disponibile ad avere interlocutori che non contrappongono interessi, ma idee e soluzioni diverse. In fondo si tratta di una persona intelligente e capace, non stiamo certo riferendoci a una persona modesta. Vi è invece una sorta di controllo dialettico che rende asfittico l'ambiente universitario, tanto che si trovano pochissime persone disposte a discutere ed esporsi.
Questa è una lezione tratta dalla sua precedente candidatura?
In quella circostanza, ho incontrato tanta gente che privatamente si mostra d'accordo e disponibile, ma che aveva trovato un "modus vivendi" che gli consentiva una navigazione tranquilla e non voleva creare una burrasca.
La prossima competizione vedrà  il Prof. Versace in campo, o ha anche lui ha ancorato la sua barca nel porto della tranquillità ?
Io credo proprio che sarò in campo, poiché a me interessa che le cose si facciano ed il confronto elettorale è un momento importante per l'università. Alla sua prima elezioni, sono stato un sostenitore convinto del Prof. Latorre, perché ritenevo che avesse un progetto importante, del coinvolgimento, della partecipazione, del far crescere. Sono sempre disponibile a discutere ed incontrarmi con chiunque, perché dopo un confronto si ha sempre una idea in più, un filo in più da tessere. Rifiuto la logica che gli altri non debbano parlare, perché è stato già  detto tutto, ho già detto tutto. Da questo punto di vista sono stato profondamente deluso. L'obiettivo non era il confronto, ma l'occupazione sistematica di tutti i punti vitali, tutti i punti di incrocio delle decisioni, l'unica preoccupazione era come intercettare ed indirizzare risorse. Vi sono state numerose iniziative che hanno portato molti soldi nella università  che sono state gestite da persone che avevano una competenza nulla. Io mi aspetto che se si fa un parco per l'idrologia, ci mettiamo qualcuno che studia idrologia, non certamente un avvocato di mestiere. Sono stati anni di risorse abbondanti che potevano consentire di soddisfare molte richieste di avanzamento di carriera, di finanziamento di alcuni settori, l'apertura di nuovi corsi, la realizzazione di nuove iniziative. Non ho alcuna remora a ricandidarmi, ma sono pronto a favorire qualsiasi ipotesi alternativa che nasca attorno alle idee che esposto prima.

Possiamo riassumere in pochi punti il suo progetto per il futuro dell'Università ?
L'università  è discussione, è partecipazione, è coinvolgimento. Il secondo punto è che noi dobbiamo contare sulla qualità. Si rimane agghiacciati a sentire le discussioni che si fanno in questi giorni per l'elezione del preside della facoltà  di ingegneria. Coloro che sono stati vicinissimi al rettore oggi affermano che il nostro ateneo non può competere con le grandi università  europee e dobbiamo stare con i piedi per terra. Sono state spese cifre mostruose, accese speranze spaventose per tutta la regione, alimentando l'idea che sia un fiore all'occhiello. Oggi si parla di vivacchiare, il progetto è sopravvivere. L'obiettivo dovrebbe essere quello di diventare la prima università  del mondo per qualità.
L'evoluzione legislativa in atto porta ad un restringimento delle risorse pubbliche chiamando gli atenei a trovarsi i fondi da soli. Cosa potrebbe fare l'università  della Calabria che si trova ad operare in un contesto produttivo debole, povero di risorse. La sua abnorme crescita potrebbe rappresentare un pericolo per il futuro, per la difficoltà  di far quadrare i bilanci.
Credo che non sia in forse la sua sopravvivenza ed è opportuno non creare allarmismi in un momento di grave difficoltà  economica, in cui persino banche solidissime sono arrivate al fallimento.
Non era questo che si paventava, ma bisogna comunque porsi la domanda se sarà  in grado di trovare le risorse per sostenere un trentamila studenti.
Sono convinto che possa trovare la strada per continuare, ma bisogna convertirsi alla qualità. Non si capisce per quale ragione questa università  non possa organizzare dei percorsi di eccellenza in grado di attrarre studenti anche da altre parti parti d'Italia ed oltre. In alcuni settori questo è possibile senza una grandissima fatica o investimento milionario. Da subito sarebbe possibile creare questi canali per attrarre domanda e risorse. Dobbiamo evitare l'errore dei Consorzi universitari che hanno puntato tutto sull'investimento pubblico. Certamente bisogna intercettare risorse del POR, ma da destinare ad interventi strutturali, che mi consentano di crescere, di risolvere dei problemi. Non possiamo continuare a fare gli incubatori che sono destinati a morire con l'esaurimento delle risorse.
Il progetto originario prevedeva una apertura al mondo esterno, ope legis era prevista una quota di studenti stranieri.
Certamente era destinato loro il 5% dei posti disponibili; bisogna ricordare il carattere residenziale che garantiva l'alloggio agli  studenti. Oggi non vi sono più sufficienti ragioni in grado di attrarre studenti stranieri; non si è riusciti a mantenere uno standard qualitativo elevato e poi c'è stato un aumento esponenziale dell'offerta con l'apertura di molte nuovi sedi universitarie, nella stessa Calabria, in Basilicata ecc.
Una delle ambizioni originarie era quella di voler proporsi come il luogo della formazione delle classi dirigenti del Mediterraneo e trasformare l'università  in una risorsa.
Doveva essere una strada  naturale, seguendo il flusso storico. Quando studiavo all'Università  di Napoli, ricordo che vi era un numero rilevante di studenti greci. Come Unical avevamo ed abbiamo tuttora dei vantaggi in termine dei servizi, poiché vi sono spazi residenziali importanti e possiamo offrire alcuni corsi di laurea di qualità  comparabile con i migliori standard. L'immagine che proiettiamo all'esterno è però di una uniformità  che contrasta con la varietà  dell'offerta formativa; abbiamo però delle eccellenze che dovremmo valorizzare meglio.
Non crede una politica universitaria che ha favorito la chiusura verso l'esterno, il nepotismo e nella classe docente e nell'amministrazione abbia avuto un peso rilevante nel fallimento del progetto iniziale?
Nel corso degli anni si è prodotta una totale provincializzazione dell'università .
Gli studenti della provincia di Cosenza sfiorano in alcuni casi il 90% degli iscritti.
Questo non è uniformemente vero. Nel caso di ingegneria, ad esempio, vi sono studenti di tutt'e cinque le province calabresi, poiché vi è un forte richiamo per la riconosciuta qualità, ed in alcuni settori vi è una chiara evidenza di ciò. A questo ha certamente contribuito il fatto che i concorsi per la selezione e l'avanzamento dei docenti hanno assunto un carattere locale e non si sono più attuate quelle politiche di grande apertura che aveva caratterizzato il primo periodo. Quando sono venuto qui vi era un ambiente stimolante, con gente che veniva dalla Sicilia, da Napoli, dalla Puglia che dava la possibilità  di una continua osmosi con il nuovo. Se si esaminano i concorsi attuali vi è una percentuale infima di vincitori non legati al territorio. Recentemente, abbiamo avuto un milanese che ha vinto un concorso, ma si tratta di una mosca bianca.
È possibile immaginare una svolta nella politica universitaria?
Bisogna essere realisti. Non si può immaginare di stravolgere una realtà consolidata e far sparire all'improvviso tutte le incrostazioni che si sono prodotte nel tempo; bisogna avere la capacità  di mettere a fuoco quelle isole che già  esistono e puntare su di esse. Dobbiamo avere il coraggio di dire che abbiamo uno standard medio buono o accettabile, accanto queste abbiamo eccellenze vere, che non devono essere definite con il criterio dell'appartenenza. Voglio dire che il criterio della scelta non deve essere legato al rapporto di amicizia, ma l'individuazione deve essere affidata a criteri oggettivi: la storia, i risultati, le pubblicazioni, il prestigio esterno a livello nazionale ed internazionale. Sono convinto che al nostro interno vi sono moltissime situazioni in cui queste condizioni vengono soddisfatte, che subiscono un'attrazione verso il basso poiché non  ricevono alcuno tipo di incentivazione.  La tendenza è all'appiattimento, alla sommersione di queste isole. Vi sono molte persone che hanno tirato i remi in barca e svolgono la loro attività  di ricerca da qualche altra parte, in qualche altra struttura esterna e sono all'affannosa ricerca di una via di fuga, magari in pensione ritenendo esaurita la loro carica di entusiasmo. Io non vedo altra strada poiché non credo all'utopia di poter ridisegnare tutto quanto è stato fatto nel corso di questi 35 anni. Devo puntare su alcune idee forti alle quali devo destinare una parte delle risorse smettendola con il metodo dell'intervento a pioggia veicolati attraverso un sistema clientelare e parentale. Un quota del 20, del 30 o del 40% devono essere date a chi può certificare al sua qualità.
Le risorse sono fondamentali, ma anche la qualità  del personale dedito alla formazione e alla ricerca giocano un ruolo determinante.
Questo lo dicevo anche nei confronti dei concorsi per i ricercatori. Non possiamo fare concorsi sulla base del numero degli studenti, perché i ricercatori devono dedicarsi alla ricerca. Un consistente gruppo va attribuito a quei laboratori o centri che si dedicano esclusivamente alla ricerca, piuttosto che destinare tutto ad una palude che si espande: l'emergenza finisce per fagocitare le reali esigenze dell'ateneo. Abbiamo avuto il recente caso dei fondi regionali destinati a giovani laureati che volevano avviarsi alla ricerca. Ci si sarebbe aspettato un bando che premia i migliori, che non possono essere individuati a priori. È successo che si è proceduto ad una lottizzazione preventiva, assegnando un numero di "posti" a ciascun dipartimento. Avevo due bravi studenti, ma ho potuto "piazzarne" solo uno. Benissimo, troverò qualche altra via, ma è il metodo che non è accettabile. Si trattava di una occasione importante per fare una gara, una competizione per scovare e premiare le eccellenze dovunque si trovino. Alla fine si è accontentati un po' tutti con qualche malumore sul sistema di spartizione che misura il proprio potere di contrattazione e non la qualità  dei ricercatori.
Il sistema non è emendabile a giudicare da questi episodi.
Io sono abbastanza fiducioso. Alla fine sono convinto che i nodi vengono al pettine, vi sono alcune emergenze importanti che devono essere affrontate, e lo stesso rettore si sia reso conto dei limiti di una politica di crescita puramente quantitativa perché ci si avvolge su sé stessi. Ciascuno di noi sarà  chiamato a perseguire i suoi obiettivi con le risorse che gli vengono messe a disposizione. Non bisogna trasformarsi in cacciatori di fondi snaturando l'università .
Il sistema di outsourcing ha prodotto una serie di centri di captazione delle risorse.
Si è prodotta una vera e propria specializzazione nell'intercettazione dei fondi, come gli incrociatori. Vi sono notevoli difficoltà  a fare un preciso inventario poiché abbiamo bilanci in uno stato di perpetuo consolidamento, dove si evidenziano che vi sono risorse per ulteriori decine di milioni di euro; nelle mille voci non si riesce mai a capire chi spende cosa e perché. Non si ha una chiara evidenza di cosa viene finanziato, non c'è un'anagrafe delle ricerche finanziate, e quante di queste hanno prodotto dei risultati scientificamente accertabili. Non si vuole mettere in dubbio che tutto sia avvenuto nella più assoluta legalità, ma sarebbe ragionevole dare una informazione chiara ed esauriente. Sarebbe opportuno pubblicizzare le iniziative che hanno avuto il finanziamento ed i risultati conseguiti. Invece abbiamo gente costretta a fare le nozze con i fichi secchi, ed altri che gozzovigliano anche il venerdì santo.

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C O P Y R I G H T

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