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I cinesi di Arcavacata

(Mezzoeuro Anno IX num. 14 del 10/04/2010)

Rende, 9 aprile 2010

Trent'anni fa erano una sparuta minoranza, ora costituiscono una comunità numerosa e sono un importante ponte con l'economia più dinamica del mondo

Sono passati ormai trent’anni da quando sono arrivati i primi studenti cinesi ad Arcavacata. Correva l’anno accademico 1979/80 e quello sparuto drappello dagli occhi a mandorla rappresentava all’epoca una vera e propria avanguardia, poiché la Cina era un paese chiuso che non favoriva gli scambi culturali. Solo alcuni anni prima, nel 1972, era stata inaugurata l'Università della Calabria. Tutto il merito di quella operazione di scambio culturale va attribuito alla geniale intuizione di Giovanni Mazzetti, oggi docente di economia politica. Servendosi dei buoni rapporti intrattenuti con l’Associazione Italia-Cina, e del pieno appoggio del rettore Pietro Bucci è riuscito nell'intento considerato all'epoca quasi impossibile di consentire ad alcuni studenti di venire a studiare in Italia. Il loro arrivo nella regione costituisce l’inizio di una vera e propria rivoluzione, anche se in quel momento nessuno ne aveva percepito appieno il significato. Se la Cina era un mondo chiuso per decisione politica, la Calabria era un mondo periferico per necessità storica, per la sua condizione di sottosviluppo che aveva costretto gran parte della sua popolazione attiva a cercare fortuna altrove. In quel momento quel sasso in uno stagno rappresentò una grande novità, poiché non vi era alcuna presenza straniera nella regione, se non qualche viaggiatore occasionale o turista per caso. Un imponente flusso migratorio aveva letteralmente svuotato la regione delle sue forze più attive e dinamiche questo provocava un discreto movimento con i paesi d’insediamento della nostra emigrazione. Nessuno avrebbe mai immaginato un rovesciamento così radicale della situazione nel volgere di pochi decenni.

Oggi continua l'emorragia per una forte componente di emigrazione intellettuale, ma si registra una presenza d’immigrati in ogni più recondito luogo. Costituiscono una variopinta umanità dai contorni indefiniti poiché vi sono molte zone d’ombra per le difficoltà di una regolarizzazione della loro permanenza.

Il neonato ateneo è stato un buon incubatore, poiché quel germe ha generato un flusso di studenti esteri che dopo il loro soggiorno hanno continuato a mantenere un rapporto con la "loro" università. Dopo qualche anno quel rapporto si era interrotto, ma è ripreso più forte di prima per l'interessamento di Sebastiano Andò e Don Domenico Sturino, hanno riallacciato quei fili allargando il raggio di azione a molti paesi africani. Da quel momento si registra un costante incremento degli studenti stranieri presenti ad Arcavacata. Essi formano un universo multicolore e multiculturale che si estende di là dai confini dell’università.

L’Unical, con i suoi 33.000 studenti è una città nella città, una realtà ben consolidata, ma la presenza di studenti stranieri gli da quel tocco internazionale che gli consente di giocare un ruolo fondamentale nel processo d’integrazione delle numerose comunità ed etnie presenti sul territorio. Ogni etnia trova una comunità di connazionali inseriti nella società calabrese provocando una contaminazione etnica che incide profondamente sulla sua natura. La maggioranza degli studenti ha una permanenza temporanea e dopo la conclusione del ciclo di studi ritornano nel loro paese, dove spesso sono destinati a ricoprire ruoli di responsabilità. Costituiscono un importante trait-d'union tra la comunità locale e il paese di origine. Quel piccolo numero originario di studenti, oggi è diventato molto più numeroso e quel sasso ha provocato delle onde lunghe che hanno portato sul territorio un flusso crescente di nuovi arrivi. Oggi la comunità cinese costituisce una importante componente della società cosentina, che dà un importante contributo anche in termini economici. E il numero degli studenti continua a crescere per le sempre più numerose occasioni d’interscambio provocate dai progetti finanziati dalla Unione Europea, come il Leonardo, l’Erasmus che contribuiscono a far conoscere e apprezzare l'ateneo.

Sono centinaia i laureati nel corso degli anni e costituiscono un grande patrimonio per l’intera collettività per la loro funzione di cerniera tra la regione e la Cina. Agli universitari da quest’anno si sono aggiungi quaranta giovani cinesi che seguiranno le scuole secondarie a Cosenza presso l’ITC “V. Cosentino” e l’Istituto tecnico “G.Tommasi”. Sono numeri ancora molto contenuti, ma che possono costituire il germe di una ulteriore evoluzione della presenza studentesca sul territorio.

Quel gruppo iniziale si è molto incrementato, ma percentualmente sono ancora una piccola parte del totale degli studenti, che sono cresciuti in misura molto maggiore e vi è lo spazio per un sensibile incremento del rapporto anche in ossequio alla legge istitutiva che aveva espressamente previsto questa presenza.

All'arrivo del primo nucleo di cinesi, la presenza di stranieri nella società calabrese era pressoché nulla. Secondo i dati dell’ultimo “Dossier Statistico Immigrazione” Caritas-Migrantes (riferito al 31 dicembre 2008), in Calabria sono presenti 58.775 stranieri (pari a circa il 3%) della popolazione regionale, contro una percentuale più che doppia sull’intero territorio nazionale. Tuttavia sono molte migliaia gli immigrati che sfuggono a qualsiasi rilevazione, in misura molto maggiore in Calabria rispetto al resto del territorio poiché gran parte sono occupati in settori come l’agricoltura e l’edilizia dove è molto elevata la percentuale di lavoratori non denunciati che sfuggono molto facilmente a qualsiasi controllo.

Questa massiccia presenza desta non poche preoccupazioni nella popolazione locale. Le comunità d’immigrati sono considerate quasi unicamente come un potenziale pericolo, tanto sotto il profilo della sicurezza, poiché sono additati come responsabili di tutti i crimini più efferati che accadono sul territorio, che per la loro disponibilità a svolgere mansioni onerose con salari molto contenuti. L’effetto è una profonda alterazione del mercato del lavoro, con una diffusa disoccupazione dei nativi che non riescono a trovare occupazione a condizioni accettabili.

Un aspetto del tutto trascurato è l’imprenditoria degli immigrati e i benefici che ne derivano per la crescita. Essi svolgono un importante ruolo di raccordo, poiché consentono di sviluppare i legami della regione con i paesi di origine che diventano esportatori dei loro prodotti destinati al consumo delle comunità presenti in Italia. Al tempo stesso favoriscono il collocamento su quei mercati di prodotti regionali o italiani che gli stessi immigrati contribuiscono a far conoscere nei loro Paese di provenienza.

La prima forma d’imprenditoria è quella commerciale, ma su di essa si costruisce un tessuto di piccole imprese molto dinamiche che costituiscono un nerbo forte per la creazione di un tessuto industriale competitivo che può fare affidamento sul forte legame e la conoscenza del mercato di sbocco dei prodotti.

Secondo una indagine della Fondazione Ethnoland, pubblicata a febbraio dell’anno scorso, sono ormai migliaia le imprese create dagli immigrati. Mentre il tasso di natalità delle imprese italiane mostra un trend decrescente negli ultimi anni, gli immigrati titolari di aziende crescono a ritmo forsennato e risentono in misura molto contenuta della congiuntura sfavorevole per il loro carattere familiare e il forte spirito di sacrificio che caratterizza questa categoria d’imprenditori. La motivazione principale è certo la voglia di sfuggire alla condizione di sfruttamento in cui si trovano generalmente a operare, dovendosi accontentare di un salario molto inferiore a quello offerto agli “italiani”. Il fenomeno è recentissimo: è iniziato solo dal 2000, ma ha già assunto un volume notevole per attività e numero di occupati.

Le imprese gestite da immigrati erano 165.114 a giugno 2008, pari al 3,3% delle imprese attive in Italia (5.169.086 alla stessa data). “Rispetto al 2003 (56.421 aziende) il loro numero è triplicato”, si legge nel rapporto. E il tasso di crescita si mantiene su livelli a due cifre.

Tra gli stranieri pochissimi sono imprenditori agricoli, a causa della difficoltà di trovare i suoli che hanno un costo eccessivo rispetto alle possibilità finanziarie degli immigrati. Un aspetto importante è che l’imprenditoria degli immigrati nasce al di fuori del sistema delle agevolazioni, poiché si contano sulle dita di una mano gli immigrati che hanno potuto fruire di aiuti pubblici. Sono loro la dimostrazione più evidente che la nascita d’impresa è legata alla capacità di assunzione del rischio e di leggere le opportunità offerte dal mercato, piuttosto che alla disponibilità di capitale a buon mercato.

Sono proprio gli immigrati a costituire la parte più dinamica della popolazione imprenditoriale, nonostante il freno rappresentato dagli ostacoli legislativi, burocratici, finanziari e ambientali che ne frenano lo sviluppo.

“Si riscontrano diversi casi di eccellenza, per giunta nel Meridione: in Sardegna, Sicilia e Calabria gli immigrati hanno uguagliato il tasso d’imprenditorialità degli italiani e anche in diverse Regioni del Nord e del Centro (Piemonte, Emilia Romagna e Toscana) la situazione è più soddisfacente rispetto alle media nazionali”, si legge nell’indagine. Questa è forse la scoperta più straordinaria. Gli emigrati ci danno la dimostrazione che si possono superare persino gli ostacoli rappresentati dalle mille diseconomie legate alle disfunzioni regionali per fare impresa più volte denunciate.

L’imprenditoria degli immigrati comincia con il soddisfacimento dei bisogni della comunità di origine dell’imprenditore: il commercio dei prodotti tipici, la ristorazione con l’offerta di cibi etnici e nei servizi agli stessi immigrati. Sono, tuttavia, gli italiani a essere considerati la quota più importante della clientela, poiché hanno un maggior potere d’acquisto. Questo porta alla creazione di una offerta di cibi fusion, un meticciato alimentare derivante dalla contaminazione della cucina italiana con quella etnica e viceversa: si creano gusti accetti alle due comunità.

Notevole è la loro presenza nei servizi come la lavanderia, la pasticceria, il salone di estetica, il servizio di pulizia, la farmacia, l’agenzia di viaggi, l’azienda dei trasporti e l’officina del fabbro. Si recente si va sviluppando una nuova imprenditoria in attività più sofisticate (studio grafico, agenzia di traduzione, centro di mediazione interculturale ecc). Anche se ancora timidamente i nuovi imprenditori iniziano a occuparsi anche di settori più raffinati come case di moda, laboratori artigiani e di analisi.

Particolare importanza rivestono i phone center e i servizi di money transfer poiché i relativi servizi sono molto richiesti dalle comunità straniere che trovano difficoltà di accesso al sistema bancario e vogliono mantenersi in contatto con i propri amici e familiari rimasti in patria a costi contenuti.

Le attività prevalenti restano tuttavia l’edilizia e il commercio, dove si concentrano la maggioranza delle imprese gestite dagli immigrati. Qualche sorpresa si trova leggendo tra i molti numeri dell’indagine. In Calabria, ad esempio, sono attive ben 3.000 imprese gestite da immigrati, un numero pari a quello di regioni come la Liguria e il Friuli e ben al di sopra delle 1000 della Puglia.

La densità imprenditoriale della popolazione degli immigrati è ancora molto bassa (1 imprenditore ogni 21 residenti contro 1 a 10 degli italiani), ma è in forte crescita. Secondo le valutazioni della Fondazione Ethnoland vi è lo spazio per una crescita di altre 200.000 aziende nel prossimo biennio. In Calabria si tratterebbe di circa 4.000 nuove aziende con una forte incidenza di quelle innovative e con una forte componente occupazionale.

Un aspetto niente affatto trascurabile è l’impatto delle comunità degli immigrati sull’import-export, proprio in un momento in cui tutto il Paese soffre una forte perdita di competitività internazionale. E la nuova imprenditoria degli immigrati può avere un impatto rilevante sulla possibilità di recupero dell’intero paese. Il mix di prodotti e di paesi di provenienza e destinazione dei flussi commerciali è notevolmente cambiato nell’ultimo quinquennio proprio per la sempre maggiore presenza sul territorio d’immigrati dalla provenienza più varia. L’esempio della Cina è molto indicativo.

Ancora oggi l’import-export della Calabria costituisce una quota trascurabile tanto in termini percentuali (circa l’1% a livello nazionale), quanto in termini quantitativi: 321 di export milioni di euro nel 2009, ultima in classifica nazionale sotto il Molise con 414 milioni di euro, che ha una popolazione inferiore a un terzo della Calabria.

Nell’import si registrano valori non molto distanti (544 milioni di euro con un deficit commerciale di 130milioni), ma la Calabria mostra il suo carattere di economia dipendente collocandosi al terzultimo posto, seguita dal Molise e dalla Valle d'Aosta, entrambe con una popolazione molto inferiore.

La Cina era completamente assente nell'interscambio, mentre oggi costituisce il secondo paese di provenienza dell’import regionale. Anche l'export nei confronti della Cina si è incrementato in misura notevole pur con un marcato squilibrio nella bilancia commerciale.

La comunità cinese ancora non è la più numerosa, ma il suo peso economico è superiore alla consistenza della sua popolazione e ha una potenzialità di crescita enorme per il tasso di sviluppo che caratterizza il continente cinese che si appresta a diventare l’economia più grande del mondo, pronta a superare gli Stati Uniti in pochi anni.

L’imprenditoria cinese in Italia, si ripartisce quasi equamente tra l’industria manifatturiera (46%) e il commercio (44,6%); mentre in Calabria la sua presenza è quasi esclusivamente commerciale poiché non si sono ancora sviluppate attività industriali degne di nota. Il peso della comunità cinese è, però anche qui molto superiore alla sua forza numerica e vi sono prospettive per favorire gli investimenti d’imprenditori provenienti direttamente dalla Cina. In questa direzione la storia degli studenti cinesi ad Arcavacata potrebbe assumere un ruolo molto significativo. Molti sono tornati nel loro paese dove oggi hanno incarichi di responsabilità e costituiscono un trait-d’union importante per convincere gli imprenditori a investire in Calabria. In particolare la prof.ssa Luo Hongbo in quegli anni lontani è venuta a specializzarsi qui e oggi ha un ruolo di grande prestigio nella sezione economia dell’Accademia delle Scienze della Cina, dove è responsabile dei rapporti economici con l'Italia. In un incontro con il rettore dell’Università l'estate scorsa ha manifestato un grande interesse a prodigarsi per creare un contatto con gli imprenditori cinesi disponibili a effettuare investimenti all'estero.

Sono quasi 18mila le imprese cinesi in Italia, secondo la Fondazione Ethnoland. In un recente studio dall'ufficio studi della Cgia di Mestre corregge il numero in 50mila, con un tasso di crescita elevatissimo. “Dal 2002 al 2009 gli imprenditori cinesi presenti in Italia sono aumentati del 131,1%, con punte del 406% in Calabria, del 390,9% in Molise, del 387,5% in Basilicata e del 380% in Valle d'Aosta”, si legge nello studio, “per la maggior parte costituiti da piccoli negozi di vicinato, ambulanti e dominano intere filiere produttive come il tessile, la pelletteria e l’abbigliamento”.

Il tasso di crescita calabrese risente della base di partenza molto basso, poiché le condizioni di operatività pongono molti ostacoli, ma mostra la grande dinamicità di questa comunità.

Sono però del tutto assenti i grandi capitali cinesi, proprio quelli che potrebbero dare un contributo significativo allo sviluppo della regione.

Le difficoltà maggiori sono le stesse rilevate per gli immigrati che vogliono iniziare l’avventura di un’attività imprenditoriale: difficoltà burocratiche, ambientali, legislative e di carenze infrastrutturali.

“In Cina vi sono aeree industriali molto attrezzate, dotate di piazze, servizi bancari, infrastrutture efficienti, dall’acqua all’illuminazione, dalla disponibilità di energia all’offerta di servizi “, afferma Mario Occhiuto che ha una ormai lunga esperienza in quel paese, dove è molto apprezzato come professionista e per la sua capacità di organizzare eventi di grande rilevanza culturale.

“Chiunque manifesti l’intenzione di investire in quel paese trova le porte aperte e le pratiche burocratiche sono sbrigate in un tempo record, Non sarebbe concepibile il ginepraio di norme e di permessi necessari in Italia per iniziare una qualsiasi attività”.

L’arch. Occhiuto è una dimostrazione vivente delle grandi opportunità offerte dalla Cina ai nostri imprenditori. “Qui apprezzano l’eccellenza dei nostri prodotti e vi sono enormi potenzialità per chi vuole confrontarsi con un mercato molto competitivo", conclude Mario Occhiuto, "ma bisogna saper investire in termini di professionalità, serietà e impegno. Gli italiani sono considerati geniali, ma scarsamente affidabili. La Calabria è un puntino geografico, chi vuole può trovare grandi opportunità in un mercato enorme di un miliardo e quattrocento milioni di persone"


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