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Dalla Cina con amore

Mezzoeuro Anno IX num. 17 del 01/05/2010)

Rende, 30 aprile 2010

Il prof. Fang Xu oggi insegna fisica all'Unical

Appartiene al primo gruppo di studenti cinesi venuti ad Arcavacata trent'anni fa

Dal 2003 l'Institute of Higher Education of Shangai della Jiao Tong University dal 2003 pubblica l'Academic Ranking of World University. Nella graduatoria del 2009 si conferma ancora una volta il netto predominio delle università americane che piazzano la primo posto le università di Harvard, Stanford e Berkeley e ne sono presenti ben 55 nelle prime cento. La prima europea è l'università di Cambridge, seguita a ruota da Oxford. Le prime italiane (Milano, Pisa e La Sapienza) si collocano a pari merito dal 151 posto. La presenza cinese inizia dal 302esimo posto e include le università di Nanjing, Pechino, l'University of Science and Technology of China, Zhejiang e la stessa Jao Tong University che ha condotto la ricerca.

L'indagine considera solo le prime 500 università del mondo e non include l'Unical. Per avere una idea della sua posizione si può fare riferimento ale "Webometrics Ranking of World Universities" del Consejo Superior de Investigaciones Científicas, che è uno dei più importanti istituti di ricerca spagnoli. La gradutoria comprende 8.000 università e i risultati non sono esattamente coincidenti con quelli della Jiao Tong University, anche se si confermano i dati di fondo come la supremazia americana, la scarsa considerazione del sistema universitario italiano: la prima è l'Università di Bologna che occupa il 94 posto, mentre l'Unical è classificata al 908esimo.

L'istruzione universitaria è diventato un mercato globale e le università e gli istituti di ricerca si contendono gli studenti a colpi di prestigio. Qualunque sia il metodo utilizzato tutte le classificazioni di questo tipo presentano sempre dei margini di incertezza poiché il dato qualitativo è difficilmente misurabile con precisione millimetrica, ma il loro impatto sulla scelta degli studenti è spesso determinante. Un po' come avviene per i rating finanziari fortemente criticati da tutti, ma che hanno un impatto devastante sui mercati.

Il numero degli studenti che ogni anno decidono di muoversi a migliaia di chilometri di distanza per frequentare le scuole migliori è in crescente aumento e provoca rilevanti effetti anche di natura economica. L'Unical è nata con la dichiarata vocazione internazionale, tanto che nello stesso statuto era stato previsto che una percentuale di posti dovessero essere riservati agli studenti stranieri. Nel corso degli anni si è trasformata sempre di più in una "università di vicinato". Tuttavia, vi è ancora una loro presenza interessante soprattutto di cinesi, anche se statisticamente sono irrilevanti: qualche centinaio su trentamila costituiscono una sparuta minoranza. Per farla crescere bisogna intervenire su una serie di fattori e scalare la graduatoria. Ma in primo luogo è necessaria una loro conoscenza e le loro problematiche.

Con il prof. Fang Xu, docente di fisica all'Unical abbiamo parlato della comunità studentesca. Appartiene al primo nucleo di cinesi venuti a studiare qui trent'anni fa. Si è laureato, si è sposato ed è diventato calabrese.

L'Unical è un ripiego. Intervista al prof. Xu Fang

Ritornando con la memoria al tempo del suo arrivo qui, cosa è cambiato, qual'è stata la sua impressione?
Quando siamo arrivati si può dire che questa università non esisteva. Vi era solo il Polifunzionale e 2.000 studenti. Una grande famiglia e ci conoscevamo tutti. Le lezioni si svolgevano in grandi capannoni, vi era un'atmosfera scanzonata, goliardica. In quel tempo in Cina, solo dal 10 al 15% degli studenti che completavano le scuole superiori proseguivano gli studi all'università. Oggi sono arrivati all'80-90%, più o meno come succede qua. Vi è però una differenza molto importante. Qui l'iscrizione all'università serve a differire il momento dell'ingresso nel mondo del lavoro, è poco più di un parcheggio. Nella Cina di oggi vi è, invece, una fame accentuata di laureati, professionisti, ricercatori, specialisti poiché si vive un momento di crescita accelerata. L'investimento nell'istruzione è molto redditizia e per questo c'è questa rincorsa all'università. E' ovvio che questo ha portato ad una allargamento della griglia di valutazione.
Qual'è la differenza tra il vostro gruppo arrivato qui trenta anni fa e questi nuovi studenti?
Quello era un momento di grande entusiasmo per una apertura verso l'esterno del nostro paese. Un evento davvero eccezionale per l'epoca e noi eravamo e ci sentivamo privilegiati. Per poter studiare all'estero bisognava superare una dura selezione che solo i migliori riuscivano a superare. Noi siamo venuti per scoprire il mondo, con gli occhi ammirati e stupefatti per tutte le novità che vivevamo. La nostra era una esperienza totalizzante, una immersione nella cultura del nuovo paese che ci ospitava. Non è certo un caso se quasi la metà di noi si sono sposati qui. Io oggi mi sento calabrese, penso come un calabrese. I nuovi studenti non sono selezionati per merito, ma per censo se vogliamo semplificare.
Gli studi universitari in Cina non sono più gratuiti, ma ciascuno deve provvedere a pagare le tasse universitarie e il proprio mantenimento per cui le università tendono a diventare locali, cioè la grande maggioranza si iscrive nell'ateneo della propria città. Sicuramente però non si arriva mai al carattere localistico dell'Università della Calabria. Sono poche le università residenziali, ma sono comunque a pagamento, salvo per i pochi che godono di borse di studio.
Anche in Cina esistono università molto prestigiose, il livello di istruzione e di ricerca è molto elevato al pari delle più antiche scuole inglesi o americane.
In Cina le università sono classificate. Si dividono in categorie più o meno come succede in America. Vi è un test di ingresso molto rigoroso che consente di distribuire le iscrizioni tra le varie università. Sicuramente non vanno a studiare fuori quelli che riescono ad entrare nelle università della prima fascia. La laurea non ha un valore legale, acquista valore solo per l'università che l'ha rilasciata. Molti studenti si rifiutano di iscriversi a Università cinesi di terzo o quarto ordine e preferiscono tentare l'avventura dell'estero. Per l'esercizio delle professioni non vi è alcun esame di abilitazione, è sufficiente il possesso del titolo accademico, ma vi è un grande dibattito sulla necessità di introdurlo.
L'Unical è una sede ambita?
Come dicevamo prima non è certo la prima scelta degli studenti per almeno due ordini di motivi. Intanto per la lingua. Le difficoltà che deve affrontare un cinese che voglia imparare una lingua occidentale sono molto grandi perché differiscono in tutto dalla struttura sintattica alla costruzione del periodo. Imparare l'inglese è un grande vantaggio perché è una lingua universalmente conosciuta, permette di comunicare con tutto il mondo. E' evidente che le università dell'area anglosassone sono il primo obiettivo. L'italiano si usa solo in Italia, ma la difficoltà di apprendimento non sono certo minori. Può essere utile in particolari nicchie, perché l'inglese lo sanno tutti e non costituisce un particolare merito, ma le opportunità che offre sono indubbiamente molto minori. Vi sono molti scambi commerciali, culturali tra i due paesi e vi è bisogno di operatori che siano in grado di operare una mediazione culturale. A questo bisogna aggiungere che la Calabria è una regione sconosciuta in Cina. L'Italia è Roma, Milano, Venezia, Firenze le grandi città storiche o di arte. Per questo gli studenti che vengono qui sono una grande risorsa. I laureati di questi anni costituiscono un ottimo veicolo di marketing culturale, sono altrettanti ambasciatori dell'Unical nel mondo. Quello di cui si ha molto bisogno è di intermediatori culturali in grado di leggere la realtà di un altro paese. Non servono tanto dei traduttori o degli interpreti poiché la lingua comunemente usata è l'inglese, ma si ha molto bisogno di gente in grado di leggere dall'interno la realtà di un paese. Studiare l'italiano, la letteratura e la storia dell'Italia non è sufficiente.
Cosa lo ha spinto a restare qua, trova soddisfacente questa scelta sotto il profilo professionale o la trova penalizzante per la perifericità dell'ateneo?
Appena laureato sono andato a seguire un master in America. Sono ritornato per ragioni familiari e mi sono fermato, anche se in America guadagnavo molto di più. Senza la nazionalità non potevo fare niente, nessun insegnamento, nessun concorso per cui ho deciso di sposarmi. Forse i primi anni si sentiva un senso di isolamento, ma oggi vi sono contatti molto proficui ed intensi con tutte le principali università del mondo. L'isolamento può essere solo la conseguenza di una scelta poiché ormai la tecnologia ci consente di essere connessi e presenti dappertutto. A livello personale abbiamo creato tanti rapporti con le università estere e ci scambiamo esperienze. Ora stiamo cercando di istituzionalizzarli con la sottoscrizione di accordi e lo scambio di professori, ricerche e progetti. Il rettore ha un grande interesse a stimolare questi rapporti di collaborazione.
Vi sono molti studenti cinesi ad Arcavacata, che formano una comunità invisibile.
Vi sono molte difficoltà di inserimento perché vi è una notevole diversità culturale e poi hanno la fretta di concludere perché non potrebbero sostenere un soggiorno troppo lungo. Una volta all'estero devono accelerare per non costituire un costo eccessivo per le famiglie.
Qui non c'è neanche lo sforzo di creare delle occasioni di incontro.
Un problema è costituito dal fatto che sono troppi e formano un gruppo a sé, parlano, mangiano, studiano, si divertono tra di loro e quando hanno un problema non cercano una soluzione nel'istituzione, ma un aiuto del e nel gruppo. Anche le feste, le manifestazioni culturali le fanno tra di loro senza nessuna partecipazione degli altri studenti, che non viene richiesta e sollecitata.
Perché questo avviene esclusivamente o prevalentemente con la comunità cinese?
Quando noi siamo venuti eravamo in pochi e ciascuno frequentava un corso di laurea diverso. E poi non c'era niente per cui dovevamo per forza interagire con gli altri per poter risolvere i nostri problemi. Però i nostri sforzi sono stati molto grandi, perché non riuscivamo a capire i nostri amici, a seguire le lezioni, ad adattarci alla cucina. Ricordo di aver avuto problemi di digestione per molti mesi prima che il mio organismo si adattasse al nuovo regime alimentare. Ora vivo e mi comporto come un calabrese, ma quello è stato un periodo drammatico. Non c'era alternativa, dovevi abituarti a mangiare a mensa e cambiare le tue abitudini alimentari. Oggi sono in tanti e per la maggior parte iscritti allo stesso corso di laurea, ma per molti aspetti non è cambiato molto. Forse anch'io se avessi trovato una comunità numerosa mi sarei rifugiato nel gruppo.
Si crea però un circolo vizioso poiché la chiusura nel gruppo provoca una difficoltà di integrazione, di apprendimento linguistico con conseguenze sul rendimento complessivo. Alla fine cosa rimarrà di questa esperienza, avranno una laurea, ma una scarsa preparazione nessuna conoscenza del paese dove hanno vissuto una parte importante della loro vita. Dopo anni il livello della loro comunicazione è molto basso.
Soprattutto i primi mesi sono costretti a confrontarsi con una realtà completamente diversa per cui hanno un vero e proprio shock. Vanno a seguire le lezioni, ma dopo un po' smettono di frequentare perché non riescono a capire e cercano di cavarsela da soli. E' successo a ciascuno di noi, ma noi abbiamo insistito fino a superare questo gap. La formazione non si può risolvere unicamente con quattro formule. Il mondo che ci circonda non è un accidente capitato li per caso, ma costituisce parte di noi e dobbiamo sforzarci di capirlo.
Ma come riescono a superare gli esami senza una buona conoscenza linguistica?
La maggioranza di loro sono iscritti a facoltà scientifiche e si aiutano molto con le formule e il linguaggio simbolico. Ma questo non è sufficiente, soprattutto per gli esami orali. Questi vengono con qualche cognizione elementare e ritengono sia sufficiente, mentre non sanno parlare e non riescono a capire. Il primo passo è quello di cercare di colmare questa deficienza linguistica, poiché costituisce un ponte per conoscere le tradizioni, la cultura, la civiltà. I corsi di italiano organizzati dall'università non sono stati in grado di metterli in condizione di superare questo ostacolo perché la maggior parte di loro abbandona dopo qualche lezione perché considerano frustrante l'esperienza. Quel tipo di corso è fatto per gli studenti europei, ma sono inadatti per i cinesi poiché le loro strutture linguistiche, sintattiche, morfologiche sono molto diverse. Ci vorrebbero dei corsi di italiano per cinesi.
Dopo trent'anni l'università avrebbe dovuto acquisire l'esperienza necessaria per organizzare dei corsi di italiano per cinesi. Cosa lo ha impedito finora?
Per anni si è pensato che l'apprendimento linguistico seguisse un percorso uguale per tutti. Ora vi sono delle obiettive difficoltà di bilancio per i tagli che ha subito il bilancio dell'università, ma è un problema che si deve affrontare con urgenza. Importante è anche superare l'atteggiamento degli studenti che rinunciano troppo presto di fronte alle difficoltà. Devono convincersi che non bastano i soldi per risolvere tutto. Così ritorniamo circolarmente al problema della qualità, della mancanza di selezione. Gli studenti migliori si laureano tutti e con ottimi risultati, intendo riferirmi alla preparazione, non al voto.
Qual è il tasso di abbandono?
Non vi sono statistiche ufficiali, ma da una esperienza diretta, la percentuale di studenti cinesi che non termina gli studi è molto elevato e non solo per un problema di lingua. Probabilmente avrebbero avuto lo stesso esito in qualsiasi altra università. D'altronde vi sono anche molti studenti italiani che abbandonano prima del conseguimento della laurea.
Si immagina che chi affronta un viaggio così lungo per venire a studiare in un paese nell'altro capo del mondo sia fortemente motivato.
Una volta era così, ora si tratta di una decisione di convenienza economica e di disponibilità di posti. Il pezzo di carta può essere utile e lo si rincorre dappertutto, salvo rinunciare se è un sacrificio eccessivo. Molti di loro non hanno particolari problemi di avere un futuro garantito anche senza laurea.
Quello che manca è la mediazione culturale, lo scambio di esperienze.
Prevale un atteggiamento mordi e fuggi, un volere conseguire un obiettivo nel più breve tempo possibile. Questo provoca un atteggiamento di chiusura nei confronti di qualsiasi manifestazione che sia considerata una perdita di tempo. Non vi è alcuna voglia di guardarsi intorno per cercare una chiave di lettura della realtà circostante, capire i meccanismi di potere, il sistema elettorale, i circuiti economici, le dinamiche produttive. Bisognerebbe favorire gli scambi culturali veicolati attraverso la comunità studentesca, ma credo che l'università dovrebbe avere un ruolo più attivo. Pensiamo a quanto avviene in America. Nelle maggiori università il numero degli stranieri provenienti da ogni parte del mondo raggiunge il 30-40% della popolazione studentesca e si formano comunità multietniche e multiculturali in cui ciascuno apporta la propria esperienza e la propria diversità per uno scambio molto proficuo. Si organizzano incontri, dibattiti, spettacoli musicali, raduni gastronomici dove si impara la lingua, si sente musica, si impara a cucinare. Tutta una serie di iniziative che favoriscono la conoscenza reciproca. Ognuno può mantenere la propria identità poiché vi sono bar cinesi, ristoranti indiani, cinema americani, locali iraniani e così via. Ma in genere prevale la curiosità, lo scambio di culture e di esperienze. Forse qui manca questo tessuto di attività multietniche.


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