Gheddafi e il Mezzogiorno

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno IX num. 32-33-34-35 del 4/09/2010)

Rende, 3 settembre 2010

In breve la Libia è diventato un partner di tutto rispetto. Questo risultato è stato ottenuto senza un grosso sforzo diplomatico, perché il nostro governo ha privilegiato rapporti personali del premier con due personaggi alquanto discutibili come Putin e Gheddafi. E intanto nei discorsi ufficiali, nessuno ha mai pronunciato la parola Meridione

La Calabria è un’isola nel Mediterraneo. Solo una striscia di terra la tiene legata al resto dell’Italia. Più che costituire una linea di collegamento, il massiccio del Pollino costituisce un ostacolo quasi insormontabile per un rapido collegamento. Un canale facilmente navigabile avrebbe costituito un collegamento molto più solido, favorendo l’osmosi etnica e culturale. Tutto il Sud è una sorta di protuberanza che si estende nel Mediterraneo. Nel corso dei millenni la sua storia è la storia delle lotte e delle contaminazioni culturali con i paesi accarezzati dalle sue onde.

Una delle frasi più ripetute nei dibattiti politici è che il nostro futuro è strettamente legato alla storia che ha provocato una lunga contaminazione con le popolazioni mediterranee. E’ una verità accademica, della cui veridicità tutti ne sono convinti, ma che sparisce nel momento in cui dovrebbe tradursi in qualche azione concreta.

Il folkloristico arrivo del colonnello Gheddafi con la sua scorta di amazzoni e la schiera di cavalli berberi ha fatto notizia per l'eccentricità delle sue manifestazioni, le provocazioni religiose, la stravaganza delle richieste. Il tutto giustificato dall'ossequio al dio denaro e dall'aroma di affari che condiva le succulente pietanze servite nella cena da "Mille e una notte", alla quale ha partecipato il fior fiore dell’aristocrazia industriale e finanziaria dell'Italia.

Sembra proprio che la Libia sia il crocevia dell'economia mondiale e da essa dipenda il nostro benessere e l'evoluzione della nostra economia. Non si vuole certo negare il ruolo che ha nel soddisfacimento del nostro fabbisogno energetico. Le forniture di petrolio e gas costituiscono una componente importante della bilancia energetica, senza della quale sarebbe difficile, allo stato, trovare un equilibrio. Nei discorsi ufficiali nelle manifestazioni pubbliche, però, nessuno ha mai pronunciato parole come Meridione, Sud, meridionalismo, politica mediterranea. Gheddafi dimora nella sua tenda beduina a qualche centinaio di chilometri dalla Sicilia. A Lampedusa trovano il loro primo rifugio gli sventurati che sfidano qualsiasi pericolo pur di sfuggire alla violenza e alla miseria.

Qualche anno fa il raìs ha persino sganciato due piriti che si sono fermati a qualche miglio di Lampedusa. La cosa è passata sotto silenzio, un po’ per la cialtroneria con cui è stata preparata quella farsa di azione bellica, un po’ per la conversione perbenista del colonnello che ha voluto assumere un atteggiamento leggermente più accettabile agli occhi del mondo occidentale rinunciando al terrorismo. Convinto anche da qualche bomba meno buffonesca sganciata dagli americani. L’attacco fu ordinato da Ronald Reagan la notte tra il 14 e il 15 aprile 1986. Gli aerei americani riuscirono a centrare la tenda dove alloggiava il colonnello, il quale si salvò per miracolo. La risposta fu il ricordato lancio di due missili Scud contro una stazione radio Usa a Lampedusa.

Nonostante questa vicinanza, questa conclamata mission del Meridione come ponte verso il mondo arabo e africano, non vi è alcun tentativo di un suo coinvolgimento nella politica mediterranea.

Se il futuro del Meridione è nel Mediterraneo, la Libia dovrebbe far parte integrante di questo sano proposito, poiché dovrebbe essere uno dei partner privilegiati. Senza chiedere molto si potrebbero offrire i nostri atenei per la formazione della classe dirigente, i nostri ospedali –magari migliorati con qualche investimento per offrire uno standard qualitativo – per la cura dei malati, i tesori d’arte e le nostre spiagge per uno scambio turistico. Niente di tutto questo. Il Sud è una terra maledetta da dimenticare. Gli affari lo by-passano per legare direttamente Tripoli con Milano.

Che cosa rappresenta la Libia per l’Italia? In questi giorni si è esaltato il suo ruolo in considerazione di due aspetti: dal punto di vista commerciale e per l’opera d’intercettazione del flusso migratorio africano verso le coste del nostro Paese.

Sotto il primo profilo si è messo in evidenza i grandi affari che le imprese italiane riescono a concludere con il partner libico, e l’importanza dell’interscambio commerciale. Bisogna considerare che stiamo parlando di un paese di poco più di sei milioni di abitanti e la sua enorme estensione (1.759.840 kmq contro i 301.338 kmq dell’Italia) è costituita per gran parte da territori desertici. Per valutare l’importanza di un Paese bisogna considerare l’intero scenario mondiale, poiché si possono concludere grandi affari in molti paesi del mondo.

Se consideriamo le statistiche dell’import-export, fornite dall’Osservatorio Economico della Direzione Generale per le Politiche di Internazionalizzazione e la Promozione degli Scambio del Mincomes, non troviamo la Libia nei primi dieci paesi destinatari delle esportazioni italiane (e neanche tra i primi trenta) poiché si tratta di una cifra molto marginale. E’ interessante notare che al nono posto tra i principali mercati delle nostre esportazioni troviamo la Polonia e al decimo la Cina, che compare anche nel versante delle importazioni dove occupa il terzo posto. Tuttora la bilancia commerciale nei confronti della Cina è negativa, ma sta subendo una evoluzione accelerata. In breve tempo è diventato un partner di tutto rispetto e il suo mercato rappresenta una grande opportunità per i prossimi decenni. Questo risultato è stato ottenuto senza un grosso sforzo diplomatico, poiché l’attenzione del nostro governo ha privilegiato i rapporti personale del premier con due personaggi alquanto discutibili come Putin e Gheddafi.

Tabella 1 – Principali paesi di provenienza delle importazioni italiane. Graduatoria in base all'anno 2009
(Fonte: Mincomes)
N Paese 2007 2008 2009 Genn-apr 2009 Genn-apr 2010
    Meuro % Meuro % Meuro % Meuro % Meuro %
1 Germania 63.721 17,1 61.186 16,0 49.348 16,7 16.523 16,6 17.978 16,0
2 Francia 34.048 9,1 32.873 8,6 26.145 8,8 8.678 8,7 9.712 8,7
3 Cina 21.689 5,8 23.606 6,2 19.265 6,5 6.798 6,8 7.463 6,6
4 Paesi Bassi 20.596 5,5 20.519 5,4 16.674 5,6 5.567 5,6 6.223 5,5
5 Spagna 16.201 4,3 16.633 4,4 12.775 4,3 4.024 4,0 4.969 4,4
6 Russia 14.609 3,9 16.089 4,2 12.142 4,1 3.829 3,8 4.649 4,1
7 Belgio 15.998 4,3 14.201 3,7 12.075 4,1 3.863 3,9 4.147 3,7
8 Svizzera 11.063 3,0 11.256 2,9 10.433 3,5 3.690 3.7 3.681 3,3
9 Libia 13.979 3,7 17.409 4,6 10.148 3,4 3.288 3,3 3.652 3,3
10 Regno Unito 12.526 3,4 11.897 3,1 9.631 3,3 3.341 3,4 3.517 3,1

Tabella 2 – Principali paesi destinatari delle esportazioni italiane. Graduatoria in base all'anno 2009
(Fonte: Mincomes)
N Paese 2007 2008 2009 Genn-apr 2009 Genn-apr 2010
    Meuro % Meuro % Meuro % Meuro % Meuro %
1 Germania 47.254 13,0 47.110 12,8 36.827 12,7 12.783 13,5 13.704 13,3
2 Francia 41.991 11,5 41.459 11,2 33.818 11,6 11.576 12,2 12.506 12,1
3 Spagna 27.369 7,5 24.123 6,5 16.608 5,7 5.385 5.7 6.288 6,1
4 Stati Uniti 24.254 6,6 23.028 6,2 17.110 5,9 5.381 5,7 5.735 5,6
5 Regno Unito 21.241 5,8 19.327 5,2 14.968 5,1 4.695 5,0 5.606 5,4
6 Svizzera 13.297 3,6 14.425 3,9 13.570 4,7 4.485 4,7 4.688 4,6
7 Belgio 10.751 2,9 9.931 2,7 8.133 2,8 2.833 3,0 2.924 2,8
8 Paesi Bassi 8.658 2,4 8.678 2,4 7.087 2,4 2.401 2,5 2.741 2,7
9 Polonia 8.943 2,5 9.774 2,6 7.908 2,7 2.694 2,8 2.666 2,6
10 Cina 6.290 1,7 6.432 1,7 6.635 2,3 2.075 2,2 2.542 2,5

La Germania ha investito molto di più nello stringere accordi commerciali e stretti rapporti d’amicizia con la Cina, tanto che nel 2009 essa è diventata la principale acquirente di prodotti tedeschi. Piuttosto che investire su un personaggio clownesco che rappresenta un mercato asfittico, si è preferito intessere una fitta ragnatela di rapporti con quella che si appresta a diventare la prima economia del mondo, non solo come esportatore di beni, ma come divoratore di prodotti di qualità, che richiede in grandi quantità all’Occidente. La Cina rappresenta un mercato di sbocco per i prossimi decenni, poiché in essa si concentrerà il potere d’acquisto sul mercato internazionale.

Il mutamento della tradizionale politica internazionale dell’Italia ha allentato i suoi antichi e consolidati rapporti con i partner europei, indebolendola in Europa. Anche durante il regno democristiano vi era stata una grande attenzione nei confronti del mondo arabo, particolarmente caro ad Andreotti, ma non si era mai raggiunto un così alto livello di servilismo mettendo a repentaglio la credibilità internazionale dell’Italia.

Qual è allora il motivo della esaltazione del ruolo della Libia? La domanda a prima vista appare alquanto ingenua. Nella violenta frattura che si è prodotta nella maggioranza, tuttavia, si è squarciato quel velo del silenzio che copre le decisioni meno nobili del governo. Vari esponenti finiani nel rintuzzare i violenti attacchi al loro leader sferrati dai quotidiani Libero e Il Giornale, hanno minacciato di disvelare la fitta ragnatela di rapporti che lega molti esponenti della nomenclatura governativa - e lo stesso premier – con gli alquanto discutibili Vladimir Putin e Muammar Gheddafi. Per non parlare del colpo di fulmine che ha portato all’esaltazione di uno dei personaggi più “pittoreschi” presenti sulla scena europea come Aleksandr Lukashenko. Il discusso presidente bielorusso è stato messo al bando dalla comunità internazionale, ma è diventato amico del nostro premier, al quale ha consegnato fascicoli degli archivi dei servizi segreti russi e bielorussi. Un “regalo” strano, unico risultato di una discutibile visita diplomatica. Utile per indagare sulla fine dei prigionieri italiani della seconda guerra mondiale, ma ancor di più per azioni di killeraggio politico a colpi di dossier, nella speranza che il passato possa svelare momenti imbarazzanti nella vita di personaggi “interessanti”.

Ritornando alla Libia, la quasi totalità delle importazioni, e occorre ripeterlo, è costituito da prodotti energetici, gas e petrolio, per i quali la Libia detiene un potere quasi monopolistico. Prodotti di cui l’Italia ha estremo bisogno. Una eventuale défaillance libica porrebbe dei seri problemi all’economia. Tuttavia la fornitura di prodotti energetici da parte della Libia assume l’aspetto di un mercato molto particolare. Se dal lato dell’offerta ha una forte concentrazione, dal lato della domanda assume un forte connotato monopsonico, poiché vi è un’assoluta concentrazione in un soggetto unico: in pratica l’Italia costituisce un acquirente quasi totalitario non facilmente sostituibile. Se l’Italia ha bisogno del petrolio libico, quest’ultima ha assoluta necessità degli euro italiani. Un equilibrio precario che si regge sulla reciproca convenienza, la cui rottura creerebbe danni gravi a entrambi i partner.

Come si giustifica questa compiacenza dell’Italia che consente al Colonnello di esibire l’intero suo campionario di cafonaggine mettendoci alla berlina in tutto il mondo occidentale?

La debolezza dell’Italia nasce dall’assenza di una seria politica energetica e l’arrivo dello scomodo ospite non ha fornito alcun pretesto per una riflessione sull’argomento, per fare il punto sulle energie alternative. Nessuno si è ricordato, ad esempio, del mancato completamento degli impianti di rigassificazione che consentirebbero di creare immediate alternative per le forniture di gas, con la possibilità di riequilibrio dell’offerta, poiché si aprono molti mercati alternativi.

In tanti anni si sono sentite tante chiacchiere, ma pochi fatti. I termini del problema sono noti, ma non vi è stato alcun serio tentativo di pervenire alla conclusione delle numerose iniziative che sono state avviate in varie parti d’Italia. Ne è entrato in funzione solo uno a Rovigo, mentre sono in attesa Ravenna, Brindisi, Porto Empedocle per non citarne che alcuni. E naturalmente Gioia Tauro, il cui porto continua nella sua inesorabile caduta, propria a causa di una mancata infrastrutturazione: manca il collegamento ferroviario per lo smistamento dei container nel resto della penisola e nell’Europa Centrale, manca il collegamento metropolitano con l’aeroporto lametino, non si parla nemmeno di un interporto attrezzato. E soprattutto manca la piattaforma del freddo, strettamente collegata con l’entrata in funzione del rigassificatore, che potrebbe trasformare Gioia Tauro nel più grande centro agro-alimentare europeo.

Un altro aspetto di grande interesse per il Meridione è la politica dell’immigrazione. Alquanto discutibile appare la soluzione per il controllo del flusso degli immigrati, fortemente contestata dalla Chiesa. Una politica di breve respiro utile a contenerne il flusso nell’immediato, ma si tratta di una soluzione provvisoria legata al capriccio di un personaggio che prima o poi è destinato a sparire dalla scena politica libica. Che cosa succederà dopo? Il popolo degli aspiranti immigrati resta lì, salvo che non si voglia pensare a “soluzioni finali”, in dimensioni da far impallidire la Shoah. L’Italia ha deciso di chiudere tutte e due gli occhi su quello che accade nei “campi di concentramento” in Libia, non è previsto alcun controllo sul trattamento di un intero popolo migrante che è costretto a subire condizioni disumane. Alla prima occasione cercherà con ogni mezzo di riprendere il proprio cammino e allora sarà troppo tardi per una seria politica di controllo. Possiamo accettare la politica dei lager, facendo tacere la nostra coscienza?

Last but not least, resta il problema religioso. La pagliacciata della “lectio magistralis” sull’islamismo impartita a una platea prezzolata tutta al femminile lascia il tempo che trova. Né vi può essere alcuna attendibilità alla conversione fulminante di tre proseliti in diretta tv. Il vero problema che ci divide con l’Islam è l’incapacità di separare la religione dall’attività di governo, la pretesa di voler costituire stati confessionali. Qualunque sia la fede professata, è un’aberrazione storica che abbiamo superato.

Dovremmo pretendere la reciprocità nella tolleranza religiosa. Avere il diritto di costruire chiese accanto alle moschee in tutte le loro città, come succede nell’Occidente. Ma non possiamo rinunciare alla nostra cultura aspettando la loro evoluzione. Possiamo ritornare alla cacciata dei mori, all’eccidio dei valdesi per difendere la nostra identità? Possiamo aspettare che la maturazione civile dei paesi arabi consenta quella reciprocità indispensabile in qualsiasi rapporto equo?

La tolleranza crea tolleranza. La gran parte dei musulmani presenti in tutta Europa ha spontaneamente laicizzato il loro comportamento. I milioni di turchi che vivono in Germania hanno interiorizzato la cultura tedesca e non minacciano la solidità laica dello Stato. Secondo quanto predicato da Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, che ha una esperienza di vita quotidiana con le migliaia di immigrati arabi che vivono nella sua diocesi: è vivere la tolleranza che genera un nuovo patto di convivenza. Non possiamo rinunciare alle nostre conquiste di civiltà in attesa che gli altri si adeguino.

Se crediamo che il nostro modello sia vincente poiché è il frutto di una lunga maturazione nel corso dei secoli, dobbiamo essere capaci di offrire il nostro esempio per accelerare quel processo di crescita.

Il Sud deve offrire l’opportunità di istituire nelle sue migliori università dei centri di studi islamici, per consentire alla futura classe dirigente dei paesi islamici mediterranei di confrontarsi con il modello occidentale e le contraddizioni che genera una interpretazione retriva del loro libro sacro. Le donne rappresentano la grande forza del cambiamento. In Occidente hanno trasformato un oggetto come il fazzoletto che doveva servire a coprire il capo e nascondere il viso nelle chiese, nei foulard colorati, sgargianti, che sono un inno alla bellezza e alla giovinezza. Le islamiche avranno il coraggio di trasformare il velo che dovrebbe mortificare il corpo in un oggetto sensuale e indicare alla loro comunità la via di un progresso civile.

Muammar Gheddafi è solo un incidente della storia, ma il cammino della civiltà e del progresso non può essere fermato.


C OP Y R I G H T

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