Un governo, una legge

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno IX num. 40 del 9/10/2010)

Rende, 7 ottobre 2010

Le elezioni sono vicine?

Il voto di fiducia ha aumentato la sfiducia verso un sistema politico incapace di affrontare le emergenze reali del Paese. Si corre verso le elezioni. O forse no. Dietro l’angolo vi è l’ipotesi di un governo tecnico con un programma molto semplice: cambiare la legge elettorale.

Una situazione paradossale. Mai un chiarimento parlamentare conclusosi con un voto di fiducia bulgaro ha prodotto tanta incertezza. All'indomani della kermesse parlamentare, il premier poteva vantare un rafforzamento numerico della maggioranza, mentre il suo ministro degli interni preparava le elezioni. Il nuovo gruppo parlamentare dei finiani dichiarava solennemente fedeltà al governo e al programma politico della maggioranza, mentre nello stesso tempo annunciava la nascita di una nuova forza politica. Per giustificare la propria esistenza dovrà necessariamente trovare dei momenti di differenziazione. Certamente non mancano occasioni e argomenti anche molto sentite dai cittadini elettori, che sono delle mine vaganti per la stabilità dell'esecutivo. Il trionfo degli opposti.

L'Italia è abituata alle crisi. Ne ha vissute tante in questo dopoguerra, ma difficilmente nel recente passato ci si è trovati in un momento di così grave confusione.

Al paradosso di una maggioranza che si sbriciola ma continua a voler dare l'illusione di compattezza in grado di assicurare la conclusione naturale della legislatura, si aggiunge il paradosso di una minoranza che si divide e si dilania proprio mentre si presenta la più ghiotta delle occasioni per una rivincita.

Un desiderio di autoannientamento che sconcerta i suoi elettori. Walter Veltroni ha avuto più di un anno di tempo per far sentire la sua voce. Ha deciso di parlare proprio nel momento opportuno per dare una formidabile mano al Cavaliere. Il marasma a sinistra lancia un messaggio molto chiaro: non vi è alternativa a questa maggioranza.

Sembrerebbe che solo il consenso elettorale della Lega Nord, confermandosi un partito di lotta e di governo che gode di una sorta di extra-territorialità, sia in crescita,. Si appropria di un ruolo riformatore, almeno nei confronti del suo elettorato, ma non viene ritenuto responsabile dei fallimenti del governo e della maggioranza. Una lunga luna di miele elettorale, che potrebbe avere una battuta di arresto quando si farà un bilancio dell'intera attività di questa maggioranza e ci si confronterà con i drammatici problemi lasciati irrisolti.

Tutti gli altri partiti rappresentati in parlamento calano in picchiata libera. Vi è però un dato a cui si dà scarso peso: quello dei delusi, degli scoglionati, dei rassegnati. Sono loro la vera maggioranza, una massa critica in grado di sovvertire qualsiasi pronostico. Tra di essi gli indecisi giocano un ruolo fondamentale perché finiranno per esprimere la loro opinione con il voto. Sono gli elettori “last minute” che sono stati determinanti nella penultima elezione, trasformando l'annunciato trionfo di Prodi in una vittoria risicata e un governo instabile. Proprio pensando ad essi si è accesa una guerra di logoramento all'interno dell'attuale maggioranza per stabilire chi deve rimanere con il cerino della responsabilità acceso in mano.

I giorni successivi al confronto parlamentare hanno mostrato quanto fragile fosse l’intesa solennemente raggiunta.

Il voto è dietro l’angolo? Forse non si arriverà alla fine della legislatura, ma certamente le camere non saranno sciolte prima di uno o due anni.

Vi sono molte buone ragioni che militano in favore di un prolungamento della legislatura. In primo luogo gli interessi spiccioli dei parlamentari. I peones di primo pelo hanno molti timori di non essere ricandidati e perdere i benefit presenti, ma soprattutto quelli futuri come una lauta pensione. Vi è un discreto gruppo preoccupato del proprio futuro e disposto a tutto per portare a termine la legislatura.

Al di là delle questioni di bassa lega, che hanno però un peso rilevante poiché costituiscono una massa critica in grado di mantenere in vita l’attuale governo o sostenere qualsiasi altra alternativa che si presentasse all’orizzonte, vi sono ragioni politicamente molto rilevanti.

E’ credibile un cambiamento della maggioranza? Vi sono molti segnali che indicano un declino del carisma berlusconiano: la rottura del feeling con la gerarchia ecclesiastica, il malessere della grande imprenditoria che prende coscienza del vuoto di potere che si è creato, la diffusa sensazione di una leadership incapace di guidare il Paese. Last but not least, il calo di consensi che emerge dai sondaggi, un dato preoccupante per chi ha costruito la propria politica sul populismo.

Un ruolo non secondario è costituito dal quadro giudiziario del premier, che appare sempre più preoccupante e irrimediabile senza uno schermo legislativo ad hoc, difficile da realizzare oggi che è venuta meno la granitica compattezza della maggioranza. Il dissenso finiano è incentrato maggiormente sulla questione morale, sulla giustizia, sulla critica alla legislazione di comodo ed è molto difficile immaginare dei cedimenti proprio su questo terreno senza perdere il feeling con il proprio elettorato potenziale..

Vi è un clima da fine regime proprio per la debolezza giudiziaria del premier. Non c’è bisogno di alcuna spallata per provocare il terremoto politico. E’ sufficiente lasciare che la giustizia faccia il suo corso. C’è addirittura chi, come Marco Pannella arriva ad affermare che il premier “rischia di finire a Piazzale Loreto”. Affermazione molto grave per un leader che nel passato è stato suo alleato, lo conosce molto bene e che da sempre ruota attorno ai palazzi del potere. Aggiunge addirittura che ”noi da non violenti staremo attenti perché questo non accada”. Si tratta di dichiarazioni estemporanee di un megalomane o il presentimento di un augure della politica?

Vi è tuttavia uno strano clima, un malessere impalpabile, una società i movimento che pretende una scossa. Ci si può accontentare della replica degli stessi discorsi, del rinnovamento delle promesse, dell’eterna giovinezza di un leader che non ha più niente di nuovo da dire, da proporre? L’illusione del grande sogno è finita e vi è urgente bisogno di tornare alla politica politicante.

La caduta del governo non è né facile né automatica, occorre aspettare il momento opportuno e giocare bene le proprie carte, poiché il premier è pieno di risorse e da il meglio di sé proprio nel confronto elettorale.

Il ricorso immediato alle urne contrasta con le esigenze di un quadro politico in movimento. L’area del centro, UDC, API e FLI hanno bisogno di tempo per riorganizzarsi. PD e Italia dei Valori sono tuttora in bilico tra un abbraccio fatale e una rottura senza rimpianti, mentre a sinistra fervono cantieri ed esperimenti che hanno bisogno di una sintesi. Il mondo politico è un cantiere di lavoro e il “work in progress” richiede pazienza per il completamento delle opere prima del “final countdown”.

Si prepara, insomma, il dopo Berlusconi. Per questo c’è bisogno di tempo, ma soprattutto è necessario indebolirlo prima del fatidico appuntamento elettorale e creare le premesse per una vera alternativa di governo.

La risposta a queste due esigenze sono governo tecnico e legge elettorale. I due elementi sono legati inscindibilmente tra di loro. Il primo serve a sfilargli il potere e gestire le operazioni elettorali: un passaggio cruciale anche per toglierli il megafono televisivo, almeno in parte poiché le sue reti potranno sempre cantarne le lodi..

La legge elettorale è ancora più importante e non certo per ragioni nobili, ma per un puro calcolo di convenienza. Bisogna assicurare una rappresentanza a tutti gli attori che andranno a concorrsere alla caduta del regime, che non necessariamente potranno far parte di una compagine governativa.

Finiani e rutelliani sembrano in bilico e stentano a trovare una collocazione che gli garantisca il superamento del quorum se non costituendo un terzo polo. La loro sopravvivenza costituisce la polizza di garanzia di Berlusconi, poiché spaccano il fronte anti consentendo alla sua coalizione (Pdl e Lega) di raggiungere la maggioranza relativa che si trasforma nella maggioranza assoluta alla Camera. A prescindere dal risultato del Senato, il Cavaliere sarà sempre e comunque determinante. Con il porcellum, rientrato nell’agenda politica improvvisamente, ma non a caso.

Bisogna ricordare che alla chiusura delle urne lunedì 22 giugno del 2009 era già tutto chiaro. Il referendum sul porcellum era affossato sotto una valanga di non votanti. In tutti e tre l’affluenza è risultata di poco superiore al 23%, la più bassa mai registrata in qualsiasi competizione in Italia dall’entrata in vigore della Costituzione repubblica. Per più di un anno ci si è completamente dimenticati della legge elettorale. Immutabile, immodificabile per volontà popolare.

Oggi torna di moda solo perché si vuole abolire il premio di maggioranza. Sulla questione delle preferenze si ha l’impressione che l’oligarchia politica subisca una sorta di diktat dell’opinione pubblica, poiché è indignata da una rappresentanza che non è più espressione dal basso, ma nominata dall’alto. Sarebbero tutti felicissimi di poter confermare questo sistema. L’impopolarità del porcellum è testimoniato dall’esito del referendum di un anno fa, disertato poiché tra i quesiti non vi era proprio quello che più interessava alla gente, oltre che per la forzatura di voler costruire un bipartitismo ope legis con l’attribuzione del premio di maggioranza al partito che conseguisse la maggioranza relativa. Nessuna riforma è possibile senza sciogliere il nodo delle preferenze, ma senza una riforma si rischia di riconsegnare il Paese nelle mani di Berlusconi.

In un Paese con interessi contrapposti per la frattura tra Nord e Sud e la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, dove sono fortemente radicate ideologie politiche come socialismo, liberalismo, cattolicesimo militante non è possibile eliminare le diversità costringendole in un unico contenitore. Il luogo di sintesi deve essere la politica e le sue mediazioni che consentono un equilibrio dinamico in grado di dare al paese le grandi riforme di cui ha urgente bisogno. Il rapido mutamento della struttura della popolazione per effetto della forte immigrazione rende il quadro ancora più complesso e la mediazione politica ancora più necessaria.

La tanta vituperata prima repubblica ha saputo rispondere alle grandi sfide e portare l’Italia tra i grandi paesi industrializzati e moderni con una sapiente opera di ricucitura di culture e sensibilità diverse.

La rappresentanza parlamentare non può che essere una rappresentazione del paese reale, non una sua immagine costruita a tavolino con la designazione degli eletti.

Oggi questo obiettivo coincide anche con gli interessi immediati dei partiti che devono sottrarre al premier il suo enorme potere di condizionamento di un intero ceto politico. Non è certo un caso che gli unici dichiarati difensori del porcellum siano Pdl e Lega. Tutta la vicenda della fiducia parlamentare ha dimostrato quanto sia potente il condizionamento degli eletti, che si giocano la riconferma sulla base del grado di fedeltà al capo. Questo è vero per tutti, ma assume un valore ancora maggiore per un partito-azienda, dove tutto si decide al vertice.

La pseudo-fiducia non ha risolto nulla. La partita è appena cominciata.


C OP Y R I G H T

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