Una protesta gentile

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno IX num. 47 del 27/11/2010)

Rende, 23 novembre 2010

L'analisi del “preside” del Liceo “Gioacchino da Fiore” di Rende

Vincenzo Ferraro, nella sua veste di operatore scolastico prestato alla politica, parla del suo impegno amministrativo e analizza il movimento di protesta degli studenti

Partiamo dal doppio incarico. Come riesce a conciliare il suo ruolo politico di assessore al comune di Rende con la funzione di dirigente scolastico in uno dei più importanti licei dell'area urbana?
L'Assessorato alle Politiche Sociali costituisce un prolungamento nel sociale della mia attività nell'istituto, poiché vi è una interrelazione profonda in un campo così vasto e così delicato come quello dei servizi sociali. Sono stato molto onorato della proposta del sindaco, e l'ho considerato come un fatto simbolico, l'occasione per dare un modesto contributo in un momento molto delicato della vita della nostra comunità.
In precedenza vi era stata una rottura con questa amministrazione. Cos'ha provocato questa divaricazione e in che modo si è rimarginata questa ferita?
All'inizio di questa consiliatura non avevo alcun ruolo, e vi è stato un momento di riflessione che è poi sfociata nell'esperienza del progetto Rinascita. Insieme ad altri amici abbiamo voluto dare un segnale di vitalità alla politica locale con la mia candidatura al Consiglio Provinciale. Ricordo con piacere quella esperienza che ho condotto con molta lealtà, com'è mio costume. E' una esperienza che mi ha arricchito, anche in senso negativo, poiché ogni esperienza ha una sua chiave di lettura. Alla fine di quella esperienza abbiamo tratto le nostre valutazioni, alcuni hanno inteso proseguire nella realizzazione di quel disegno, mentre io insieme ad altri abbiamo considerato concluso quell'esperimento.
La politica rendese continua ad arrovellarsi attorno al dilemma se continuare questa governance amministrativa che dura da molti decenni, o è necessaria un cambiamento di rotta. Lo slogan delle scorse elezioni era “rinnovamento nella continuità”. Oggi la questione si ripropone …
Devo dare atto all'on. Sandro Principe, leader di questa compagine amministrativa, che svolge questo ruolo con molta competenza e dedizione. Altrettanto si può dire per il sindaco Umberto Bernaudo. Hanno saputo inaugurare una strategia dell'attenzione nei confronti di coloro che esprimevano posizioni critiche. D'altro canto la mia partecipazione al progetto Rinascita si è sempre mantenuta su un piano politico, senza scendere mai in uno scontro personale. Questo mi ha consentito di riannodare un dialogo che si era interrotto su di una contrapposizione dialettica. Si voleva dare un segnale che fosse necessaria una rivitalizzazione della vita politica della città prestando ascolto al malcontento che serpeggiava nella comunità.
Lei sostiene che l'amministrazione ha saputo cogliere il malessere espresso dalle contestazioni alla giunta, ma vi sono ampi settori della stessa sinistra che si mantengono su posizioni critiche e sono pronti a scendere in campo per interrompere questa esperienza amministrativa.
Rende può vantare una sua specificità. Non è certamente il paradiso in terra, poiché presenta anche aspetti problematici, ma rispetto alle altre realtà, calabresi e non, è molto più avanti. Resto sbalordito quando leggo attacchi ingenerosi alla giunta rendese su piccole cose, disfunzioni inevitabili in un meccanismo complesso. Tutti coloro che si trovano a operare su Rende restano stupiti da una realtà molto lontana dal degrado che la circonda tanto da non notare le disfunzioni che pur vi sono, poiché queste sono ampiamente compensate dalle positività che esprime, dalla qualità dei servizi. E' ingeneroso o in mala fede chi rifiuta di vedere la molte positività create in questi trent'anni. L'ingorgo di Viale Marconi, all'uscita dell'autostrada, ad esempio, è dovuta alla mancata realizzazione dello svincolo di Settimo da parte dell'ANAS, ma il comune ha mostrato la dovuta attenzione al problema e ha cercato soluzioni razionali. Quando la competenza è di altri enti, si incontrano intoppi burocratici che ne rallentano l'iter.
Uno dei punti programmatici, certamente il più importante, delle scorse elezioni era l'impegno alla realizzazione di una città unica. In questo senso non si è fatto alcun passo in avanti. Non si riesce a tradurre in via politico-amministrativa quella che è una realizzazione di fatto. Cosa impedisce di procedere in questa direzione?
Credo che siamo di fronte a fenomeni che abbisognano di tempi lunghi, che devono maturare nella cultura della gente. Gli amministratori possono sono fungere da acceleratori, ma non possono coartare la volontà popolare.
L'idea della città unica è ormai una realtà digerita da parte dei cittadini. In particolare i giovani non vivono più in funzione del campanile, ma si sentono cittadini di una unica città.
I politici più avvertiti sentono che ormai i tempi sono maturi per una unificazione amministrativa. La Calabria non ha città. La realizzazione di un'area urbana allargata, e bisognerà decidere fin dove, costituisce un momento di grande novità politica e amministrativa che può dare un contributo decisivo alla crescita e allo sviluppo. Nella mia attività di dirigente scolastico noto che nella gente non vi è più alcuna differenza tra Rende e Cosenza. Rende la si vede e la si vive come città, che per il modo in cui si è sviluppata forse offre una migliore qualità della vita rispetto al capoluogo: il Gioacchino da Fiore costituisce un liceo classico con una utenza nell'intera area urbana e oltre. Il Campagnano che viene spesso citato come limes costituisce per i giovani un simbolo di unione.
Vincenzo FerraroL'unità amministrativa consentirebbe di realizzare progetti più ambiziosi, com'è avvenuto per Lamezia: la politica ha precorso l'unificazione e tre paesi sono diventati una realtà urbana. Qui c'è l'unificazione senza politica.
La difficoltà è che qui siamo in presenza del comune capoluogo che rischia di perdere un suo ruolo storico e bisogna fare uno sforzo in più. Saranno proprio i nostri giovani che sicuramente sapranno superare questi muri invisibili e realizzare la città unica.
Nel doppio ruolo politico e di dirigente scolastico come valuta questa nuova ondata di manifestazioni studentesche? Un ritorno a un passato che avevamo dimenticato. La scuola era diventata una oasi di tranquillità. Sono ritornati i movimenti. E' semplicemente un moto spontaneo di protesta contro la riforma della scuola o esprime un malessere più profondo?
Questa riforma non condivisa è stata certamente un elemento scatenante, soprattutto nelle università ha originato un forte sentimento di protesta, ma vi è un disagio che attraversa tutto il mondo giovanile. Sentono di vivere in una condizione di precariato che non trova soluzione. Restano sconcertati quando si rendono conto che una volta all'università i più bravi riescono a trovare soluzioni di grande impegno intellettuale con remunerazioni ridicole. Contratti di ricerca a 1000 euro al mese sono già un privilegio, senza alcuna prospettiva per il futuro, quando un inserviente in una della tante pizzerie spunta salari molto più alti. Le riforme vogliono esaltare l'impegno e la professionalità, la competenza e la specializzazione. Poi si scopre che vengono premiati, nei casi di successo, con il precariato sottopagato, quando non restano disoccupati. Il lavoro intellettuale non è valorizzato, ma precarizzato, in queste condizioni è difficile convincere i giovani all'impegno. Nelle condizioni date possono essere considerati degli eroi.
Non è una situazione che si è creata oggi, ma si è sempre risposto con l'indifferenza. Cosa ha provocato la protesta oggi?
Vi era una sorta di rassegnazione, è vero. Quando si è messo in discussione questo fragile equilibrio ci si è svegliati da un lungo torpore e si è cominciato a riflettere mettendo in discussione tutto.
Oggi non siamo di fronte a un movimento unitario, una protesta che unisce il Nord e il Sud, le città e la provincia profonda com'è successo negli anni sessanta e settanta. Siamo di fronte a movimenti autarchici che stentano a trovare una base comune, ciascuna realtà si muove in maniera isolata.
Viviamo una diversa specificità storica. La nostra generazione aveva alle spalle dei partiti organizzati, delle ideologie molto radicate con i propri sacri testi che costituivano un punto di riferimento per una discussione comune. Oggi la protesta parte dal basso e trova il proprio momento da un disagio diffuso vissuto sulla propria pelle. Non si può banalizzare dicendo che tutto è legato al desiderio degli studenti di marinare la scuola. Noto che vi sono molti ragazzi in grado di articolare proposte e programmi molto seri, che presuppongono che vi sia dietro una cultura. Non è certa la stessa cultura dei padri e questo crea un certo disorientamento per chi è abituato ad avere un metro di misura che non è utilizzabile.
I momenti di rottura determinano l'insorgere di problematiche nuove che sconcertano chi si è rifugiato nel conservatorismo dell'età. Questo mi sembra inevitabile.
L'errore più grave è quello di voler banalizzare tutto il movimento senza voler cogliere il disagio che esprime.
I movimenti studenteschi del secolo scorso hanno generato dei leader, che hanno contribuito a rinnovare la politica. In questo momento non sembra che stiano emergendo nuove figure di riferimento.
Anche adesso vi sono figure molto interessanti che hanno la stoffa del leader, ma stentano a emergere. Non manca nulla, stanno solo esplorando nuove strade per poter realizzare i loro obiettivi. Non trovano però alcun riferimento, né ideologico né organizzativo. In queste condizioni è molto più difficile trovare una via. Bisogna fare i conti con un sistema mediatico che dedica intere giornata a analizzare in ogni possibile dettaglio episodi efferati di cronaca, ma non dedica che qualche distratto minuto alle manifestazioni studentesche. Non mi risulta che nei talk show ci si preoccupi molto di analizzare le ragioni di una protesta, non si dà spazio a questi giovani leader, che sono costretti a agire nel cono d'ombra della medialità. Nel villaggio globale senza la finestra televisiva non esisti.
Quali sono le differenze nel comportamento degli studenti durante le occupazioni?
Gli studenti di oggi hanno mostrato un grande senso di responsabilità e di organizzazione. Tutto si è svolto in maniera molto ordinata e senza danneggiamenti per la struttura e le suppellettili. Hanno persino provveduto alla pulizia dei locali che occupavano. Un comportamento civile molto lontano dalle esperienze passate.
Paradossalmente non sarà proprio questa una delle ragioni della scarsa attenzione ricevuta da parte dei media? I bravi ragazzi non fanno notizia, ma se fosse circolato un fiume di droga o si fossero registrati atti vandalici si sarebbe acceso un faro di attenzione.
La loro azione trova un parallelo storico nella rivoluzione dei garofani in Portogallo, alla caduta della dittatura di Salazar. Avrebbero certamente meritato una maggiore considerazione, anche per la presenza di un nutrito gruppo di ragazzi molto preparati in grado di elaborare analisi molto acute. Sono sicuro che avranno l'occasione di far valere il loro valore in altre circostanze. Questa per loro è stata una esperienza. Vanno trovati dei meccanismi che diano la possibilità di far emergere le loro qualità al di là dell'occupazione dell'istituto che rappresenta un atto simbolico che esprime la voglia di appropriarsi del proprio mondo, di diventare protagonisti della propria storia.
E' fin troppo evidente che l'attenzione si concentra su quei pochi episodi dove si impedisce al dirigente di entrare, o si registrano casi di vandalismo. I bravi ragazzi non fanno notizia, purtroppo.
Nei movimenti studenteschi odierni manca la proiezione verso l'esterno e verso il futuro. Sembra che tutto debba risolversi intra moenia, non vi è un respiro politico né la voglia di costruire una utopia.
Questo è il riflesso del vuoto che c'è intorno a loro. La politica stenta a trovare un linguaggio comprensibile, a fornire gli ideali e le motivazioni per un impegno. Sono personalmente convinto che sta nascendo una nuova fase, magari in modo poco comprensibile e lontano dagli schemi conosciuti. I grillini, il movimento viola, la grande diffusione dei social network dove si confrontano opinioni sono il sintomo di una nuova vitalità dei movimenti giovanili. Sono realtà che stentano a trovare legittimazione, poiché vengono tacciati di qualunquismo o antipolitica ma sono destinati a crescere.
I partiti e i gruppi di potere che deridono queste nuove organizzazioni non vogliono accettare l'idea che essi non riescono più a intercettare i bisogni dei giovani, non riescono a rappresentarne le ansie e le aspettative.
I partiti rappresentavano il luogo dove si organizzava la difesa di interessi ben individuati: dei cattolici, degli operai, della borghesia illuminata. Si registrava una dialettica anche conflittuale, che richiedeva un esercizio continuo di sintesi. Oggi si formano contenitori ampi tenuti insieme da un leader, ma sotto il cui tetto si affollano individui che rappresentano interessi diversissimi che non potranno trovare dei punti unificanti soprattutto nel campo etico-morale, nella disciplina della famiglia. Si rincorrono egoismi e non ideali.
Siamo di fronte al fallimento della politica.
In questi anni non si è saputo rappresentare i bisogni e le ansie della società. La sola Lega Nord ha saputo parlare alla gente, ma rifugiandosi nel populismo, facendo leva sui sentimenti più primitivi, più atavici per la difesa del proprio particulare. E' prevalsa l'idea berlusconiana di aggregarsi attorno a dei sentimenti populistici, rincorrendo sogni irrealizzabili. I nostri giovani hanno mostrato un senso di maggiore concretezza. Sono già disillusi e consapevoli che le false promesse ingenerano attese non realizzabili.
La nostra generazione era povera ma ricca di speranza e di aspettative, i nostri giovani vivono in un benessere che non sanno se potranno conservare, non hanno prospettive.
Noi dobbiamo convincere i nostri giovani che l'impegno politico è un valore poiché costituisce l'unico modo per costruire il proprio futuro. Dobbiamo creare una coscienza civica per uscire da questo tunnel. Spesso i nostri ragazzi vengono definiti superficiali, ma sono dei grandi osservatori e ci chiedono dei comportamenti consapevoli. Senza eroismi e entusiasmi, ma vogliono essere ascoltati, esprimono un'ansia di crescere.


C OP Y R I G H T

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