Il Consorzio SPIN corteggia il PIA, intervista con Carmine Donato

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno X num. 4 del 29/1/2011


Rende, 27/1/2011

Cos'è il Consorzio Spin? Nato per gemmazione dalla vecchia esperienza del CRAI, resiste ancora e non sembra mostrare gli acciacchi del tempo. Abbiamo ripercorso il suo cammino con l'ing. Carmine Donato, presidente del Consorzio e suo guru indiscusso. La scorsa settimana ha partecipato alla conferenza di presentazione del nuovo bando PIA. Dietro questa ulteriore acronimo si nascondono le richieste di intervento agevolativo plurimo: una azienda può accedere con una domanda a più linee agevolative contemporaneamente, perciò si chiamano Programmi Integrati di Agevolazioni. In termini più chiari è il tentativo di prendere tre piccioni con una fava, evitando di passare per tre volte sotto le forche caudine della burocrazia regionale.

La testa comincia già a fumare. Speriamo che l'ing. Donato ci spieghi ci dia una chiave di lettura per rendere comprensibile questi arcani misteri e le interrelazioni che intercorrono tra di essi.

Come nasce il Consorzio SPIN e che relazione c'è con i PIA che sono stati appena approvati dalla giunta regionale?
Lo SPIN nasce nel 1996. Non siamo una società giovanissima. E' una delle attività nata dopo la fine di un altro consorzio che ha caratterizzato per una certa fase l'esperienza produttiva del terziario avanzato in Calabria, in particolare nell'area cosentina. E' una gemmazione del fallimento del CRAI (Consorzio per la Ricerca e le Applicazioni di Informatica) su iniziativa di ex dipendenti che non volevano disperdere le competenze con questa società che nell'agosto del '96 fu liquidità. L'idea era quella di mettere in rete i servizi avanzati per consentire la crescita del sistema produttivo della regione.
Il CRAI resta una vicenda mai chiarita, un fallimento doloroso per le conseguenze occupazionali e le speranze di sviluppo di un settore terziario avanzato di cui restano solo le ceneri. Per quali motivo la presenza dell'Unical nei vari consorzi ha sempre prodotto un risultato disastroso? Non solo il CRAI, il CUD, TESI e tanti altri sono tutti un chiaro esempio di market failure per l'assenza di una qualsiasi parvenza di politica commerciale.
Non vorrei apparire un difensore d'ufficio della mia ex-azienda di appartenenza, ma credo si possa dire che oggettivamente il CRAI è stato un esperimento molto più incidente e importante delle altre realtà per i titoli e i meriti che ha acquisito, anche se poi ha subito una sorte molto simile alle altre.
E' stata travolta da una montagna di debiti, una cinquantina di miliardi di lire, che per l'epoca non erano certo pochi. Finita la manna degli incentivi pubblici, il castello è crollato.
Alla fine il disastro maggiore non era la condizione economiche. Siamo stati noi dipendenti ad accollarci la situazione debitoria con la rinuncia dell'ultimo anno di retribuzione. Il logoramento del Consorzio è frutto di un accumulo di situazioni oggettive e strutturali che si sono accumulate proprio nell'ultimo anno di attività. E' vero che venuta meno o cambiata la traiettoria degli incentivi pubblici la capacità di stare sul mercato veniva meno.
Perché si trattava di agenzie di intermediazioni di fondi pubblici, senza una politica industriale e commerciale. Era un destino segnato.
Questa descrizione mi pare riduttiva. Il CRAI era una realtà importante. E' stata la prima società europea che è riuscita a vendere dei prodotti informatici, dei software, in America. Il problema è che le ha vendute male, poiché non aveva capacità mercato, non aveva una cultura aziendalistica. Aveva però un grande patrimonio scientifico e ha inciso in maniera importante nella realtà locale. Dal CRAI sono sorte molte iniziative imprenditoriali nel campo della ricerca avanzata, nel CRAI si sono formate tutte le figure professionali informatiche dell'Unical e dei centri di ricerca ad essa collegati. Gli ex dipendenti CRAI hanno assunto ruoli importanti in enti pubblici e in società private. Il CRAI non è riuscito a trasformarsi in una azienda produttiva, ma le ricadute della sua azione sono state importanti e significative. Le risorse impiegata non sono state sprecate.
E' incredibile pensare che un consorzio come il CUD, che prefigurava la creazione di una università a distanza molto in anticipo sui tempi, è fallito mentre realtà come Nettuno o Pegaso, nate molto dopo, sono cresciute e sono diventato un punto di riferimento dell'istruzione universitaria on-line. Anche una idea vincente in Calabria si trasforma in un disastro.
Vi sono ragioni strutturali, poiché i Consorzi universitari nascano in ambiente accademico e sono legati a una gestione burocratica, leziosa. E' mancata la managerialità e la conoscenza del mercato in un settore in un settore dove vi è una fortissima concorrenza a livello mondiale. La produzione di sistemi avanzati è concentrati nelle mani di pochi colossi informatici, un sistema oligarchico altamente competitivo. Manca l'apporto innovativo e il contributo di un mercato nazionale, poiché in Italia il mercato del software è solo indotto, una manipolazione di prodotti realizzati altrove. A questo bisogna aggiungere che opera in Calabria aggiunge ulteriori difficoltà poiché si agisce in un tessuto sociale difficile. E' chiaro che il fallimento del CRAI e del CUD è avvenuta in contesti e cause che sono tutt'altro che aziendali e oggi sono di facile lettura. Il CRAI è fallito quando di voleva attuare il piano telematico Calabria, e alcuni soci del consorzio erano gli stessi interpreti che volevano accaparrarsi le risorse destinate all'informatizzazione della regione.
Sorvoliamo questa vicenda che ci porterebbe in tutt'altra direzione. Cosa è rimasto oggi della Crati Valley, questo luogo ideale dove doveva sorgere il distretto informatico?
Qualcosa è rimasto, ma ancora il suo successo è strettamente legato al flusso dei fondi pubblici e molte di queste attività sono governate da gruppi "non indigeni". Sono quindi perché trovano l'agevolazione dei fondi pubblici e per dei motivi strutturali, poiché qui gli immobili costano di meno, vi è maggiore disponibilità di aree, vi è oggi una ampia disponibilità di personale specializzato che si può utilizzare a basso costo, la possibilità di poter cooperare con istituti universitari depositari di elevate competenze scientifiche. Vi è anche un indotto che ha un impatto occupazionale significativo. Certo, non possiamo proporre alcun paragone con la Silicon Valley, ma è una realtà che merita attenzione e va sostenuta e potenziata.
La Crati Valley è popolata di molti prenditori che attuano una politica di rapina, che vengono qui per usufruire delle agevolazioni, mentre il loro luogo di interesse resta altrove. E pochi imprenditori.
I prenditori sono non indigeni, gli imprenditori sono locali e non riescono ad avere una crescita e una autonomia propria.
Vendendo al "core subejct" della nostra conversazione, cos'è lo SPIN? Nasce da questa esperienza, ma in che cosa si differenzia e qual'è il suo campo di interesse?
Il CRAI era sostanzialmente un ente di ricerca, ma aveva anche una sua attività propria cercando di trasferire il suo know-how alle piccole e medie imprese locali, anche per aumentare la propria capacità innovativa. SPIN nasce con l'obiettivo di mettere in rete alcune piccole aziende di informatica nate da ex dipendenti e rapportarsi con l'università per favorire i processi di creazione di nuove imprese, di attività di ricerca e lo spin-off di nuove figure imprenditoriali innovative.
Da un punto di vista giuridico il CRAI era fondamentalmente un carrozzone pubblico, in che cosa si differenzia lo SPIN?
Intanto, ha una dimensione molto più piccola e quindi più facilmente gestibile e controllabile. Poi i nostri soci sono soltanto dei privati che hanno creduto in questo progetto e sono stati disponibili a investire la loro competenza professionale e un capitale seppur alquanto modesto. Siamo una società non-profit.
Quali sono state fin qui le esperienze più significative?
In origine si voleva costruire un rapporto privilegiato con l'università con la sottoscrizione di un accordo quadro per favorire i processi di trasferimento delle ricerche universitarie nel mondo aziendale, al fine di favorire la nascita di nuove imprese innovative. Questo proposito iniziale si è modificato e rettificato seguendo le evoluzioni dettate dall'esperienza e probabilmente si è anche arricchito. Abbiamo realizzato qualche progetto europeo nel settore. La svolta si è avuto nel 2002 con la partecipazione a un bando del vecchio POR, che prevedeva la sperimentazione di liaison office di ateneo all'unical. Il primo anno ha funzionato con i fondi regionale e successivamente il progetto è stato fatto proprio dall'università che lo ha istituzionalizzato. Questo ci ha anche consentito di stringere stretti rapporti con la stessa università per il trasferimento tecnologico del risultato delle ricerche.
Ma cosa è di fatto, una società di servizi per le imprese, un società di software, una struttura in grado di gestire e canalizzare i flussi agevolativi pubblici, oppure ha una sua attività propria?
Siamo una società di servizi avanzati negli ultimi tempi stiamo discutendo di voler diventare una società con una solido struttura imprenditoriale. Dopo il primo accordo con l'Unical, siamo entrati nella rete della Innovation Relay Centres del Miur, cofinanziata dall'Unione Europea per favorire i processi di innovazione e trasferimento tecnologico rivolte alle piccole e medie imprese.
Per uscire dal vago possiamo avere qualche esempio di impresa che è sorta o si è rafforzata tecnologicamente con il vostro contributo?
La rete è a livello europeo e non solo e integra due reti già esistenti. La prima costituita dagli ex sportelli informativi degli Euro Info Center, realizzati per esempio dalla Università Federico II di Napoli, Centri di Innovazione, ecc. Noi siamo una delle poche società private che facciamo parte di questa rete. Da una parte è un vantaggio perché entriamo a far parte di un circuito internazionale, dall'altra però, ci crea degli appesantimenti gestionali. Sono convinto che il trasferimento tecnologico può essere attuato solo da una azienda privata con una facilità di decisione e manovra.
Per trasferire un prodotto tecnologico bisogna averlo, siamo tuttora fermi all'era di un mercato informatico indotto?
Il prodotto innovativo nasce per un mercato globale e parte, normalmente da una attività di ricerca effettuata nell'ambito universitario, sui deve seguire una fase di sperimentazione e industrializzazione del prodotto. La complessità dei sistemi è tale che è un processo che non ha più una sua linearità. Nella maggioranza dei casi si parta da uno stadio iniziato chissà dove per spingersi oltre, ma certo non si può prescindere dai risultati degli altri. Si è avuto un capovolgimento di prospettiva. Oggi è l'impresa di successo, la finanza, la grande industria che detta i tempi, con le sue esigenze produttive e commerciali.
Vi è una certa nubolosità. Se devo lavarmi i capelli, vado in un supermercato e compro uno shampoo poiché so che esiste quel genere di prodotto. Se sono una impresa vengo da voi per comprare cosa?
I nostri prodotti sono consulenza, audit tecnologico, check-up aziendale, creazione di reti aziendali, implementazione di software specifici per l'attività d'impresa. In generale possiamo dire che offriamo servizi che consentono alle imprese di aumentare la sua competitività e consentono una migliore penetrazione sul mercato servendosi delle tecnologie informatiche.
Possiamo fare qualche esempio di azienda di successo?
A mo' di esempio prendiamo il Progetto Sintenergy, un'azienda specializzata nell’energia rinnovabile, che nasce da una intuizione di un ingegnere italiano, Nino Cutrupi, uno spagnolo, Manuel Sanchez Blanco e dall'architetto greco Kostantinos Telios per la produzione di energia elettrica dalle correnti marine. Noi ci interessiamo di tutte le attività legate al trasferimento tecnologico, alla gestione dei rapporti internazionali, alle ricerca dei partner industriali. Un altro caso interessante riguarda la possibile applicazione di una resina naturale per selezionare in maniera vantaggiosa i prodotti ad alto valore aggiunto dai residui agro-alimentari che possono essere utilizzati in campo farmaceutico e cosmetico.
In che misura fare uso dei fondi pubblici?
In questi due casi, nessuno. Noi ci siamo occupati di trovare il giusto contatto con l'università della Calabria, abbiamo trovato i contatti internazionali, abbiamo svolto un'attività essenziale che ha consentito di iniziare la sperimentazione aziendale. La collaborazione con il Dipartimento di Meccanica è stato free, poiché l'imprenditore ha partecipato al progetto dell'incubatore di crescita dell'Unical per poi assumere un carattere di autonomia, poiché aveva l'esigenza di accelerare rispetto ai tempi del progetto. Adesso si sta concretizzando con un accordo privato con lo stesso dipartimento. Si verifica qui lo strano caso di un privato che finanzia la ricerca universitaria. Vi sono molte possibili ricadute industriali della notevole mole di lavoro che si svolge negli atenei.
Avete anche aiutato qualche impresa a utilizzare i fondi pubblici per la ricerca?
Come Rete Enterprise noi siamo chiamata soprattutto a diffondere i contatti internazionali. La rete è una rete istituita e co-finanziata dall'Unione Europea per favorire le piccole e medie imprese nei processi di innovazione nei processi di opportunità di trasferimento tecnologico e di internalizzazione, si articola con dei partner organizzati in consorzi e operanti su singole regioni.
Lei faceva riferimento ai fondi del primo programma POR
La nostra mission è quella di favorire la realizzazione dei progetti del settimo programma quadro, cioè i progetti di ricerca dell'Unione. Noi abbiamo il compito di promuovere le iniziative e definire dei progetti di ricerca a livello internazionale che invoglino le imprese a partecipare. Qui in Calabria siamo molto in ritardo e dobbiamo accelerare i tempi di realizzazione. Non siamo dei facilitatori di fondi pubblici, ma noi dobbiamo favorire la capacità innovativa e concorrenziale delle imprese. La finanza agevolata è uno strumento che può essere di aiuto, ma non è lo scopo della nostra attività.
Adesso parteciperete ai PIA, i Progetti Integrati di Agevolazione che cercano di attingere a varie fonti per favorire la realizzazione di un progetto complesso. Qual'è il vostro ruolo e cosa vi attendete da questo rinnovato strumento? Ha ancora un senso in Calabria l'agevolazione in Calabria, ritenete che ha ancora un senso dopo decenni di fallimenti?
Qualsiasi strumento non ha un valore assoluto, ma dipende da come lo si utilizza. Se gli incentivi sono considerati degli integratori di reddito sono sicuramente uno spreco e possono avere addirittura un effetto negativo perché generano meccanismi di concorrenzialità non lineare. Se invece sono utilizzati per realizzare progetti che sfruttano le potenzialità di produzione e di lavoro sono molto utili per accelerare i processi di sviluppo. Dipende dall'uso che se ne fa.
Sulla base dell'esperienza maturata qual'è il giudizio sull'efficacia dei fondi agevolativi fin qui utilizzati? Nella predisposizione dei nuovi bandi c'è stata una modifica che lascia presupporre un esito diverso dl loro utilizzo in questo ultimo settennio di agevolazioni dell'Unione?
Sicuramente l'efficienza e l'efficacia dei fondi pubblici utilizzati non è certo stata quella attesa, come testimonia lo stato in cui è ridotta la nostra regione. Ma non è detto che debba essere sempre così.
Cosa è cambiato per sperare che l'esito possa essere diverso nell'immediato futuro?
Siamo all'ultima chiamata e non ci possiamo più permettere di sbagliare, per cui penso che i fondi debbano essere effettivamente più strutturati e finalizzati al finanziamento di attività produttive.
Il nuovo bando PIA è in grado di garantire una migliore allocazione dei fondi? Si sono introdotti correttivi per eliminare le distorsioni rilevate nella precedente esperienza? L'impianto normativa è tale da lasciar sperare n una migliore e più efficiente allocazione delle risorse?
Il PIA è uno strumento già consolidato. La prima sperimentazione è stata effettuata dal Ministero della Ricerca Scientifica e un po' da tutti le regioni l'hanno adottato. In linea di principio può essere considerato positivamente, poiché non si tratta altro che di un piano aziendale che si occupa delle problematiche del territorio. Ma nessuno strumento garantisce di per sé il buon esito dell'operazione, bisogna vigilare perché si agisca con molto rigore e si premino le proposte che abbiamo maggiori chance industriali.
Gli stanziamenti destinati a questo strumento sono sufficienti a coprire le richieste?
Non si tratta di grandi cifre e qualcuno resterà senz'altro deluse. Rispetto al Piano precedente gli stanziamenti previsti non si allontanano molto da quelle precedenti. I progetti selezionati non riuscivano a coprire l'intero importo, e neanche tutti questi sono stati completati. La cifra attuale è un po' inferiore. Quello che conta, però, è che i fondi siano utilizzati correttamente. Penso che in concreto ancora una volta non tutti i progetti si riusciranno a utilizzare. Pochi progetti di successo possono provocare uno shock positivo all'asfittica economia calabrese.
Il sistema di distribuzione maggiormente utilizzato è quello a pioggia per soddisfare il maggior numero di questuanti. Può essere un sistema efficace in campo tecnologico oppure sarebbe necessario concentrare le risorse su poche iniziative importanti e significative per poter effettuare ricerche in campo scientifico, ma soprattutto tecnologico? Il PIA garantisce una maggiore concentrazione o rimane nelle logica di dispersione delle risorse con finalità politico-clientelari?
Di per sé non garantisce nulla. Tuttavia, poiché il PIA afferisce a tre diversi dipartimenti regionali dovrebbe garantire una maggiore obiettività nell'esame delle singole proposte. Questo può essere un handicap poiché ne rallenta l'iter, ma potrebbe garantire una maggiore trasparenza e linearità nelle decisioni per l'opera di reciproco controllo che si instaura in un procedimento amministrativo a direzione concorrente. E' difficile coordinare una polverizzazione.
In alcuni studi apparsi di recente si sostiene che il peso della burocrazia sui conti aziendali è superiore a quello della criminalità organizzata, per cui la complessità dell'istruttoria potrebbe risolversi in un rallentamento del processo e in un aggravio dei costi.
Il peso della burocrazia è un handicap per lo sviluppo. Ma non credo che vi sia una grande differenza negli strumenti utilizzati. Limita e penalizza e ne rallenta l'attività delle imprese calabresi, ma dall'altra crea un insieme di interessi, un mercato che è difficile da rimuovere. Sulla burocrazia vive un intero mondo di consulenti, mediatori politici, esperti e intermediari di vario genere che costituiscono una impressionante massa d'urto elettorale. L'esistenza di tre centri di decisione burocratica può creare qualche appesantimento. Tuttavia, il dipartimento economico è quello di riferimento e molto dipenderà dalla concreta articolazione dell'attività istruttoria. Sono state introdotte delle novità che potrebbero essere interessanti, come la possibilità di un intervento diretto dell'imprenditore nella fase istruttoria per illustrare la sua idea imprenditoriale. Le difficoltà sono molte, ma è necessario uno sforzo da parte di tutti per non perdere questo ultimo treno che può darci aiutarci a uscire dalla nostra condizione di sottosviluppo.

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