In Calabria le banche sono in affanno

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno X num. 7 del 19/2/2011


Rende, 17/2/2011

La crisi morde ancora a Mezzogiorno e le banche mantengono un atteggiamento prudente, in attesa di verificare l'evoluzione della congiuntura. Minor credito e condizioni più onerose sono la conseguenza. "È inutile aspettarsi miracoli, bisogna rimuovere le cause", spiega Emilio Contrasto.

Il sistema Italia mostra qualche sintomo di miglioramento, ma è fortemente appesantito nel suo cammino di crescita. La crisi si rivela particolarmente acuta nel Mezzogiorno, dove è arrivata con qualche ritardo, ma la reattività appare molto debole. Le imprese avrebbero bisogno di un sostegno per poter far ripartire l'economia, ma le banche nicchiano per l'elevato rischio legato alle imprese che progettano di uscire dalla crisi.

Emilio Contrasto, sindacalista della Falcri fa la spola tra Bergamo, sede del gruppo UBI Banca e la Calabria, un'attività che gli consente di tastare il polso alle due realtà del Paese, che diventano sempre più distanti. Abbiamo approfittato della sua disponibilità ad analizzare la congiuntura economica e il ruolo delle banche.


Intervista a Emilio Contrasto

Dopo un lungo periodo di costante aumento del numero degli sportelli, da qualche tempo è in atto una inversione di tendenza e le banche tendono a ritirarsi da qualche piazza. Dottore Contrasto, cosa sta succedendo?
Le banche sono scese nel Sud per potersi assicurare una quota del risparmio, hanno invaso il mercato aprendo numerosi sportelli. È stato un processo positivo, poiché ha contribuito in misura notevole alla bancarizzazione del Mezzogiorno. Proprio questa loro caratteristica ha portato alla necessità di un adeguamento alle mutate condizioni del mercato bancario. Il risparmio veniva raccolto al Sud e utilizzato in maniera più redditizia e sicuro altrove. Lo schema era semplice, vi erano le famiglie come grandi centri di raccolta e le imprese che lo utilizzavano, in maniera parziale per la debolezza del sistema industriale. Oggi questa fonte si è inaridita perché le famiglie sono diventate utilizzatrici del credito. Non sono più in grado di creare surplus finanziari da mettere a disposizione del sistema.
È anche cambiata la strategia delle banche nei confronti delle famiglie con un sensazionale aumento dei prestiti personali, familiari legati al consumo piuttosto che all'investimento produttivo.
Questa è una conseguenza della grande trasformazione strutturale intervenuta per la crisi. Potremmo definirlo un processo di adeguamento, la ricerca di un nuovo equilibrio. Le famiglie sono in affanno e piuttosto che tesaurizzare generando risparmio, sono costrette a indebitarsi per sostenere il livello di consumo e lo standard di vita che si considera irrinunciabile. Questa era una tendenza già in atto che la crisi ha messo in luce e acuito nei suoi effetti. Le stesse banche hanno valutato che il settore famiglie costituisce un aggregato di impieghi interessante e meno rischioso delle imprese per la polverizzazione delle operazioni creditizie e le garanzie patrimoniali e personali che presentano una maggiore facilità di escussione.
Semplificando possiamo dire che c'è in atto uno spostamento del credito dalle imprese alle famiglie.
È un processo che si riscontra nei principali paesi industrializzati. Noi seguiamo con qualche ritardo il modello consumistico americano. Un ruolo fondamentale è dato anche dalla standardizzazione delle procedure consentito dalla massiccia introduzione dell'informatica nella gestione bancaria. Le operazioni sono definiti nel volgere di qualche clic, con un processo valutativo che si avvale dell'enorme volume di informazioni disponibili in rete e nelle banche dati del sistema.
Questo significa che abbiamo meno risorse a disposizioni per gli investimenti produttivi, il risparmio finisce per alimentare il consumo, senza essere neanche riuscito a stimolare l'economia.
Questo è un processo che deve considerarsi irreversibile, ma occorre una correzione di rotta per impedire che possa risolversi in una condizioni di stagnazione. Si è generato un equilibrio precario che provoca un indebolimento strutturale dell'economia. Il ricorso al credito per sostenere i consumi può solo essere temporaneo. Se dura nel tempo si crea una bolla finanziaria destinata a scoppiare con conseguenze disastrose sull'economia. È necessario rimettere in piedi il sistema delle imprese se vogliamo assicurare un futuro al Mezzogiorno.
Possiamo dire che il mercato del credito si è avvicinato alle condizioni reali dell'economia meridionale che è prevalentemente basata sul consumo e sui trasferimenti statali.
Possiamo solo registrare il fenomeno e denunciare la pericolosità della rottura di un equilibrio economico che ha consentito un lungo periodo di crescita e di benessere per le società occidentali. Va bene sostenere il consumo delle famiglie, ma se non abbiamo le risorse per gli investimenti produttivi, significa che stiamo trasferendo ricchezza in qualche altra parte del globo che produce per noi. Già oggi il mercato è invaso da merci cinesi e coreane a prezzi molto bassi che ci consentono di continuare lo scialo. È ben evidente il rischio insito in questo sistema. Abbiamo creato una eutanasia economica.
Le condizioni del Mezzogiorno si presentano drammatiche perché questo ha appesantito il sistema, ha assottigliato le risorse a disposizione delle imprese per rilanciare la loro produttività. Rischiamo di alimentare un declino irreversibile.
Questo è un rischio effettivo e il pericolo è avvertito in maniera più o meno consapevole. La stessa politica delle banche si richiama alla necessità di dover sostenere le imprese, ma ci si ritrae di fronte al rischio che questa operazione comporta. Tutti vorrebbero osare, ma nessuno ha il coraggio di fare la prima mossa. Ci vorrebbe un intervento pubblico forte e coerente a sostegno di una politica industriale. Non ci sono risorse e non c'è una politica.
In questo credo che una grande responsabilità è da attribuire alla concentrazione delle banche. Ieri vi era un tessuto di piccole e medie banche in grado di interpretare le esigenze e intervenire a favore del sistema economico meridionale. Oggi sono rimaste solo le BCC a combattere una battaglia persa in partenza. I grandi gruppi bancari hanno la testa altrove, sia nel senso della governance che degli interessi.
Questa è una conseguenza della politica perseguita dalla Banca d'Italia. L'ipotesi di partenza era costituita dall'esigenza di sprovincializzare il sistema, introdurre elementi di efficienza e di concorrenza internazionale. Il Sud perdeva le sue banche ma in cambio avrebbe avuto più credito a condizioni più favorevoli. Sicuramente oggi non vi è più un grande interesse nei confronti del Mezzogiorno, che soffre dei nuovi protagonisti economici. Le banche del Sud devono fare uno sforzo di assecondare le esigenze delle imprese poiché le loro sorti sono strettamente legate. Le grandi banche che operano nel Sud vivono un momento di riflessione in attesa di capire quale sarà la possibile evoluzione di questa enigmatica congiuntura. Nel breve e medio periodo non vi sono grandi rischi, poiché il Sud continua ancora a essere un produttore di capitali.
Le piccole BCC stanno sostenendo una lotta titanica nel tentativo di sostenere l'economia e molte di esse si sono scottate le mani. Non crede che bisognerebbe chiedere ai grandi istituti di scendere in campo. La politica dell'attesa potrebbe rivelarsi letale.
Bisogna fare attenzione perché poi la realtà è molto variegata e presenta situazioni molto diverse tra di loro. Certo lo sforzo delle BCC è encomiabile, ma vi sono anche istituti come la Carime che fanno la loro parte. In questo momento di crisi ha aumentato il volume degli impieghi in Calabria.
La Carime mantiene la sua sede legale in Calabria, ma di fatto appartiene al gruppo UBI Banca. Qual'è la sua autonomia, può considerarsi uno stakeholder legato al territorio o ubbidisce soltanto alla logica di gruppo, il che significa che è sempre pronta a staccare la spina? Nella gestione corrente è una banca attenta al territorio?
È evidente che la Carime deve rispondere alle esigenze del gruppo, anche se mantiene formalmente la sua sede legale a Cosenza. Dobbiamo essere noi a rappresentare correttamente la situazione del Sud, e le opportunità che vi sono presenti. Non possiamo aspettare la generosità altrui. Sono convinto che il Sud offra grandi opportunità di investimento e che vi sono imprese solide e con una buona capacità tecnica. Non possiamo nascondere che vi sono ostacoli oggettivi, come la criminalità organizzata e la burocrazia inefficiente, che dobbiamo superare insieme agli altri attori del territorio. Penso che le opportunità al Sud oggi sono tante che una banca che voglia investirvi ne può trarre grandi vantaggi. Banca Carime è uno dei grandi gruppi che comunque nel Sud continua a investire e di questo ne va dato atto.
Come ha funzionato il sistema di controllo introdotto con Basilea-2, possiamo trarre un primo bilancio?
L'entrata in vigore del sistema è coinciso con l'inizio della grande crisi, che si è prodotta in maniera autonoma in paesi dove essa non è neanche entrata in vigore. Sono convinto che una applicazione rigorosa del sistema avrebbe molto attutito gli effetti e impedito una diffusione a macchia d'olio. Nel nostro caso credo che abbia avuto un effetto positivo e ben lontano dalle conseguenze disastrose che si temevano. Come tutti i sistemi di gestione, anche Basilea-2 è perfettibile tanto che si è pensato a correzioni sostanziali. Però dobbiamo sottolineare che la maggiore rigorosità del sistema europeo è valso a impedire le conseguenze devastanti che si sono registrate in America.
Quali sono i limiti di Basilea-2 e cosa possiamo attenderci con loro applicazione? Peggioreranno ulteriormente le condizioni per l'ottenimento del credito?
In primo luogo la sua applicabilità era e è limitata ai paesi che vi hanno aderito, e questo è un inconveniente al quale si è cercato di porre rimedio con una opera di moral suasion. Il vero nodo è costituito dal fatto che la costruzione di tutto il sistema è concentrato sui fenomeni finanziari, mentre si è dato scarso peso all'economia reale. Trattandosi di un processo graduale non si poteva certo imporre alle banche svolte troppo radicali, che avrebbero potuto creare una grave crisi nel loro rapporto con le imprese.
Ma vi è il rischio di un restringimento del credito con l'introduzione delle nuove norme?
Bisogna evitare qualsiasi allarmismo. L'entrata in vigore del nuovo sistema è previsto per il 2019, quindi abbiamo certamente molto tempo per prepararci, tanto le banche che le imprese. Certo, le norme previste sono molto rigide e impongono un grande sforzo alle banche per adeguare i propri patrimoni con l'accumulo delle riserve. La crisi ha messo in evidenza il ruolo giocato dal patrimonio bancario. Solo massicce iniezioni di liquidità pubblica ha impedito il collasso del sistema, ma non è pensabile che il sistema economico mondiale possa sopportare altre crisi di questa natura e intensità, bisogna prevenirle. Vi è poi l'esigenza di far ripartire l'economia. Questo impone che le banche tornino al fianco delle imprese. Basilea-3 nasce da queste due esigenze e può essere una grande risorse per riprendere il cammino dello sviluppo. Una sana gestione può assicurare maggior credito a condizioni più favorevoli. Un obiettivo già fallito una volta, che dobbiamo rendere possibile.
Resta ancora la forbice tra il Nord e il Sud?
Bisogna dire che restano le differenze nel reddito, nella produttività, nella rischiosità, nelle opportunità di investimento. La forbice dei tassi non si restringe per via legislativa, ma eliminando le cause che la producono. Per questo la strada è ancora lunga.

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