Stava per toccare alle province

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno X num. 23 del 11/06/2011


Rende, 09/6/2011


Sarebbe stato l'ennesimo colpo di scena senza senso, l'abolizione delle province, invece di pensare alla razionalizzazione della burocrazia, allo spreco degli uffici regionali decentrati solo per fare un esempio

Un voto in parlamento fa molto discutere il popolo della sinistra. Con la sua astensione il PD ha impedito che passasse un codicillo che aboliva le province. Tout court, senza se e senza ma. Una proposta dell’Idv che oggi carica a man bassa contro i traditori che non vogliono tagliare i costi della politica. Una posizione demagogica e populista con la quale si vuole continuare la politica del sondaggio, la manipolazione dell’opinione pubblica, servirsi dell’onda della protesta. Un modo da seconda repubblica, che ha quasi distrutto le istituzioni democratiche inseguendo il vento, cercando di cogliere l’attimo sfuggente per riempiere la bisaccia del proprio consenso senza preoccuparsi della ragionevolezza delle proposte, le conseguenze delle decisioni, l’impatto sul sistema.

Abolire le province significa scardinare un sistema senza immaginarne un altro, senza porsi un problema di coerenza e di compatibilità. L’obiettivo non può essere certo il taglio, il colpo di accetta, ma la razionalizzazione della burocrazia, l’ottimizzazione delle risorse e delle procedure, la creazione di un sistema user friendly. Basta girarsi attorno per incontrare l’inefficienza e l’inutilità di molti enti che pretendono di operare sul territorio. La somma degli incarichi sottoincarichi, prebende e spese inutili supera di gran lungo il costo delle province. Si parla delle Comunità Montane, dei Consorzi di Bonifica, delle Area di Sviluppo Industriale, della ASP, dei Distretti Scolastici, dell’Aterp … Vi sono poi gli uffici regionali decentrati, fonte di spreco, di inefficienza, di gestione clientelare. Si potrebbero abolire subito, accentrandone poteri e competenze alle Province.

Per non parlare di comuni. Sono proprio necessari 450 comuni in Calabria? E se li riducessimo a cento? In questo caso, essi potrebbero ricevere le competenze oggi della province e di tutti gli enti soppressi. Il problema non è abolire o meno le province, ma immaginare una riforma della pubblica amministrazione, che sia efficiente e coerente. La Bindi e Franceschini hanno detto parole ragionevoli, condivisibili, dettate di buon senso. Quello che manca è un progetto di riforma serio, che sia in grado di tradurre la protesta in proposta. Manca una bussola di riferimento, si procede a tentoni, inseguendo l’ultima corrente del pensiero. Questa è la vera difficoltà della sinistra, la timidezza nelle proposte, la paura che la demagogia sia può forte della coerenza e della serietà. Nave senza nocchiero in gran tempesta …

Vi sono altri due esempi di raffinata demagogia: la riduzione del numero dei parlamentari e la legge elettorale.

Credo che non si faccia fatica sul primo quesito a trovare l’unanimità. Non si trova nessuno che non sia favorevole. Anche questa è una follia demagogica, che fa leva sul sentimento di profondo disprezzo per i politici e la politica e ne pretende un ridimensionamento. La vera alternativa è tra il raddoppio dei rappresentanti o la loro totale abolizione. La riduzione del loro numero, rebus sic stantibus, significherebbe semplicemente dare la facoltà alla casta di scegliere i servi più fedeli, i lacché di provata esperienza leccato ria, i pretoriani disposti a morire per il capo supremo che li ha scelti e li conserva in naftalina per la propria bisogna, quella della sua famiglia, della sua azienda, del suo paese natio, per gli amici del bar. La sublimazione dell’idea che il Paese sia un feudo della casta illuminato che lo governa, una perfetta identificazione della casta con lo stato, che abolisce in nuce qualsiasi possibile conflitto di interesse. Una condizione che riguarda i governati non i governati che all’atto dell’investitura operano una transustanziazione della loro essenza. In queste condizioni meglio averne duemila di rappresentanti. Almeno si troverà qualche Scilipoti a sinistri a Fini a destra che si ribella alla sua condizione servile e cerca un riscatto nella dignità o nella vendita della propria coscienza. Non bisogna sottovalutare che il nostro premier è l’unico che ha il coraggio di dire che la legge elettorale va bene così come è stata votata dai suoi lacché (vi erano anche i Fini, i Casini a plaudire quella volta lì), ma tutti gli altri non si dimostrano particolarmente dispiaciuti.

Ridurre si può, di deve. Ma occorre creare le condizioni affinché la rappresentanza parlamentare sia scelta con criteri rigorosi, costituita da individui con una forte personalità, autonomia, competenza, autorevolezza, assolutamente sganciati dal potere. Con qualche regoletta semplice semplice: la separatezza delle funzioni parlamentari con l’attività di governo, il divieto di assumere altri incarichi pubblici, l’impossibilità degli eletti di difendere i membri del governo, la limitazione del numero dei mandati, la specchiata onorabilità che devono dimostrare all’atto della candidature e mantenere nell’assolvimento del loro incarico, il processo per direttissima per i reati di cui sono accusati e cosucce di questo tipo.

Per quanto riguardo la legge elettorale, si può dire che tutto ciò che è stato inventato, rabberciato, proposto, e approvato in questa pseudo seconda Repubblica, è proprio da buttare? C’era bisogno di qualche aggiustamento, ma il proporzionale è il sistema che meglio rappresenta le diversità e le molteplicità del nostro paese, che consente alla politica di svolgere il suo ruolo di mediazione, senza la forzature di coalizioni posticce e prive di qualsiasi collante ideologico, di qualsiasi coerenza propositiva.

Degli screditati governi di coalizione resta un disegno riformatore, un paese cresciuto, uno sviluppo tumultuoso. Di questa seconda repubblica si vedono solo macerie morali e materiali.

Si ha bisogno di una alternativa credibile, di un disegno percepibile che riesca a vincere l’apatia e l’indifferenza, ma anche la demagogia emotiva. Di fronte a proposte serie, tutti sono disposti a ragionare.

I referendum avrebbero pur dovuto insegnare qualcosa. (OP)


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