Di test in test abbiamo perso la testa

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno X num. 36 del 10/09/2011


Rende, 6//9/2011


Un'altra professione in via di estinzione? Il medico, migliaia di giovani costretti a girare l'Italia con la matita in mano sperando di azzeccare le risposte giuste in qualche ateneo


Un paese ben strano l’Italia. Non ci sono più idraulici e raccoglitori di pomodori perché sono lavori manuali che nessuno vuole fare e siamo costretti a servirci di personale straniero. Tra qualche tempo saremo a corto anche di medici. Una professione che tutti vorrebbero fare, ma che da qualche decennio si sta cercando di scoraggiare in tutti i modi. Da qualche anno “importiamo” infermieri, e manca poco che nelle corsie degli ospedali cominceranno a materializzarsi medici pakistani o cinesi. La Lega Nord sarà certamente felice di essersi tolto di dosso i terroni. Il successo della sua politica dell’immigrazione è evidente. “Fora di ball” tutti i negri, terroni e musulmani. La Padania sta bene da sola, con il suo concorso di miss, il giro delle ciclistico delle Langhe, il raduno di Pontida, l’ampolla del Po e la riesumazione dei riti celtici. Nel ventennio SU (Silvio, Umberto) non si è avuto il tempo di occuparsi del sistema di selezione e reclutamento dei medici. Erano troppo occupati a organizzare una scuola di formazione dei druidi. Il futuro ci è caduto addosso senza che nessuno abbia percepito il disastro economico-sociale prossimo venturo, che si sovrapporrà alla crisi acuendone gli effetti. L’aspetto più drammatico è certamente la carenza di opportunità occupazionali per effetto della traslazione della produzione industriale nei Paesi Bric. Perdere le opportunità residue nel campo sanitario, dei servizi e della ricerca significa che questo Paese è destinato a un rapido declino perché non riusciamo a costruire alcun futuro per i nostri figli.

Un esercito di quasi centomila persone ha percorso in lungo e largo la penisola in questo settembre per partecipare alla lotteria dei test di ingresso alle facoltà sanitarie. Una prova in grado di mettere a repentaglio la salute mentale dei partecipanti, il portafoglio delle famiglie, la credibilità del sistema scolastico.

È proprio da lì che bisogna partire per tentare di capire questo strano meccanismo selettivo che non garantisce una selezione rigorosa dei più capaci, ma costituisce la consacrazione l’istituzionalizzazione di “Colpo grosso”, del quiz televisivo, del concorso a premi. È un po’ come la selezione del Grande Fratello o la partecipazione all’Isola dei Famosi. Tutto deve essere esagerato: mangiarsi una cavalletta in diretta tv o sopportare di essere ricoperti di vermi. Tutto deve essere estremo, incredibile. Sembra una esagerazione? Basta scorrere le domande dei test e sottoporle a medici affermati e con una lunga esperienza. La stragrande maggioranza di essi non saprebbe rispondere a tre quarti dei quiz e non sarebbe ritenuto idoneo per iniziare gli studi di medicina. Può questo essere considerato un normale metodo di selezione, o non siamo di fronte a un sistema perversamente sadico, che gioca con il futuro dei ragazzi, si prende gioco del loro entusiasmo?

Lo stesso esercito (o quasi poiché vi sono una nutrita schiera di ripetenti che tentano la sorte per più anni consecutivi) pochi mesi prima ha dovuto sostenere un altro esame. Non una prova qualsiasi, ma un esame di Stato con tanto di commissione nominata dal Ministero, regole rigide e uniformi su tutto il territorio nazionale con l’attribuzione di un punteggio che dovrebbe riflettere il comportamento dell’intero ciclo di istruzione superiore. Il mitico esame di maturità, la vera prova di iniziazione per entrare nel mondo degli adulti, e iniziare il proprio cammino, costruirsi la propria realtà.

Non è affatto trascurabile che lo Stato sostiene un costo rilevante per assicurare la presenza dei docenti nelle Commissioni. Un ragazzo fresco di licenza o diploma conseguiti con 100 lode, encomio solenne, corona di allora non può iscriversi alla facoltà di medicina, ma deve sottostare alle forche caudine del test e magari gli verrà negata la possibilità di iscriversi.

L’obiezione corrente è che la scuola non riesce a esprimere una valutazione oggettiva, che il risultato degli esami non rispecchia la preparazione effettiva. È certo che si registrano incongruenze macroscopiche. I licenziati con il massimo dei voti si concentrano al Sud, mentre il sistema di valutazione OCSE-PISA – utilizzato per confrontare il grado di preparazione in tutte le scuole dei paesi OCSE, registra vistose lacune degli alunni meridionali. Il Sud costituisce un rompicapo, un evidente paradosso: ha il primato dei geni che termina il loro ciclo di istruzione secondario con il massimo dei voti, ed è all’ultimo posto nella graduatoria europea della preparazione scolastica.

C’è sicuramente qualcosa che non va. Invece di cercare un rimedio per sanare le anomalie rilevate, si inventa un nuovo sistema, gli ormai famosi e famigerati quiz - ancora più complicato e discutibile di quello considerato inidoneo. Anzi il sistema viene esteso al reclutamento dei dirigenti scolastici. Il concorso relativo indetto in piena estate prevede una preselezione con un quizzone di cento domande scelte tra le 5.500 predisposte dal Ministero e bisogna “indovinare” almeno 80 risposte esatte, alcune decisamente … amene. “Se posso accedere alla formazione professionale musicale e coreutica all'età di 8 anni, in quale dei seguenti paesi mi trovo?” La risposta è la Spagna … ovviamente. Una conoscenza fondamentale per diventare dirigente scolastico! Sfido chiunque non abbia vissuto dieci anni in quel paese a rispondere esattamente. Non sono solo queste le domande, ovviamente, ma in gran parte sono costruite in maniera capziosa per indurre all’errore, non per verificare il grado di preparazione. Si tratta di un nozionismo inutile, una serie di conoscenze che non danno alcun aiuto ai futuri “presidi” – poiché tali sono rimasti a dispetto di come vengono chiamati oggi e dell’autonomia scolastica fasulla – nell’esercizio delle loro funzioni. Per dare una idea si chiede di ricordarsi una serie di statistiche sui sistemi scolastici dei paesi dell’Unione, quanti sono gli ispettori impegnati nel sistema educativo francese, quanto dura la scuola primaria in Spagna, quanto dura l'istruzione obbligatoria in Inghilterra, quanto dura l'obbligo scolastico in Portogallo, a che età si lascia la scuola dell’obbligo in Belgio, e via discorrendo. Si tratta di un puro espediente per creare un ostacolo all’ingresso: giochi mnemonici per aspiranti concorrenti della Corrida o del vecchio “Lascia o raddoppia”, con il rammarico di cadere per una domanda capziosa. “Ahi, ahi! Signora Longari, lei mi è caduta sull’uccello”, avrebbe esclamato Mike, il re dei quiz televisivi.

La dirigenza scolastica, che costituisce l’ossatura manageriale degli istituti scolastici, andrebbe forse selezionata in un percorso di formazione che fornisca le necessarie cognizioni tecniche giuridiche, amministrative, contabili, legali per poter affrontare problematiche che sono molto lontane dall’insegnamento; disporre di un sistema di valutazione che individui, nell’ambito del personale scolastico le figure che possiedono le qualità e le competenze necessarie di gestione. Oppure si potrebbe ricorrere al sistema elettivo, come succede per i rettori delle università. Tutto meno che il sistema cervellotico utilizzato nel corso degli anni fino a quello attuale. Il degrado del sistema scolastico pubblico non nasce da una crisi congiunturale, ma ha cause strutturali e sistemiche che richiede una rivoluzione copernicana per uscire dal pantano normativo in cui siamo caduti.

La lotteria del nuovo concorso per la selezione dei dirigenti si aggiunge all’infinita serie di disposizioni assurde e contraddittorie che impediscono alla scuola di fornire una istruzione di alta qualità come era nella sua tradizione. Cos’è l’esame di Stato o cosa vorrebbe essere? Una valutazione del grado di maturazione culturale che gli consenta di affrontare i più impegnativi studi universitari. Se non svolge questa funzione è meglio abolirlo.

Il quizzone per l’ingresso nelle facoltà sanitarie nasce dalle perplessità che l’esame di stato possa realmente operare una scelta meritocratica, dimenticando che il metodo proposto è addirittura peggiorativo. Un sistema nozionistico, una conoscenza frammentaria, inutilmente specialistica, legata all’emotività di quel momento, alla tenuta psicologica. Alcune domande sono decisamente inutili, altre si accaniscono a pretendere una conoscenza di materie che si andranno a studiare, altre decisamente costruite per confondere e creare pathos necessario per dare una parvenza di solennità a un rito inutile. E un grande e odioso business frutto dell’inefficienza della scuola pubblica.

Intanto, il calcolo del fabbisogno esteso al quinquennio successivo tiene in considerazione esclusivamente il mercato nazionale, mentre i titoli di studio conseguiti nelle università pubbliche sono riconosciuti a livello europeo, come previsto dalle direttive dell’Unione. I medici italiani possono esercitare la loro professione in ognuno degli stati membri, per cui la valutazione del fabbisogno andrebbe condotta a livello europeo. Vi sono paesi, come l’Ungheria, Malta o la Spagna, che hanno fatto tesoro di questa opportunità e offrono agli studenti italiani corsi di laurea in inglese. Si è creato un mercato fiorente che alimenta un interessante movimento economico. In questo modo si offre la possibilità di aggirare l’ostacolo del numero chiuso in un altro Paese dell’Unione, con un notevole aggravio a carico del bilancio delle famiglie. Gli studenti che studiano all’estero non hanno diritto ad alcuna borsa di studio, né a trattamenti di favore per la sistemazione logistica; e le tasse universitarie sono tutt’altro che simboliche.

La seconda assurdità risiede nel modo in cui sono predisposti i quiz. Mentre si concede la possibilità di partecipazione a tutti i tipi di scuole (licei, istituti tecnici commerciali e industriali ecc.), le domande richiedono una preparazione specifica in ogni materia che nessuno di partecipanti può possedere. Gli studenti del classico hanno difficoltà a risolvere i quesiti di matematica, quello dello scientifico evidenziano carenze nelle materie letterarie, i diplomati nelle varie specializzazioni hanno una preparazione specifica nelle loro materie specialistiche e così via. Molte delle domande richiedono, inoltre, cognizioni su materie e argomenti che formeranno oggetto dello studio universitario che si è scelto di intraprendere. "Nei pressi del noto Liceo Tacito di Roma si trova la "grattachecca di Sora Maria", molto nota tra i giovani romani. Sapresti indicare quali sono i gusti tipici serviti? Menta, limone, amarena, cioccolato...". È una delle ottanta domande sottoposte agli aspiranti medici nell’ultima prova che si è tenuto all’inizio di questo mese. Altri quesiti riguardavano Dan Brown e il Codice Da Vinci, Vasco Rossi, Clinton e lo scandalo Lewinsky. Sicuramente nozioni fondamentali per dimostrare di poter affrontare l’esame di patologia. Più verosimilmente esprime una condizione patologica e una debolezza psico-fisica dei soloni che preparano i quiz, alla disperata ricerca del meraviglioso e del fantastico, dell’attuale e dell’inconsueto per stupire, cogliere di sorpresa, costruire un thriller con un finale mozzafiato. Insomma, un’assurdità. Spesso il risultato è una botta di fortuna.

In terzo luogo, il superamento del quizzone è l’anticamera della laurea, poiché non l’ateneo non ha alcuna possibilità di attuare una selezione rigida poiché rischierebbe di ritrovarsi senza alunni negli anni successivi. Quasi tutti gli iscritti arrivano alla laurea, per cui l’unico vero esame resta la prova d’ingresso. L’esame di anatomia, ad esempio, è solo un piccolo accidente, né esistono ostacoli insormontabili perché le asperità vanno debitamente spianate: un diciotto non si nega a nessuno nella scuola degli “eletti”. Nel caotico sistema precedente i veri ostacoli erano proprio loro, gli esami, e la selezione era costituita dalla difficoltà di superarli che provocava una “mortalità” studentesca molto elevata: solo una piccola percentuale delle matricole arrivava a conseguire la laurea.

L’evidente incongruenza del metodo ha fatto nascere una fioritura di corsi, corsini, corsette e corsoni molto vari per organizzazione e soprattutto per prezzo. Si va dai cinquanta euro dell’Università di Napoli per un corso di qualche settimana, a molte migliaia delle scuole più “accorsate” che riescono a vantare una elevata percentuale di accessi. Per le famiglie si tratta di un vero e proprio salasso finanziario; per gli aspiranti medici un grande stress poiché si trovano a dover smuovere un macigno che ostruisce la strada dei propri sogni. Si vanno creando addirittura scuole specializzate, “licei medici”, finalizzati ai test d’ingresso, che costituiscono un’aberrazione, la costruzione di robot che sapranno tutto sugli indovinelli ministeriali ma non avranno la cultura di base che costituisce il patrimonio formativo, l’imprinting del nostro percorso di civiltà. Si ripropone la vecchia questione sull’inutilità degli studi classici, la perdita di tempo a studiare il greco e il latino, i Sumeri e la Rivoluzione Americana. Meglio occuparsi della Grattachecca. Per la cronaca e per la storia la risposta corretta era “limone”!

En passant, bisogna sottolineare che anche in questo la Calabria è buona ultima. Non si ha notizie di iniziative nate per aiutare gli studenti a superare l’ostacolo, fatta qualche eccezione non “eccezionale”, nessuno ha approfittato del ricco business. Non vi ha pensato l’Unical, che ha la giustificazione di non avere una facoltà di medicina, ma neanche l’Università Magna Grecia di Catanzaro. Eppure sono migliaia i calabresi costretti a tour formativi in tutta Italia, da Messina a Roma. Almeno si potrebbe alleviare il disagio e contenere le spese che le famiglie sono costrette a sostenere.

Quanto durerà questo meccanismo? Per adesso sembra che sia eterno, perché non vi è alcun ripensamento a livello ministeriale, né una presa di coscienza collettiva che possa sfociare in una rivolta. Sindacati, associazioni industriali sono tutti convinti della validità della meritocrazia alla Grattachecca.

«Concordo sul fatto che i test di cultura generale, in quanto tali, siano scarsamente adeguati al tipo di selezione di cui abbiamo bisogno” ha infatti dichiarato a febbraio scorso la Ministra Gelmini. Questo è l’atteggiamento prevalente. La cultura non serve a niente, vi è l’esaltazione del saper fare, della conoscenza specialistica che è il brodo di cultura di queste scuole private sorte per approfittare di questa situazione di grave disagio di tanti studenti che hanno una rilevante forza per l’attività di lobbying che ostacola qualsiasi cambiamento.

“Credo sia urgente sostituirli in tutto o in parte con quesiti di natura logico-deduttiva che premino soprattutto le capacità di analisi e ragionamento dei candidati», ha aggiunto la Ministra. Non si tenta nemmeno di stabilire una interrelazione con la scuola superiore. L’Università è un altro pianeta, una realtà aliena.

Quando torneremo a essere un Paese normale?

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