Uno scomodo grillo parlante

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno X num. 38 del 24/09/2011


Rende, 22/9/2011


Saverio Zavettieri, uno dei pochi politici pensanti, rigettato dal centrosinistra e mal sopportato dal centrodestra per la sua propensione a parlar troppo ... Analisi sempre molto acute le sue ...


Saverio Zavettieri è uno dei pochi politici pensanti che appartiene alla rimpianta classe spazzata via da Tangentopoli, che ha costruito l’Italia del miracolo economico. I primi decenni del secondo dopoguerra sono stati il periodo più proficuo del secolo e mezzo di storia unitaria che ha rivoluzionato l’Italia portandola nel club delle economie più sviluppate del mondo. Le sue analisi sono sempre molto acute e consentono di aprire uno squarcio soprattutto nel quadro politico regionale, dove continua a mantenere un ruolo per le sue capacità e il suo acume, alla continua ricerca di un modo per superare lo contrapposizione frontale che è la naturale conseguenza della eccessiva semplificazione prodottasi con l’introduzione del maggioratario “scorretto” dal porcellum. Rigettato da centrosinistra e mal sopportato dal centrodestra per la sua naturale propensione a recitare la parte del grillo parlante. L’autonomia e l’intelligenza lo fanno debordare dalla stretta osservanza militante poiché spesso racconta verità scomode che mettono a nudo le fragilità morali del potere. Vi è un sacro timore degli spiriti liberi che possono mettere a repentaglio il quadro di interessi economico-sociali che si coagulano attorno al governo regionale.

La Giunta Scopelliti è già in affanno e ha bisogno di un rapido passaggio ai box per definire i rapporti di forza delle lobby. Si ha l’impressione che è cambiato il burattinaio, ma il metodo è rimasto sostanzialmente immutato. La nuova maggioranza è affetta da un delirio di onnipotenza. La preoccupazione maggiore è l’occupazione del potere, non la ricerca di una soluzione per i gravi problemi in cui si dibatte la Calabria, stretta da una crisi economica interminabile che rischia di trasformarsi in tragedia sociale. Il giovanilismo delle scelte che ha caratterizzato la nomina dei dirigenti regionali e degli incarichi di sottogoverno è frutto di una logica spartitoria politico-clientelare, non certo l’esaltazione della competenza e della professionalità.

Settori strategici come la difesa dell’ambiente e del suolo, lo stato di salute del mare, la politica sociale sembrano fuori controllo, senza che sia stato predisposto alcun piano credibile per affrontare questo stato di emergenza. Ma è soprattutto sull’utilizzo dei fondi europei, sull’incapacità di programmazione, che si registra un ritardo inammissibile. Mentre tutto precipita non si riesce nemmeno a utilizzare quella scialuppa che si viene offerta dall’Unione Europea.

Lo stato di disagio è pianamente avvertito da Saverio Zavettieri e lo dice chiaramente esprimendo il disagio di sostenere una maggioranza incoerente rispetto al quadro nazionale, incapace di affrontare i veri problemi della Calabria ...


Intervista a Saverio Zavettieri

L’Italia vive una crisi generale, di ordine economico, sociale e politico. Quali sono a suo avviso le cause che ne impediscono o ne rallentano l’uscita?
In una economia globalizzata, le congiunture internazionali, incidono e determinano i processi economici di ogni paese. Non esiste più da tempo una economia a comparti stagni. Veniamo da un decennio in cui si sono susseguite più crisi finanziarie, dalla bolla d’internet a quella immobiliare, che hanno creato le basi per l’inarrestabile crisi del 2008. Purtroppo, le vicende odierne portano le lancette dell’orologio dritte a quella data, con soluzioni di governance globale che si sono rivelate deboli o inesistenti. L’Italia, nel pieno della tempesta, risulta essere più esposta per la sua debolezza strutturale cronica e per la sua classe dirigente, per un quadro istituzionale e politico precario oltre che per l’incapacità certificata dell’assetto bipolare maggioritario a produrre riforme di sistema. Il tutto, con un debito pubblico spaventoso che, nonostante la politica dei proclami propria della seconda repubblica, ha superato la cifra record di 1.900 miliardi di Euro.
Abbiamo fatto due manovre in pochi mesi, e il Governo promette di aprire una stagione di riforme … un paese fermo?
Il Paese vive una lunga stagnazione che rischia di condurre a una perdita di competitività di fronte ad attori internazionali innovativi ed agguerriti che incalzano e sopravanzano. In Italia, la sfida della modernizzazione è stata vissuta come secondaria e demandata a tempi migliori con una visione dell’oggi miope, fallimentare e di comodo figlia di un “conservatorismo di ceto” becero, espressione delle mille corporazioni che hanno immobilizzato il paese.
E’ auspicabile e prevedibile una crisi di governo in questo contesto?
La seconda repubblica e le sue figure politiche ci hanno abituato ad un teatrino dove tutto è possibile. Una crisi al buio con i mercati in tempesta non è auspicabile né si vedono all’orizzonte soluzioni alternative nonostante i limiti e le contraddizioni dell’attuale maggioranza. Il sistema bipolare italiano, inoltre, non favorisce ricambi ed assunzioni di responsabilità, ma vede minoranze che pensano a lucrare dei guai dei governi. I risultati, dopo quasi un ventennio, sono sotto gli occhi di tutti e le responsabilità vanno equamente assegnate tra tutti gli attori in campo, non escludendo neanche il Colle più alto che con i suoi interventi – vedi il rinvio del voto di fiducia di oltre un mese il dicembre scorso con l’equivoco di un governo di transizione – ha tenuto artificialmente in vita un governo che aveva esaurito la sua funzione.
Con questo quadro politico si rischia di andare a fondo, come ormai riconoscono quasi tutti, ad eccezione dei berlusones doc. Nessun altro governo è possibile?
Come noto, non sono un cultore del bipolarismo maggioritario. I suoi paladini dovrebbero accettare e rispettare i suoi precetti che prevedono, dinnanzi ad una maggioranza e ad un governo che viene meno, il ritorno al voto essendo - nonostante l’assenza di qualsivoglia norma costituzionale - la designazione del Premier sulla scheda elettorale, componente primaria ed essenziale della scelta dell’elettore. Qui, invece, si cercano scorciatoie. Piuttosto che scegliere la strada maestra del voto si cospira e si teorizza la “liberazione” da Berlusconi con soluzioni proprie di quel sistema tanto vituperato della prima repubblica, regalando così al Presidente del Consiglio un vantaggio insperato.
I socialisti sono una componente minoritaria, ma hanno una grande tradizione e culturale, quale dovrebbe essere la ricetta per affrontare questa sfavorevole congiuntura politica ed economica?
Bisogna innanzitutto prendere atto del fallimento irreversibile della Seconda repubblica e del modello politico-istituzionale artatamente imposto attraverso le due diverse leggi elettorali che si sono succedute. Poi, se non si vogliono prendere scorciatoie che ci riportano al punto di partenza - vedi il referendum sulla legge elettorale - e si vogliono affrontare alla radice i problemi del Paese non basta la semplice modifica del meccanismo elettorale, certo necessaria, ma una riforma organica e strutturale dell’assetto Costituzionale che renda moderno e funzionale il nostro Stato. Questo compito, data la situazione, non può che essere affidato ad un’Assemblea costituente, composta di non più di cento parlamentari ed eletta con sistema proporzionale con un mandato improrogabile di 12 mesi.
Nel difficile scenario italiano c’è l’ancor più complessa ed irrisolta questione meridionale di difficile soluzione specie alla luce delle recenti dichiarazioni del leader del Carroccio.
Le politiche per il Mezzogiorno, nella forma e nella sostanza, sono scomparse dall’agenda nazionale. Nessun governo della seconda repubblica ha posto la questione meridionale come questione nazionale dirimente per la crescita ed il rilancio del paese, e cosa ancor peggiore, si è spostata l’attenzione anche dal Mediterraneo che storicamente rappresenta un approdo naturale per i nostri interessi e la nostra economia. La colpa è sia del sistema che della rappresentanza politica meridionale. Il primo, esclude a priori l’effettivo ruolo del Mezzogiorno nelle scelte di governo del paese, mentre la seconda, poco rilevante, si concentra sulla gestione clientelare come unica forma di legittimazione e di formazione del consenso. Quanto a Bossi, le sue grida per il ritorno alla Lega di “lotta” con la parola d’ordine della “secessione”, rappresentano lo stato confusionale e la crisi d’identità del Carroccio e del suo gruppo dirigente, incapace di qualunque analisi e cambio di strategia, destinato obtorto collo ad andare a rimorchio del PDL. Senza dimenticare che anche nella Lega si è aperta la battaglia per la “successione”.
Può essere quindi utile un partito del Sud per riequilibrare i rapporti di forza con il Nord?
I localismi ed i vari campanilismi non portano certo bene al nostro paese in quanto producono false illusioni, lacerazioni profonde e conflitti difficilmente sanabili. Servono partiti a vocazione nazionale rappresentativi degli interessi dell’intero Paese e dell’unità della Nazione. Un eventuale “Lega del Sud” espressione di una classe politica notabiliare che ha reso il Mezzogiorno subalterno culturalmente e politicamente serve solo a chi se ne fa promotore come diversivo utile per sfruttare il disagio delle popolazioni meridionali. Non a caso questa nasce nella terra di Tommasi di Lampedusa! Si è mai visto che un movimento che si pone in contestazione delle politiche del governo nazionale nasca all’ombra del Governo e del sottogoverno ad opera di alcuni Sottosegretari? Saremmo innanzi ad una farsa se non ci trovassimo nel pieno di una vera e propria tragedia.
Cosa accade nel Pdl? È in avvio la fase congressuale con tesseramento e Congressi. Si tratta realmente dell’inizio di una nuova fase con possibili ripercussioni sulla maggioranza?
Si apre una partita molto complessa e difficile, specie per un partito nato all’insegna del predellino e che possiede ancora una forte leadership. Il primo obiettivo che deve porsi e quello di misurare la sua capacità di esistere e resistere anche dopo il venir meno del suo fondatore. Una sfida questa che fa tremare le vene ai polsi! Certamente Alfano c’è la metterà tutta facendosi scudo del modello PPE, ma senza un leader carismatico ed unificante il ritorno ad una nuova versione del modello DC sarà più che probabile. Riappariranno quindi sulla scena le correnti ed i “signori delle tessere”. Di conseguenza prevarranno le forze organizzate di provenienza aennina e quelle di matrice cattolico-cielline, rendendo marginali quella liberali, socialiste e riformiste che furono l’anima politica e culturale del movimento berlusconiano nel ’94.
Cosa faranno i Socialisti Uniti nei prossimi mesi?
Stiamo lavorando, in particolare con Stefania Craxi, alla costruzione di un movimento riformista in cui il grande tema della riforma istituzionale sarà un pilastro centrale unitamente al recupero del principio di rappresentanza ed alla necessaria rigenerazione della politica, che renda possibile le riforme di cui ha bisogno il Paese: più lavoro per poter tenere il passo dei competitor europei ed internazionali; meno debito pubblico e spesa corrente; una nuova carta dei diritti sociali con nuovi modelli di welfare adeguati agli standard europei per garantire un futuro dignitoso alle nuove generazioni. Sono proposte di buon senso che s’imbattono nelle resistenze corporative e nei retaggi culturali che aleggiano in taluni settori della politica, delle istituzioni e della burocrazia. Un movimento radicalmente nuovo, nelle forme e nei contenuti, caratterizzato dai giovani, e che a breve presenteremo anche in Calabria.
Veniamo alla Calabria. Un rapporto, il suo, che la lega fortemente a questa regione. Come fotografa la situazione generale calabrese?
La Calabria è una regione difficile, in cui le cose, come spesso accade, sono l’opposto di quello che appare con fenomeni soventemente contraddittori e contrastanti. Veniamo da due esperienze regionali - sia di centrodestra che di centrosinistra – bocciate nettamente e senza appello dall’elettorato. Il voto dell’aprile 2010, che ha riportato una composita coalizione di centrodestra alla guida della Regione, ha assegnato a Scopelliti una delega in bianco per un rinnovamento generale da realizzare con un cambio sostanziale e tangibile del metodo di gestione e di governo e per affermare una nuova e più giovane classe dirigente non solo per dato anagrafico, ma per capacità di governo e di rottura con i metodi del passato. A parole tutto procede bene, ma nei fatti per ora tutto resta immutato.
I rumor parlano sempre più insistentemente di un prossimo rimpasto dell’esecutivo regionale.
Il semplice fatto che se ne parli, sia pure nel segreto delle stanze, è di per sé un fatto positivo che segnala l’esigenza di un tagliando della macchina regionale. Per quanto riguarda modi e tempi è tutto di là da venire. E’ difficile immaginare un rimpasto a breve con il rischio magari di doverne fare uno più importante dopo questi appuntamenti con nuovi attori e protagonisti politici. Si è, infatti, alla vigilia della fase congressuale del PDL e del conseguente superamento del cumulo dei ruoli politici ed elettivi. Non è da non escludere che a primavera prossima si voti per le elezioni politiche. Cosa accadrebbe con l’UDC che dice di aver fatto un accordo con il Presidente della Regione e non con il PDL - senza tralasciare la collocazione politica nazionale – nel momento in cui Scopelliti non fosse più il Coordinatore?
Il governo regionale sembra prigioniero di una logica trasversale, più che la politica dominano le lobby affaristiche. Cosa ne pensa?
Non può restare una discussione fine a se stessa, né diventare come l’araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa! In fondo, non ci vuole molta fantasia per individuarle. Basta sapere come nascono, all’ombra di cosa vivono, come operano ed a cosa mirano. In una regione dall’economia debole ed assistita è fisiologico che l’interesse maggiore si rivolga verso le istituzioni pubbliche locali ed in particolare verso la maggiore di esse ovvero la Regione. L’influenza delle lobby sulle nomine rappresenta il boccone più ghiotto e funzionale che permette la partecipazione attiva e diretta alla gestione della cosa pubblica ed il condizionamento dell’attività amministrativa. In questo senso nessuno meglio del Presidente della Regione può sapere dove si annidano e come possono essere neutralizzate.
I criteri per la scelta delle nomine rispondono ad un ponderato metodo di selezione e di competenze o ad una scelta in funzione di amicizie, rapporti e fedeltà magari condizionate proprio dalle lobby?
Basta guardare alle nomine operate nelle aziende, negli enti, nelle fondazioni, nei consorzi, nelle società partecipate ed all’interno della macchina regionale per farsi un giudizio sulle scelte compiute. Chiunque, da cittadino libero ed indipendente può rispondere da sé a questa domanda.
Lotta alla n’drangheta e codice etico sono stati il tormentone della campagna elettorale regionale, ma non sembra proprio che siamo riusciti a debellare il virus della criminalità organizzata. Le inchieste della DIA mostrano un quadro inquietante.
La lotta alla n’drangheta non può essere un fatto formale e di facciata e non si fa certo con le parole. Più che le dichiarazioni ed i giuramenti sulla legalità contano i comportamenti ed i fatti. Non serve istituire o finanziare osservatori, consulte, musei della n’drangheta, targhe antimafia, associazioni partigiane prive di contenuto se poi si tagliano i fondi e si toglie l’ossigeno a strutture importanti tipo il Consorzio Piana Sicura o si ridimensionano piani e programmi sulla sicurezza. Altrimenti tutto diventa un mero esercizio retorico. Quanto poi al famoso codice etico la posizione dei socialisti si è rivelata la più seria e coerente, mentre quelle populiste e demagogiche, alla luce delle vicende successive, con i silenzi assordati ed imbarazzanti si sono rivelate per quello che erano: elettoralistiche e strumentali. Abbiamo, infatti, atteso inutilmente da parte di chi si è reso assertore e paladino del codice etico, specie dopo i tanti casi che hanno interessato amministratori, sindaci, consiglieri regionali, candidati, funzionari, che, per la parte di sua competenza, adottasse provvedimenti di sospensione, revoca o esclusione dai circuiti polititi, amministrativi e burocratici dei soggetti colpiti da indagine o provvedimenti della magistratura. Ma nulla si è visto!
Uno degli elementi che ha contribuito al successo elettorale del Governatore è l’esaltazione del “modello Reggio” come esempio di efficienza amministrativa e capacità di governo del territorio. La drammatica situazione finanziaria e gli episodi oscuri come il “suicidio” di Orsola Fallara hanno aperto uno squarcio inquietante …
In una realtà contraddittoria ed a rischio come quella reggina e quantomeno azzardato parlare di modelli di amministrazione limpida a riparo - a prescindere da influenze e condizionamenti di sorta - tali da poter essere esportati. Io parlerei piuttosto di un modello “Decreto Reggio” che ha improntato la vita amministrativa di quella Città nelle ultime quattro consiliature dal 1995 al oggi. Si tratta di un metodo a mio avviso inadeguato, nelle forme e nella sostanza, nelle realtà dall’alto e comprovato tasso criminale essendo un modello di gestione commissariale degli interventi affidato ai poteri locali e privo, sulla falsa riga di quello previsto per le materie di Protezione Civile, di controlli di alcun genere e con procedure del tutto discrezionali e straordinarie. Questo metodo ha prodotto delle evidenti distorsioni nella mentalità e nella cultura amministrativa dei governanti, facendoli magari diventare refrattari a controlli di ogni genere. I rapporti particolari con la stampa, quelli singolari con la Magistratura e la vicenda dell’Audit sono una importante chiave di lettura.

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