Due banche, due storie, due tristi epiloghi

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 05 del 4/02/2012


Rende, 2/02/2012


Carime e BCC di Cosenza

Trentadue sportelli bancari a rischio di chiusura. In sofferenza l'economia locale già duramente colpita dalla lunga crisi


Due storie parallele si recitano sul palcoscenico calabrese. La BCC di Cosenza alla ricerca di partner per continuare la sua attività seppure in forma subordinata e la Carime alla ricerca di un equilibrio economico, facendo leva sulla compressione dei costi strutturali. La soluzione individuata dalla direzione bergamasca e la chiusura di sportelli, la compressione del costo del personale, la riduzione degli affidamenti attuata attraverso una feroce applicazione dei criteri di Basilea-2. Una piccola digressione sulla fallacità di questa costruzione a tavolino di un metodo di gestione scientifica che ha messo a repentaglio la sopravvivenza delle banche. Succede in Francia, oggi. Le banche riempiono il proprio portafoglio titoli di debiti sovrani, in particolare greci, per ottenere al contempo un altro rendimento e un coefficiente di rischio zero, sulla base di quanto stabilito da Basilea-2.

Le note difficoltà della Grecia hanno prodotto il risultato che le banche francesi rischiano il default (o hanno rischiato se la Grecia riuscirà a salvarsi) e sono state costrette a incrementare il proprio fondo rischi con conseguenze devastanti sui loro profitti e sul patrimonio. La conseguente crisi di liquidità è ricaduta sulle imprese che hanno subito un drastico ridimensionamento del credito. Il loro comportamento ha agito in modo pro-ciclico accentuando la crisi congiunturale. Paradossalmente, se avessero destinato quelle risorse finanziarie a sostenere le imprese avrebbero aiutato l'economia e non avrebbero subito l'onta del downgrading ad opera delle società di rating. Le norme di Basilea sono assimilabili a un antibiotico, come ama ripetere Michele Aurelio presidente della Federazione Calabrese delle BCC. Somministrato in dose massicce per una febbricciola provoca effetti indesiderati e una efficacia descrescente. L’accanimento terapeutico che si vuole perseguire con l’ulteriore restrizione dei vincoli con Basilea-3 costituisce un incentivo all’espansione della finanza responsabile della disastrosa crisi che stiamo vivendo e l’illusione di poter creare ricchezza solamente con la speculazione di borsa.

La favola dimostra che l'applicazione pedissequa e libresca dei metodi scientifici di gestione può provocare effetti disastrosi e imprevisti. Un altro eclatante esempio è costituito dai mutui “sub prime”, la cui concessione era basata sul merito creditizio del richiedente calcolato con il metodo statistico-matematico del “credit scoring”. Funzionano alla perfezione nella fase di crescita e mostrano tutti i loro limiti nei momenti di crisi, quando è troppo tardi per inventare delle salvifiche soluzioni.

Questo non significa evidentemente che la loro applicazione è sempre sbagliata, ma che devono essere usati con giudizio e rapportati alle condizioni dell'economia reale e rispettando le caratteristiche del territorio. Se consideriamo il Mezzogiorno è evidente a chiunque operi nel settore bancario che il tasso di rischiosità dei crediti misurati in termini di incagli e sofferenza che producono in un dato periodo è notevolmente più elevato che nel resto d'Italia. Tuttavia, la percentuale media di rimborsi dei crediti concessi è pari o superiore nel Sud. Per dirla in altri termini, una sofferenza al Nord si traduce in una perdita quasi totale del capitale dato in prestito, mentre nel Sud in un'alta percentuale di recupero pur se protratto nel tempo. La minore qualità del credito è compensata da maggiori garanzie, spesso di carattere personale, con il coinvolgimento fideiussorio di tutta la famiglia. Questa caratteristica è un dato strutturale dell'economia meridionale conseguenza della piccolissima dimensione delle imprese, dalla scarsa qualità dei documenti contabili, dalla esistenza di una significativa quota di economia sommersa. I bilanci sono redatti per finalità fiscali, piuttosto che per una reale esigenza di conoscere la realtà aziendale e rapportarsi con il mondo esterno.

Operare al Sud richiede esperienza, conoscenza del territorio, competenza professionale e una buona dose di pazienza, perché il tempo è più galantuomo al Sud.

Ritornando ai due casi accennati all’inizio, la BCC di Cosenza è a un bivio delicato con il rischio che la situazione possa precipitare. Seguiamo la vicenda riportando quasi integralmente il testo di una interrogazione parlamentare degli on F. Laratta, C. Marini e N. Oliverio. I tre esponenti piddini si rivolgono ai ministri del Lavoro, dell’Economia e dello Sviluppo Economico, per sapere cosa ciascuno di essi “intende fare, per quanto di competenza, perché: il Fondo di Garanzia cambi il proprio orientamento, individuando soluzioni che consentano di mantenere una pur mitigata autonomia amministrativa e, di conseguenza, non venga snaturato il legame ultra-centenario della banca con il proprio Territorio di competenza”.

La suddetta banca, si legge nell’interrogazione, è sottoposta alla procedura di Amministrazione Straordinaria, con il D.M. n° 353 del 6 maggio 2010 sottoscritto dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, esclusivamente per gravi irregolarità dell’Organo Amministrativo e di Controllo.

Attività Commissariale: •Concentrazione dell’attività sul comparto crediti: massiccia“pulizia” del credito, appostazione di posizioni a sofferenze che, da un volume complessivo di 16 milioni di euro (ante Commissari) sono passate a 25 milioni di euro. •Nel contempo, tuttavia, sono stati effettuati accantonamenti per sofferenze, pari all’83%, circostanza, questa, che ha contribuito al sostanziale indebolimento del Patrimonio aziendale; • Ciò ha generato necessità di capitale di circa 15 - 20 milioni di euro; Sono state percorse tutte le strade (a detta dei Commissari) per l’individuazione di soluzioni tecniche atte a “rimettere in bonis la banca”; ma, già dall’estate 2011, si sta operando per traghettare la banca verso l’acquisizione da parte di due altre Banche, come più avanti si specifica in dettaglio.

Il Fondo di Garanzia, costituito e alimentato con risorse provenienti dal Conto Economico di fondi provenienti da tutte le Bcc italiane, il 6 settembre 2011 ha deliberato la non concessione dell’intervento a Banca di Cosenza. Va detto, tuttavia, che la Calabria - fino a circa 10 anni addietro - contava ben 35 Bcc autonome operanti sul territorio; ciascuna di queste, per statuto e per regolamento organizzativo del Credito Cooperativo nazionale, ha contribuito per lunghissimi anni ad alimentare il Fondo di cui sopra, senza mai beneficiarne. Ovviamente, le attuali 16 Bcc calabresi, compresa la Banca di Cosenza, continuano indiscutibilmente ad alimentare il Fondo di che trattasi.

In definitiva: Il Fondo ha lasciato credere, per lunghi mesi di amministrazione commissariale, che sarebbe intervenuto in sostegno della Banca di Cosenza; poi ha preso silenziosamente le distanze. Inoltre, lo stesso Fondo, dimostra di voler assistere passivamente all’acquisizione di Banca di Cosenza da parte di: Banca Sviluppo - banca di espressione del Credito Cooperativo con Sede Centrale a Roma e Filiali sparse per tutto il territorio nazionale; Bcc Centro Calabria - banca operante nel lametino, con sede legale in Cropani e Lamezia; trattasi di Bcc con analoghe dimensioni della Bcc di Cosenza, sia in termini di volumi, sia in termini di dipendenti in organico. L’operazione di acquisizione si concretizzerà a costi irrisori e determinerà la liquidazione di n° 2500 Soci, con contestuale perdita del denaro investito nel capitale sociale.

La questione ancora più grave, dal punto di vista dell’impatto occupazionale, è che la proposta di acquisizione da parte dei due citati Istituti di Credito prevedrà licenziamenti per non meno di 17 unità (salvo ulteriori inasprimenti nella trattativa negoziale che potrebbero determinare il licenziamenti di tutti i dipendenti operanti nel Centro Direzionale (ossia, 31 unità), atteso che l’acquisizione sarà concretizzata sotto forma di acquisto di rami di azienda (soltanto le 8 filiali e i 32 dipendenti che in esse operano).

L’intervento dei tre esponenti politici appare inutile, intempestivo e inefficace. Siamo di fronte a una banca privata e non è possibile alcun intervento pubblico, né i ministero interessati hanno fondi disponibili per operazioni di patrimonializzazione delle banche. Anche se vi fossero sarebbe molto problematico creare un precedente in un momento di grave crisi di liquidità ed esigenze di ricapitalizzazione delle banche per adeguarsi ai rigorosi criteri di Basilea-2. Da quel fronte c’è poco da sperare.

Alcune precisazioni sono necessarie. Il Fondo di Garanzia non ha rifiutato il suo intervento ma ha preteso una soluzione che minimizzasse il rischio diluendolo su due banche, ognuna delle quali considerata troppo debole per inghiottire un boccone grande come la BCC di Cosenza. Il commissariamento non è stato deciso per la cattiva qualità della governance, ma soprattutto per la cattiva gestione provocata da quella dirigenza. Continuano a venire alla luce sempre nuovi episodi che rendono il quadro ancora più fosco, come il caso dei due confidi (Opus Homini e Finlabor) utilizzati molto disinvoltamente per garantire una parte importante del portafoglio crediti.

La politica dovrebbe preoccuparsi di dare alle banche locali un ruolo nella finanza pubblica, nel rispetto delle regole e delle competenze di ciascuno, considerato che gli enti locali sono le principali aziende della regione piuttosto che affidarsi a inutili lamentazioni.

La storia bancaria della regione offre più di un motivo di riflessione. La grande ristrutturazione bancaria degli anni novanta doveva aprire una era nuova, un nuovo eldorado per le imprese calabresi che avrebbero potuto disporre di un sistema bancario moderno, efficiente dovuto alla maggiore concorrenza e all’avvento di nuovi soggetti. Dopo un breve periodo, ci siamo trovati di fronte un mercato del credito oligopolistico dove sono ritornati cartelli che impongono condizioni onerose alle imprese, con un ritorno della forbice dei tassi associato al credit crunch.

“I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”, scriveva Armando Diaz all’indomani della battaglia di Vittorio Veneto. Lo si potrebbe ripetere per le banche scese con orgogliosa sicurezza a invadere il Sud interessate solo al risparmio. Il mondo nuovo non si è manifestato, ma vi è una chiara evidenza di un progressivo loro ritiro.

La Carime ha deciso la chiusura di 24 tra minisportelli e filiali, rinunciando a qualsiasi ipotesi di rilancio industriale. La Calabria era e resta una terra di conquista.

L’unica alternativa, conviene sottolinearlo, restano le Bcc e sarebbe un vero peccato se sparissero quegli otto sportelli in bilico. Nessuno degli imprenditori della regione si è dichiarato disponibile a intervenire, preferendo investire magari in qualche hedge fund.

COMUNICATO STAMPA UNISIN FALCRI- SILCEA GRUPPO UBI BANCA SULLA CHIUSURA DI 24 SPORTELLI IN CARIME

In data 4 gennaio 2012 UBI Banca ha fornito la prescritta informativa alle OO. SS. relativa agli interventi che intende attuare sulla Rete Commerciale – presumibilmente a partire dalla fine del prossimo mese di febbraio – che come noto prevedono per Banca CARIME la chiusura di 23 Minisportelli e 1 Filiale.

“Unità Sindacale” ribadisce ancora che ”la manovra della Capogruppo è purtroppo un ulteriore chiaro segnale nella direzione di ridimensionare la presenza di UBI nei territori meridionali. Tale ridimensionamento, per come già peraltro verificatosi nel passato, potrebbe inoltre determinare per la clientela gravi disagi di tipo logistico a seguito dei trasferimenti dei portafogli da una Filiale all’altra.

Per Unisin la creazione stabile di valore per tutto il Gruppo UBI non si può perseguire con la politica di abbattimento dei costi e, soprattutto, in assenza di un chiaro e concreto progetto di sviluppo incentrato sul ruolo di Banca del Territorio. Carime deve quindi perseguire, in modo concreto, l’attività di assistenza alle famiglie ed alle imprese del Sud. In realtà, la sbandierata politica d’investimento sui territori da parte di UBI, finalizzata a recuperare e/o consolidare - anche nelle regioni del Sud - il ruolo di Banca di riferimento a 360 gradi per famiglie e imprese è rimasta solo una “pia” intenzione da rispolverare nelle occasioni di circostanza ma da accantonare non appena le “luci della ribalta” si spengono. Tutto ciò in un periodo storico dove la stretta sul credito erogato dal sistema bancario (c. d. credit crunch) è notevole e stride, soprattutto al Sud, con le misure adottate dalla Comunità europea che hanno invece l’obiettivo di finanziare lo sviluppo delle regioni meridionali, ritenute strategiche per la crescita dell’intero sistema Italia ed Europa. Ancora una volta, quindi, si sceglie di sacrificare importanti e sicure possibilità d’investimento, preferendo logiche di risultato di breve periodo.

Va ulteriormente evidenziato che, in questi giorni, si stanno registrando, in merito alla vicenda, diversi interventi da parte di esponenti politici meridionali circa le ripercussioni negative, in termini innanzitutto di perdita di servizi per la clientela, che scaturirebbero dalle annunciate prossime chiusure degli sportelli Carime che, in diversi Comuni, costituiscono, peraltro, l’unica presenza bancaria sul territorio.

Nell’accogliere positivamente questi interventi, non si può però non evidenziare come il “risveglio” della politica risulti fortemente tardivo su una problematica che, negli anni, è stata più volte sollevata, anche pubblicamente, da questa Organizzazione Sindacale ed a cui la politica stessa non ha mai prestato attenzione. Non si può, infatti, dimenticare come la “dissoluzione” delle più importanti Banche meridionali, da sempre presenti sul territorio, quali Carical, Caripuglia e Carisalerno ieri e alcune importanti Banche di Credito Cooperativo oggi, sia stata conseguenza diretta di un agire politico scellerato che grave nocumento ha recato ai territori meridionali e che oggi costringe famiglie e imprese del Sud a rivolgersi a Gruppi bancari che ben poco hanno a che fare con le realtà meridionali.

L’auspicio ora è che UBI Banca riveda complessivamente le proprie decisioni e che la politica meridionale, troppe volte distratta, possa riprendere a svolgere con incisività il proprio mandato di tutela dei territori rappresentati a cominciare dalla risoluzione del grave problema della chiusura degli sportelli che inevitabilmente priverà migliaia di cittadini di un’adeguata assistenza bancaria”.

Cosenza, 30 gennaio 2012

Il Segretario Generale UNISIN FALCRI-SILCEA Gruppo UBI Banca

Dott. Emilio Contrasto


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