Champagne: arrivano i Tremonti bond!

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 08 del 25/02/2012


Rende, 22/02/2012


I nuovi Titoli di Risparmio per l'Economia Meridionale

Approvato il decreto che dà via libera all'emissione del nuovo strumento finanziario, che nelle intenzioni del suo creatore dovrebbero costituire una importante fonte di finanziamento del Sud per colmare il divario infrastrutturale e fornire alla imprese le risorse necessarie per la loro ristrutturazione industriale. Dovrebbero essere tre miliardi di euro ogni anno, una somma importante che potrebbe rappresentare una reale inversione di tendenza per l'asfittiva economia meridionale. Un vero lampo di genio, se non si trattasse dell'ennesima bufala ...


Hip, hip, hip! hurrah! Arrivano i Tremonti bond! Dopo una lunga gestazione, il 19 gennaio appena trascorso finalmente la Corte dei Conti ha registrato il decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze che reca la firma del premier Mario Monti, nella sua qualità di ministro ad interim dell'Economia, apposta il primo dicembre 2011. Il decreto ha l'altisonante denominazione di "Titoli di Risparmio per l'Economia Meridionale". Sono stati subito battezzati "Tremonti bond", in onore del suo padre spirituale. C'è voluto uno sforzo immane, ma alla fine sono venuti alla luce. Non sono certo i due mesi occorsi alla Corte dei Conti per verificare compatibilità e copertura finanziaria dell'operazione a meravigliare. Si tratta di un lasso di tempo ragionevole per un provvedimento complesso le cui implicazioni e le conseguenze sul bilancio pubblico - e gli effetti sull'economia meridionale - non sono del tutto chiare.

L'idea nasce molto prima nei famosi piani per il Mezzogiorno,infarciti con il rancido companatico dell'Autostrada del Sole e dello Ponte sullo Stretto. Senza ricordare i reiterati annunci dal sapore propagandistico, il concepimento giuridico è avvenuto con la finanziaria 2011 (articolo 2, commi 178-180 della legge 23 dicembre 2009, n. 191), comma modificato con la prima manovra berlusconiana estiva (art. 8 comma 4 del D.L. 70/2011).

Come precisato nel richiamato articolo 8 del D.L. 70/2011 - e ribadito nel decreto in questione, "i Titoli possono essere emessi per un importo nominale complessivo massimo di 3 miliardi di euro annui". Una piccola finanziaria per il Mezzogiorno con i quali si possono (ma forse sarebbe più realistico usare il condizionale) realizzare importanti investimenti e incentivarne l'economia. Nel portale del Ministero dell'Economia si legge che "Nel caso di emissione di tutto l’importo, la misura avrebbe un impatto molto consistente in considerazione del livello attuale dei nuovi impieghi nel Mezzogiorno". Una affermazione condivisibile, poiché si tratta di una cifra importante. Sulla carta.

Si precisa inoltre che "si tratta di titoli obbligazionari che possono essere emessi da qualunque banca, ideati per favorire l’incremento dell’offerta di credito nel Mezzogiorno e ridurre lo squilibrio esistente tra Regioni meridionali e altre aree del Paese. L’obiettivo è attrarre risorse incrementali per sostenere lo sviluppo di lungo termine delle imprese del Mezzogiorno". Un rosario recitato decine di volte.

Nel successivo comma si arriva finalmente a definire la leva incentivante, che dovrebbe mettere in moto tutto il meccanismo. "L’imposta sostitutiva sugli interessi maturati dai sottoscrittori è pari al 5 per cento". La più bassa attualmente in vigore in Italia, si precisa puntigliosamente sul sito del ministero. Le risorse raccolte con l’emissione dei titoli saranno impiegate per finanziare progetti di investimento di durata superiore a 18 mesi di PMI del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia)".

Qui finiscono le note positive, costituite da pie intenzioni che difficilmente potranno avere gli effetti enunciati (e neanche sperati tanto che si è proceduto alla chetichella per non dover solennizzare un fallimento annunciato) poiché tutto il meccanismo si basa su mere dichiarazioni d'intenti. Un importante indizio che si è trattato solo di una cortesia nei confronti del defunto governo, il completamento di un progetto che rimarrà nel cassetto, è costituito dall'assenza di qualsiasi dichiarazione da parte del presidente Monti - pur molto attento nel pubblicizzare gli atti del suo governo, e dalla scarsa attenzione della stampa.

Tra "Salva Italia" e "Cresci Italia", un "Salva Mezzogiorno" avrebbe avuto un effetto mediatico non trascurabile. Alla conferenza stampa di presentazione del decreto, gli esponenti di maggior spicco erano l'ex ministro del Tesoro e il suo (e nostro) fedele sottosegretario Antonio Gentile, che si sono sbilanciati in impegnative dichiarazioni sullo storico risultato raggiunto nell'indifferenza più totale. Più che il decreto, hanno fatto rumore le esternazioni dell'ex ministro che ne ha approfittato per sferrare un duro attacco alle banche.

Molti sono i limiti e le perplessità che insorgono a una prima lettura del decreto. Intanto, non vi è alcun collegamento diretto con la famosa Banca del Mezzogiorno, costituita con una operazione di sofisticata ingegneria finanziaria (e un investimento di 138 milioni da parte di Poste Italiane, cioè soldi pubblici), ma non viene neppure menzionata nel decreto. Si precisa, infatti, che "I soggetti interessati all'emissione dei Titoli sono banche italiane, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia, in osservanza delle previsioni del Testo unico bancario e relative disposizioni di attuazione delle Autorità creditizie". Né potrebbe essere altrimenti per superare il divieto comunitario di aiuto di Stato alle imprese o misure in grado di produrre discriminazioni territoriali. I "Tremonti bond" non sono collegati in alcun modo alla Banca del Mezzogiorno, che alla luce del decreto non si capisce a cosa serve considerato che il Tesoro aveva a sua disposizione la Cassa Depositi e Prestiti e Bancoposta per attuare i suoi progetti di investimento nel Mezzogiorno.

Il nuovo strumento si materializzerà soltanto se lo vorranno le banche, che fin qui si sono dimostrate molto restie ad intervenire in un territorio considerato a rischio e che offre scarse opportunità di investimento e di reddito. Non sarà certo il piccolo incentivo fiscale a provocare un cambiamento della loro politica territoriale. Sul loro comportamento è lo stesso ex ministro a stigmatizzare che "a volte sono le banche che fanno le rapine..." piuttosto che occuparsi dello sviluppo del territorio. Un'affermazione tutt'altro che rassicurante accompagnata da un'altra nota ancora meno rassicurante.

"C'è un solo sportello bancario che funziona alla grande e sta a Francoforte" - ha continuato con viso corrucciato l'ex ministro. "È la Bce che sta erogando flussi enormi di finanziamento alle banche. Danno soldi all’1% senza garanzie e poi le banche quei soldi li prestano alle famiglie all’11-12%". Per un personaggio che avuto un ruolo decisivo nel governo dell'economia per un lungo periodo c'è da chiedersi come mai non ci ha pensato prima a inventarsi qualcosa per evitare le rapine da parte delle banche e dare un contributo alla governance della moneta unica, piuttosto che buttarsi lancia in resta contro la politica dell'Unione Europea.

Rebus sic stantibus, non si capisce perché le banche dovrebbe sottoporsi alle defatiganti procedure per l'emissione dei bond quando possono accedere a una liquidità pressochè illimitata a un tasso irrisorio da utilizzare per le loro operazioni speculative in borsa. Si può naturalmente rispondere che i bond hanno altra natura e servono per la concessione di finanziamenti a medio e lungo termine. Sembra però che non vi sia una gran voglia di impegnarsi su questo fronte.

I segnali che provengono dal mondo bancario, sono semmai di segno opposto. Prendiamo l'UBI-Banca, ad esempio: è ben lungi dal pensare a un maggior impegno nel Mezzogiorno. Con il suo piano sportelli, ferocemente avversato dai sindacati e la Falcri in prima fila, vuole semmai chiudere quanti più punti operativi possibile nel Sud, una politica di disimpegno perseguita costantemente negli ultimi anni.

Un altro indizio è costituito dallo scarso entusiamo che le banche mostrano per la crisi delle BCC calabresi, che potrebbe essere una ghiotta occasione per ampliare la loro attività. Nessuno dei grandi gruppi ha mostrato un benché minimo segnale di interesse. La voglia è piuttosto quella di chiudersi a riccio ed evitare di ampliare il rischio Mezzogiorno.

Pertanto, le uniche banche che potrebbero raccogliere la sfida sono quelle che hanno uno stretto legame con il territorio. Basta un fuggevole sguardo alla struttura bancaria per rendersi conto che nel Mezzogiorno sono rimaste solo le banche di credito cooperativo e quelle popolari. In Calabria, in particolare, vi sono solo le prime. La loro quota di mercato è pari a circa un quinto del totale, poiché il resto dei depositi e degli impieghi è nelle mani dei grandi gruppi bancari che operano nel Mezzogiorno ma hanno la testa altrove. Se solo volessero avrebbero potuto emettere bond per finanziarie l'economia meridionale senza aspettare alcun intervento legislativo.

Se, infatti, consideriamo il nuovo strumento sotto il profilo delle agevolazioni previste, risulta evidente che si tratta di incentivi molto deboli che non sono in grado di invertire la tendenza di una propensione al risparmio in drammatico calo. La riduzione dell'aliquota è solo un palliativo, che consente indubbiamente di migliorare il rendimento netto del sottoscrittore ... di qualche decimo i punto, stante l'attuale livello dei tassi. È come voler rimettere sui binari un treno deragliato con un cric.

Né la situazione è molto migliore dal punto di vista dell'emittente. Il decreto precisa che i detti titoli "non sono strumenti finanziari subordinati, irredimibili o rimborsabili previa autorizzazione della Banca d'Italia di cui all'articolo 12, comma 7, del Testo unico bancario, né altri strumenti computabili nel patrimonio di vigilanza.

È escluso proprio quello che potrebbero rendere attrattivi questi strumenti alle banche emittenti. Si pensi, in particolare, alle BCC afflitte da un problema di capitalizzazione per effetto della lievitazione del livello delle sofferenze. Potrebbero essere interessate a uno strumento che mette a disposizione risorse finanziare per le imprese che nello stesso tempo svolgessero la funzione di irrobustire il proprio patrimonio a fini di Vigilanza. Questo non è consentito dalle regole di Basilea e, pertanto, esse sono escluse dalla possibilità di poter emettere questo tipo di titoli. A questi si aggiungano i vincoli imposti dall'Unione Europea, per superare i quali il decreto richiama l'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti di importanza minore, il cosiddetto regime «de minimis", applicabile alle operazioni di limitato importo. Tutte circostanze note che rendono molto difficoltosa l'applicazione pratica del decreto: tanto valeva non turlupinare la gente con promesse che non possono essere mantenute: ad impossibilia nemo tenetur. Essendo escluse i grandi progetti di investimento, era proprio necessario un ulteriore strumento di intervento a pioggia, un metodo già rivelatosi fallimentare in tutte le applicazioni fin qui effettuate?

L'unica possibile leva è costituita dalle piccole banche locali del Mezzogiorno che sono simbionti con il sistema produttivo meridionale, perché insieme vivono e insieme muoiono. Esse attraversano oggi un momento di grave difficoltà per la crisi che ha colpito le imprese, con magri bilanci, utili molto assottigliati e patrimonio di vigilanza che nella migliore delle ipotesi è prossimo al minimo necessario per la loro operatività ordinaria. A questo si deve aggiungere l'effetto del ripristino della tesoreria unica che renderà molto più difficile la gestione della liquidità. Molte BCC avevano fatto uno sforzo notevole, finanziario e organizzativo, per stare a fianco dei piccoli comuni, oggi si vedono "scippare" anche la liquidità che era l'unico effetto positivo di quella gestione, caratterizzata da elevati costi e ricavi molti ridotti.

In queste condizioni è impensabile che esse si imbarchino in complesse operazioni finanziare per l'emissione dei bond. Forse qualche bcc o popolare del Nord potrebbe osare di sfruttare l'opportunità offerta dal decreto, ma resta il vincolo delle territorialità, il cui rispetto impedisce di operare e potrebbe solo essere aggirato artificiosamente.

Non vi è, infatti, alcun meccanismo che possa garantire che i fondi raccolti con questo strumento vengano effettivamente investiti nel Mezzogiorno. Nell'articolo 2 del decreto si cerca di stabilirne uno per garantire che le risorse raggiungano le aziende aventi sede nel territorio meridionale. È un meccanismo debole, la cui sanzione è la perdita del beneficio fiscale. Le esperienze delle varie leggi agevolative del Mezzogiorno sono tutt'altro che rassicuranti al riguardo. A dispetto dei controlli e dei collaudi e la fisicità degli investimenti, dei grandi programmi della FIAT e Nuovo Pignone a Porto Salvo di Vibo Valentia, della Parmalat a Rossano, della Snam e via enumerando non è rimasto nulla. Figuriamoci se sarà possibile evitare abusi in un mercato così volatile e inafferrabile come quello finanziario.

L'impianto normativo si preoccupa dell'emissione dei titoli, preoccupandosi che le banche che vogliano emetterle abbiano i requisiti dimensionali, il livello di patrimonio di vigilanza e una condizione di redditività della gestione. Solo pochi cenni al metodo di erogazione, che resta nella completa discrezionalità della banca. Non sono previsti bandi, comunicazioni pubbliche o modalità particolari. Ogni banca potrà procedere per conto suo. Sarà sufficiente che il richiedente dichiari di voler effettuare un investimento nei territori meridionali.

È previsto che le banche redigano una relazione annuale entro il 28 febbraio per comunicare al ministero i fondi raccolti e gli aiuti concessi alle piccole e medie imprese meridionali per i loro investimenti a medio e lungo termine. Resta l'interrogativo su chi può definirsi "impresa meridionale". Sarà sufficiente un ufficio, una sede, un ramo d'azienda per rientrare in quella categoria? Chi ha un po' di memoria ricorda gli abusi e anomalie registrate in presenza di regole certe e draconiane misure di repressione. Come si può pensare che nel frattempo le imprese si siano convertite e avranno un comportamento adamantino? Chi può impedire che una somma erogata a Reggio Calabria possa essere trasferita in un conto a Milano?

Quando si sarà diradata la cortina di fumo che avvolge la vicenda della Banca del Mezzogiorno risulterà evidente che non si stava preparando una grigliata, ma si stavano bruciando quattro sterpaglie. Non si è ancora deciso quale dovrebbe essere la funzione di questa creatura. Una banca di secondo livello? Una banca di garanzia? Uno strumento anti-usura? Una agenzia di consulenza finanziaria?

Le BCC che dovevano rappresentare il cuore del progetto se ne sono completamente allontanata. Non una sola parola è stata spesa per commentare l'impianto normativo o chiedere un coinvolgimento nella costruzione di questa creatura ibrida. Un segno inequivocabile di interesse di un carrozzone completamente inutile.


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