Filippo Briganti, un economista a Gallipoli

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 08 del 25/02/2012


Rende, 22/02/2012


La grande scuola economica napoletana

Convinto mercantilista divise la sua vita tra gli studi giuridici e gli interessi economici, si occupò del governo della sua città e seppe trarre dalla sua esperienza di governo di un importante universitas pugliese utili insegnamenti di economia pubblica che trasfuse nei suoi saggi


Filippo Briganti non era un calabrese, ma la sua opera fu profondamente influenzata da un calabrese come Antonio Serra, che era stato riscoperto di recente da Ferdinando Galiani dopo un oblio di quasi un secolo e mezzo ed era diventato un icona per la neonata scuola economica napoletana.

Nel 1755 l'Università di Napoli aveva istituito la prima cattedra di economia d'Europa, affidata ad Antonio Genovesi, il più prestigioso degli allievi di Galiani. L'avvio dello studio accademico dell'economia veniva considerato un prestigioso primato napoletano di cui andava orgogliosa l'intera classe degli intellettuali napoletani.

Giuseppe Boccanera di Macerata, la cui biografia del Briganti si riporta integralmente, vuole rafforzare questa importante risultato scientifico e dimostrare che la scienza economica nasce nel Regno di Napoli. A dimostrazione della sua tesi ricorda il nome del “calabrese” Gàsparo Scaruffi, autore di un saggio di economia pubblicato a Reggio nel 1582 quale precursore della scienza economica. Il nostro biografo incorre in un grossolano errore poiché lo Scaruffi non è reggino, ma reggiano, essendo nato a Reggio nell'Emilia nel 1519 e morto nella stessa città il 1584. Fu saggiatore alla zecca, una funzione molto simile a quella dei “tresviri monetales”, i magistrati romani di nomina senatoriale che dovevano sovrintendere a tutte le operazioni della zecca e certificare l'esatto conio delle monete. Il suo trattato – l'Alitononfo, dal greco “vero lume” - è uno dei primi trattati sulla moneta, notevole soprattutto per le osservazioni pratiche e una trattazione molto accurata per la sua epoca delle funzioni della moneta.

Il secondo autore citato è il cosentino Antonio Serra sopra ricordato, autore di un trattatello ricco di spunti e osservazioni rivoluzionarie per l'epoca: un caso singolare poiché fu condannato all'oblio proprio per la modernità delle sue vedute che suonavano come un atto di accusa all'amministrazione vicereale spagnola. L'economista calabrese ha pagato caro la sua posizione critica con la condanna a lunghi anni di carcere.

Il Briganti appartiene alla folta schiera degli illuministi napoletani del Settecento che prepararono e rimasero coinvolti nella Rivoluzione del 1799. Nella sua città il governo repubblicano durò solo una settimana e fu designato al governo della città, che venne preso con la forza dai sanfedisti che lo imprigionarono. Fu liberato quando fu ripristinato il governo legittimista borbonico, che restituì il potere ai maggiorenti della città. Morì il 23 febbr. 1804.

Biografia di Filippo Briganti

(Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli ornata de' loro rispettivi ritratti compilata da diversi letterati nazionali”, Vol. 2 Napoli MDCCCXIV)

Un fallace grido suona in rapporto all'Economia Politica. Dicesi che questa Scienza sia di moderna invenzione, e di ciò si attribuisce la gloria agl'Inglesi Scrittori e Francesi del passato secolo. Ma fin dal Secolo XVI noi abbiamo avuto Scrittori in simil genere; e siane in testimonio l'opera del Calabrese Scaruffi, che nel 1582 fu stampata a Reggio, intitolata Alitononfo, nella quale trattasi della concordanza tra l'oro e l'argento, e cercasi di ridurre tutto il mondo a servirsi di una sola moneta. A questo si aggiunse ne' principj del secolo XVII Giovan Donato Turbolo, maestro della zecca di Napoli, che varie operette pubblicò sopra tal proposito. Ma cotali Scrittori a passi lenti ed incerti si avanzarono nella Scienza Economica. Il primo, che travedesse le massime di Smith, di Stewart, di Turgot fu Antonio Serra Cosentino, che fiorì nel Secolo XVII, e che pubblicò l'opera divenuta rarissima che ha per titolo: Delle cause che possono fare abbondare i regni d'oro e d'argento dove non sono miniere; con applicazione al Regno di Napoli. Nel Secolo XVIII Broggia, Galiani, Genovesi, Longano nel Regno di Napoli diffusero colle loro opere i lumi Economici. Alla nostra nazione appartiene adunque, senza alcun fallo, la gloria di aver preceduti gli stranieri anche in questa scienza sì vantaggiosa al ben pubblico. Ma fra' Napolitani, che la coltivarono, uno de' primi luoghi si appartiene a Filippo Briganti.

Nacque questi in Gallipoli di nobile progenie nel 1725. Il suo genitore fu illustre giureconsulto, come appare dalla opere, che di lui si veggono a stampa. Egli fu l'educatore del suo figlio ne' primi studj. Quindi il mandò a Napoli nel 1740, ma giovanile bollore, e sentimento di gloria condussero il nostro Briganti ad abbandonare le scienze ed a volgersi alla carriera delle armi. Ma le amorose preghiere del padre lo rimossero infine dalla milizia e lo ricondussero a' pacifici e liberali studj, a cui natura avevalo disposto fin da' suoi primi anni. Tornò adunque nell'ozio tranquillo della patria, e determinato avendo di riescire valente Giurisperito, riunì agli studj della scienza Legale quelli della Storia politica e morale delle nazioni, che intimamente sono connessi con i primi. Dalle osservazioni ch'ei fece su varj punti di Storia e di Giurisprudenza, ei fè risultare la sua grande Opera intitolata Esame analitico del sistema legale. Quest'opera c'insegna: Come l'uomo ragiona, e sino a qual segno ragiona. Infatti, nella prima Parte di quest'opera si considera in tutti i suoi rapporti lo sviluppo delle forze intellettuali dell'uomo. Nella seconda si tratta de' bisogni, de' piaceri, delle passioni dell'uomo. Nella terza in fine si esamina il grado di perfettibilità ne' suoi raziocinj, sia che vengano rivolti a se medesimo, sia che abbiamo per iscopo la società, la religione, la politica e le leggi.

Quest'opera vide la luce in Napoli nel 1777, tre anni prima di quella di Filangieri.

A questa susseguì nel 1780 l'Esame Economico del sistema civile. Stabilisce in esso il principio che que' popoli furono civili, i quali combinarono insieme una esistenza operosa, una sussistenza copiosa, una consistenza vigorosa; e prova tutto ciò con fatti storici. Quindi esamina il tre libri l'economia pubblica delle nazioni. Il libro primo prova come il cittadino può fare un uso libero de' beni fisici e morali, e delle forze meccaniche ed intellettuali. Il libro secondo annovera le fonti della sua prosperità l'agricoltura, la pastorizia, il commercio, la navigazione ecc. Nel terzo libro, trovandosi già determinata ne' due antecedenti l'esistenza, e la sussistenza dell'uomo, il Ch. Autore fa osservare essere utile la sussistenza degl'individui, se tutti non si uniscano, cause principali della politica felicità di una nazione.

Ognuno, che ha fior di senno, vedrà che questo Esame Economico è inseparabile dall'Esame analitico. Nell'Analitico il nostro filosofo aveva seguito il progresso del sistema legale dallo stato di natura a quello della società nell'Economico si occupò di esaminare il progresso del Sistema civile dalla esistenza perfettibile alla consistenza perfetta.

Queste due opere meritarono al Briganti un sublime posto fra gli Economisti Italiani, e fecero ammirare i suoi lumi, e la profondità del suo ingegno a' dotti dell'estere nazioni. La Regia Accademia di Scienze e Belle Lettere di Napoli si affrettò ad ascriverlo nel numero dei Socj nazionali, e dette un lusinghiero giudizio delle sue Opere.

Soffermatosi alquanto dagli studj economici e legali egli tradusse dall'idioma Latino nel Toscano le Storie di Lucio Floro, e vi premesse quattro dissertazioni, degne del cedro, sul governo, ed il carattere nazionale de' Romani.

Diede alla luce in Lecce nel 1797 un'Opera che porta per titolo Frammenti Lirici de' fasti Greci e Romani in 31 sonetti su' più celebrati personaggi dell'antichità. Scrisse anche in poesia sulle Stagioni, e le Muse non disprezzarono il suo canto.

Tornando a' suoi studj prediletti egli pose in luce un Saggio sull'arte oratoria del Foro, una Disquisizione giudiziaria in difesa de' sentimenti del Beccaria, ed in risposta all'apologista della tortura. Doveva anche scrivere sulla Vita politica de' Romani. Noi non sappiamo se egli veramente eseguisse questo suo divisamento. E' certo però che se egli lo avesse fatto, noi avremmo una nuova pruova della sua erudizione, e della sua filosofia, nel trattare questo nobilissimo argomento. La Nazione Romana lodata con entusiasmo da tanti, e che noi siamo avvezzati a venerare fino dalla fanciullezza, fu veracemente descritta dal Cav. Mechiorre Delfico nelle sue immortali Opere: Riflessioni sulla Giurisprudenza Romana e su' suoi cultori – Pensieri sulla Storia e sull'incertezza, ed inutilità della medesima. Esse ci provano quanto ingiustamente credevamo di vedere ne' Romani antichi un modello delle virtù sociali, e patriottiche; quanto essi fossero lontani dalla perfezione nelle idee di governo, e nella civiltà de' costumi; quanto essi meritino l'esecrazione, e l'abbominio degli esseri pensanti. Da queste Riflessioni derivano moltissime importanti osservazioni sulla maniera di calcolare i fasti de' popoli, e quali meritino la riconoscenza sincera della posterità.

Assai parlammo de' talenti di Briganti, sarà pregio dell'opera, che si annoverino ora le qualità virtuose del suo cuore. Trovandosi sindaco della sua patria in un tempo di estrema penuria, egli seppe provvedere abbondantemente di grani l'annona di Gallipoli, aggravando anche il suo stesso patrimonio di spese. Fu Magistrato pieno di fermezza, e di onestà. La modestia non fu l'ultima delle sue virtù. Chiamato a far parte dall'ambasceria d'Inghilterra, egli disprezzo il vano splendore della carriera diplomatica, e volle rimanere nel seno della sua patria a godere ingenui e puri piaceri, non frammisti da veruna amarezza.

Ma tante virtù non gli meritarono la riconoscenza del suo paese. Nelle politiche convulsioni del 1799, egli ebbe a dolersi del popolo di Gallipoli, che non poche sventure gli procurò colla sua persecuzione. Soffrì il nostro Briganti questi mali con filosofica fermezza, ma l'ingratitudine de' suoi concittadini fece una vivissima impressione dolorosa nell'animo suo, sempre ardente di amore patrio, primo sentimento delle anime bennate.

Le lunghe veglie scientifiche, ed i mali sofferti distrussero a poco a poco la sua salute già infiacchita dall'età. Egli passò di questa vita nel 1804 in Gallipoli fra l'universale compianto de' congiunti e degli amici.

Briganti fu per i suoi contemporanei uno specchio di virtù, e di dottrina. La sua vita sarà un lume per i posteri. Nel leggere le sue Opere se rimarranno sorpresi dall'estensione delle sue viste politiche, e da quella prontezza di vedere i più lontani rapporti delle cose, ch'è la vera impronta del genio della filosofia; saranno compresi in pari tempo da un sentimento di ammirazione per le sue virtù, e dalla modestia, che il fece esser sempre lontano dagli officj i più luminosi, che poteva esercitare con dignità. La sua vita fu quella del saggio, simile ad un bel giorno di Primavera, terminato da una sera tranquilla e ridente. (Giuseppe Boccanera da Macerata in “Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli ornata de' loro rispettivi ritratti compilata da diversi letterati nazionali”, Vol. 2 Napoli MDCCCXIV (1814), Presso Nicola Gervasi calcografo, Strada Gigante, n. 23)

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)

(voce BRIGANTI, Filippo di di Franco Venturi)

BRIGANTI, Filippo. - Nato il 2 dic. 1724 a Gallipoli da Tommaso e da Fortunata Mairo, in una famiglia patrizia che in quella città aveva spesso ricoperto incarichi giudiziari e amministrativi, dopo una educazione domestica sotto la guida di Giustino Mastroleo di Alliaste, partì per lo Studio di Napoli il giorno in cui compì diciott'anni. Eran tempi di guerra ed egli venne attratto dalla milizia, allontanandosene poi su preghiera del padre e laureandosi in legge nel 1745. Di ritorno a Gallipoli, si sposò nel 1748 e, mortagli la moglie nel 1760, una seconda volta nel 1762, senza figli nell'uno e nell'altro matrimonio. Nel 1751, proprio quando suo padre scriveva la Pratica criminale, egli iniziò il suo cursus honorum cittadino, ricoprendo la carica elettiva di giudice della Regia corte, che si vide rinnovata l'anno seguente e poi nel 1767, 1775, 1780, 1787, 1793 e 1794. Entrò a far parte dei decurioni che, alla metà del secolo, dirigevano "il parlamento di Gallipoli", "fra loro quasi tutti congiunti, fino a esservi due fratelli conviventi, e ristretti al solo ceto dei benestanti e persone facoltose", come ci assicura un'anonima fonte coeva, certo ostile all'oligarchia della città, ma tutt'altro che inesatta. Nel 1758 venne tentata una prima riforma dell'amministrazione cittadina ("40 benestanti, dottori in legge, medicina, notai, 40 mercadanti, 40 artieri, marinai e contadini"), ma essa si arenò di fronte all'opposizione dei patrizi, i quali rivendicavano un carattere nobiliare alle loro famiglie e si rifiutavano di mescolarsi con gli "onesti borghesi", pur discendendo essi stessi non di rado da chi aveva esercitato la mercatura e continuando talvolta a vivere ancora di traffici. Troppo pochi e di origine spesso straniera erano i mercanti per strappar loro il controllo del "ricco peculio pubblico", tanto più che il regio governatore sembrava fare tutto quanto era in proprio potere per favorire lo statu quo. Nel 1762 un piccolo incidente insorto tra il vescovo Ignazio Savastano e i patrizi (che elessero il B. come uno dei loro quattro delegati) riaprì le dispute. Un tumulto si scatenò il 1º ott. 1762 contro i partigiani della riforma, i quali chiedevano la revisione dei conti cittadini. Il tribunale era dominato dai decurioni in carica, cosicché i loro avversari, dapprima rifugiatisi in chiesa, vennero arrestati e trattenuti in carcere a Lecce. Il 23 maggio 1763 il B. era eletto sindaco (la durata della carica andava dal primo settembre alla fine d'agosto dell'anno seguente) in un momento reso particolarmente difficile dalle lotte cittadine e soprattutto dalla carestia che già incombeva. Riuscì, coadiuvato pure dal fratello Domenico, allora eletto giudice, in vivace concorrenza con gli incettatori che venivano da Napoli, con le comunità viciniori che si impadronivano dei trasporti di grano, con "la fame che divorava tutti i luoghi vicini di questa provincia", a contrarre tempestivi acquisti di grano, a diminuire la gabella della farina "in vantaggio di tutti gli ordini della città e in effettivo sollievo dei poveri". Contribuì così a evitare a Gallipoli il tragico destino di massima parte dei centri dell'Italia meridionale nel 1764. Il 15 maggio 1765 era stabilita a Napoli una riforma dell'amministrazione cittadina, che sarebbe stata composta di 15 decurioni del "primo ceto de' nobili, compresi i dottori di legge ed i benestanti", di 15 del "secondo ceto de' civili", mercanti, medici, notai e giudici e di 15 del "terzo ceto del popolo", artigiani, padroni di bastimenti, "in esclusione de' bassi marinari". Benché più moderato dello statuto del 1758, questo nuovo regolamento pareva intaccare tuttavia il monopolio patrizio e venne accolto, almeno da alcuni partigiani della riforma, come una liberazione "dalla schiavitù d'Egitto", perché dava qualche autonomia e potere al secondo e terzo ceto. L'annona, il catasto, l'ospedale, i tribunali restavano tuttavia nelle mani dei patrizi. Le resistenze e le difficoltà nell'applicazione non mancarono, come ebbe a sperimentare il fratello del B., Domenico, eletto sindaco per l'anno 1766-1767 (verso la fine del suo sindacato si pose acutamente il problema dell'appalto della panificazione cittadina, di grande interesse per la "gente popolare, che perloppiù fa il consumo del detto pane dell'annona"). Il B. passò allora ad amministrare l'ospedale della città, riformandone gli abusi, "a riguardo dell'amministrazione delle rendite, come alla cura e condotta degli infermi". Quando, il 9 marzo 1767, il B. venne fatto giudice, ebbe 27 voti favorevoli e 6 contrari, in una elezione vivacemente contesa. Negli anni seguenti proseguirono le dispute fra i tre ceti. Il B. continuò a prendervi parte (cfr. ad esempio il suo intervento il 24 nov. 1775 e la sua Memoria per lo primo ceto della città di Gallipoli del 1777, oggi perduta).

L'esperienza così compiuta nelle lotte cittadine fu di grande importanza nella formazione delle idee politiche tanto del B. quanto di suo fratello Domenico. Guardarono a Venezia come all'esempio più illustre di un autonomo regime patrizio, solo capace, secondo loro, di controllare le riforme economiche e giuridiche che essi sentivano necessarie. Ma a Gallipoli, contrariamente a quanto accadeva nella Repubblica di S. Marco, l'autorità decisiva non stava nelle loro mani, bensì a Napoli, nei tribunali e nella reggia della capitale. Le dispute cittadine si orientavano inevitabilmente sulla volontà di conquistare il favore e l'appoggio del potere centrale o dei suoi rappresentanti locali. La monarchia appariva così come garante della autorità dei patrizi e strumento indispensabile di trasformazione e di riforma. Il giure fu il terreno sul quale, ai loro occhi, doveva avvenire questo incontro e compromesso. Iniziativa provinciale e cittadina e vagheggiamento di un assolutismo illuminato si trovarono così alla base del loro pensiero e della loro azione, condividendo questo loro orientamento con i più significativi rappresentanti della Puglia del secondo Settecento, Giuseppe Palmieri e Giovanni Presta (questi nel 1764, l'anno in cui il B. fu sindaco, era uno dei due medici municipali della città). Solo il potere centrale appariva in grado di portare quelle migliorie tecniche, di creare quelle infrastrutture che avrebbero positivamente risposto alla vivace polemica dei mercanti e degli "zelanti cittadini" di Gallipoli. Di là passava, per essere esportato in tutt'Europa e soprattutto nel Nord, gran parte dell'olio prodotto nel Mezzogiorno. Eppure la città mancava di un porto adatto, numerose erano le difficoltà, frequenti i naufragi. Nel novembre del 1771 il B. scrisse in proposito una Memoria dove si ricordava che negli ultimi tempi erano più di ottanta le navi giunte annualmente a Gallipoli a caricare olio, e che era tempo ormai di reperire i fondi per la costruzione di un indispensabile porto. Proponeva, a questo scopo, di spezzare i privilegi fiscali degli ecclesiastici e dei nobili proprietari di oliveti, di imporre un'equa tassa sui mercanti e di mobilitare le somme inutilizzate dei luoghi pii. Nel 1785 riprese a occuparsi della tonnara di Gallipoli, che era stata al centro della sua attenzione già nel 1764, quando era stato sindaco, e a difenderla contro il conte di Conversano, duca di Nardò, il quale aveva stabilito su un tratto di costa attiguo a Gallipoli una propria tonnara.

La riforma del giure restava al centro delle preoccupazioni del Briganti. In due grossi volumi manoscritti (oggi perduti) aveva elaborato un Saggio filosofico di giurisprudenza universale da cui nacquero un Saggio sull'arte oratoria del foro, fortunato libretto che venne ancora ristampato nel 1825 (seguendo l'esempio dell'"aureo trattato" di Aurelio Di Gennaro, egli partiva dalla polemica contro la "morale accomodante", contro l'eccessivo numero dei processi, per sostenere la necessità della critica rispetto alla giurisprudenza romana e bizantina e ancora più contro la "giurisprudenza nazionale sorta nei secoli ferrei della barbarie"), un opuscolo Della questione giudiziaria, appendice al capo I, § XI del Saggio su l'arte oratoria del foro e Risposta all'apologista della tortura (in cui riprendeva e allargava con allusioni a Genovesi ed a Beccaria la polemica di suo padre contro "la scuola sanguinaria del foro", contro "le anime incadaverite nell'abitudine del male") e soprattutto il suo Esame analitico del sistema legale, datato nel 1777 e apparso in realtà nel 1779, per esser poi ristampato a Napoli nel 1819 e ancora a Venezia nel 1822.

Partendo da Locke, "l'istoriografo dell'umana intelligenza", da Condillac "gran metafisico", si allontanava dal metodo aprioristico, del diritto naturale, così come dalle teoriche dell'istinto morale e muoveva verso una psicologia incentrata sull'attenzione, "primo mobile del sistema intellettuale", e verso una visione analitica dell'"ordine progressivo della natura", della umana perfettibilità. A questa filosofia corrisponde una visione della società fondata sulla proprietà (polemizza contro Morelly e contro ogni tradizione di legge agraria), sulla "disparità delle classi", sulla fatale "esorbitante dovizia e estrema indigenza", che potevano essere temperate o corrette soltanto dalla carità o da una vigorosa politica mercantilistica di espansione commerciale. Politicamente la sua ammirazione va ai governi liberi e repubblicani, dove pure esiste l'ineguaglianza, dove "tutti fan parte della costituzione. non tutti dell'amministrazione". Grande estimatore di Montesquieu, polemizza lungamente contro il Contrat social di Rousseau, ma non accetta l'"anglicismo", il sistema costituzionale inglese, e ripone in conclusione le sue speranze nei "governi moderati", in quelle monarchie illuminate (beninteso, "senza adottare il paradosso di Linguet che il despotismo asiatico sia preferibile alla libertà britannica"), augurandosi che l'assolutismo sia capace di accogliere le proposte di riforma di Beccaria (senza accettarne l'abolizione integrale della pena di morte), di assimilare l'esperienza politica d'un Mably e di formare un ampio programma d'intervento statale nell'economia, con lo scopo, cosa tutt'altro che facile, "di rendere attivo un popolo inerte".

Con la data del 1780, apparso in realtà nel 1781, fece seguito un Esame economico del sistema civile, l'opera principale del B., ristampata negli "Scrittori classici italiani di economia politica" di Pietro Custodi.

Vivo e profondo era in lui il senso della civiltà del grano, dell'olio, del vino. Il riso gli sembrava legato al dispotismo orientale. La caccia e il nomadismo al mondo barbaro, che attraverso l'opera di Raynal e di De Pauw suscitava in lui grande interesse, ma senza compiacenza alcuna. Le sue simpatie andavano ai contadini della sua terra, verso la "classe operosa" che, "degradata dal pubblico disprezzo, estenuata dalle vessazioni private, costernata dalle altrui prepotenze ed avvilita dalla propria ignominia, abbandona finalmente la terra...". Energico incentivo all'agricoltura era per lui il commercio internazionale (particolarmente importanti le sue pagine su Gallipoli ed il commercio dell'olio). Esaltava così la mercatura, "sempre avvezza all'aria serena della libertà". Anche quest'opera culminava con un elogio delle monarchie moderne, di cui non bisognava, con Hume, troppo sottolineare la tendenza verso il dispotismo, unica forma politica, in realtà, entro la quale il "sistema civile" esistente avrebbe potuto approssimarsi "ad una perfetta prosperità".

Malgrado l'astrattezza giuridica e scolastica di molte sue pagine, malgrado la presenza di non poca retorica classicistica, i due libri del B. ebbero largo successo. Ne parlarono le Novelle letterarie di Firenze del 1779 e del 1782. Il Giornale enciclopedico di Milano assicurava nel 1782 che "le intenzioni di questo zelante economista non potrebbero essere migliori". Le Göttingische Anzeigen von gelehrten Sachen del 1783 parlavano con elogio della "Ordming" e della "Gründlichkeit" dell'autore. A Napoli un fervido incontro epistolare si stabilì tra il B. e Gaetano Filangieri. La Scienza della legislazione parve nel 1781 al patrizio gallipolino come un'aurora del "bel sereno di quella luce che in altre regioni ha schiariti i governi e fatto prosperare i popoli", e nel 1783 come l'opera di "quella mano che ha osato strappar le bende alle schifose rughe d'una vecchia e barbogia legislazione".

Gli avvenimenti di Gallipoli non eran tuttavia fatti per confortare nelle sue speranze il B., che delle faccende cittadine aveva sempre continuato ad occuparsi attentamente (vedi, ad esempio, l'intervento del 12 maggio 1776 per una riorganizzazione delle - carceri, onde renderle "più adatte alla giustizia distributiva"). Nel 1787, quando era sindaco il nobile Vincenzo Tafuri ed egli era giudice, la lotta tra patrizi e mercanti scoppiò con rinnovata violenza. Nel 1791 venne eletto per la prima volta sindaco un negoziante, Buonaventura Occhilupo. I patrizi furono esclusi dal sindacato per tutti gli anni seguenti, fino alla rivoluzione del 1799. Gli odi crebbero contro "l'ambiziosa ciurma de' negozianti", contro "un pugno di gente avventizia, senza genealogia e senza tetto, animata o da eccessiva ambizione o da sfrenata cupidigia ed inebriata dai tristi vapori d'una malintesa libertà", che intendeva "rovesciar da capo l'armonia di quella amministrazione organizzata con ordine mirabile e per molti anni eseguita coll'integrità e la rettitudine che definisce il carattere del buon governo". I due fratelli Briganti, pur lontani da questi estremismi, continuarono a partecipare attivamente alle contese cittadine: nel dicembre del 1791 il B. e il barone Francesco Palmieri furono i rappresentanti del primo ceto in una delle numerose commissioni nominate per tentar di sbloccare la difficile situazione.

Domenico Briganti, in due discorsi, del 1789 e 1790, in occasione della morte di Carlo III e di Giuseppe II, ripropose con particolare solennità, di fronte al sindaco Vincenzo Tafuri, nell'Oratorio dei nobili della città, il suo programma e la sua superstite speranza nell'assolutismo illuminato. Ricordava come Carlo di Borbone avesse fatto a Napoli un grande sforzo per dar "leggi ad un popolo pervertito dalla coltivata ragione", e come si fosse tenuto lontano dai "rigori d'un fisco armato e dalle vessazioni dell'orgoglio feudale". Quanto all'imperatore Giuseppe II, egli aveva saputo liberare i contadini dalla "servitù della gleba", e "spezzar le catene dell'avvilito bifolco", così come aveva saputo imporre nei suoi domini una benefica "tolleranza civile", riaffermare di fronte alla Chiesa la sovranità dello Stato e porsi un grandioso programma sociale: "Non vi saranno più poveri ne' miei stati". "Egli, sempre animato dall'amore del ben pubblico, abbatté con un colpo di autorità la squallida selva di vecchi statuti, dettati dalla barbarie... sostituendovi un codice restauratore del buon ordine e distruttivo delle insidiose imboscate del foro". Un altro modello di assolutismo illuminato arrideva di lontano a Domenico, così come a suo fratello e ai loro amici Giovanni Presta (che chiamò Caterina II "la Pallade delle Russie") e Luca Personé (che nel 1795 pubblicava a Napoli delle Riflessioni politiche sulla ricchezza della Russia). Domenico scrisse un Saggio storico del secolo di Caterina II imperatrice di tutte le Russie, oggi perduto. Ma anche in lui questo vagheggiamento assolutistico è accompagnato sempre da una visione nettamente patrizia e cittadina. Un processo causato da un naufragio sulla costa della Terra d'Otranto gli fornì l'occasione di esprimere ancora una volta la sua ammirazione per Venezia, "senato di re e popolo di eroi", "governo libero il quale seppe far testa agli insulti stranieri con invincibile costanza e prevenir le rivoluzioni intestine con vigilanza formidabile" (Memoria da presentarsi alla Serenissima repubblica veneta per lo naufragio de' 27 novembre 1793 della nave di alto bordo detta La Sirena). Preoccupazioni e pensieri ben lontani dalla coeva Rivoluzione francese, di cui egli scrisse, allora, una Storia, da lui stesso bruciata, pare, nel 1799.

Il B. sembrò invece, nell'ultimo decennio del secolo, rifugiarsi soprattutto in esercizi poetici, umanistici, in una traduzione di L. Annio Floro e in numerosi atti di pietà.

Il 1799 precipitò a Gallipoli una situazione a lungo sospesa. "Ad imitazione del la capitale e di Lecce" il governo repubblicano venne proclamato a Gallipoli e fu innalzato l'albero della libertà. Ma il nuovo governo non durò che otto giorni. Il 17 febbr. 1799 era già rovesciato. Il giorno dopo, in un Parlamento straordinario, il B. e Nicola Muzi vennero eletti "assessori per il buon regolamento degli affari universali". Ben presto la situazione peggiorò. Con difficoltà venne sventato un tentativo di saccheggio e di massacro progettato dall'"anarchista" Gennaro Filisio, celebre bandito, "gran capitan generale del popolo basso". Gli elementi popolari, facchini, marinai, bottegai, ecc., scatenati dalla Santa fede, ebbero la città nelle loro mani. Il B. venne arrestato. Soltanto all'inizio d'ottobre Gallipoli venne posta, sono la minaccia d'un bombardamento dal mare, sotto il controllo delle autorità costituite borboniche, che catturarono un centinaio di ribelli e liberarono dal carcere anche il Briganti. I maggiorenti ripresero rapidamente le redini della città. Ma, profondamente scosso dagli avvenimenti, il B. era al termine della sua carriera. Morì il 23 febbr. 1804.

Fonti e Bibl.: Le Opere postume del B. furono raccolte da G. B. De Tommasi e stampate in due volumi a Napoli nel 1818, con un molto retorico suo Elogio storico.

Il primo studio accurato fu quello di C. Massa, F. B. e le sue dottrine economiche, Trani 1897.

Poco o nulla aggiunge S. Ruggiero Mazzone, Un economista pugliese del Settecento: F. B., Bari 1964.

Sul pensiero economico, T. Persico, Il pensiero di F. B., in Atti dell'Accademia Pontaniana, LVI (1926), pp. 5-20; G. Carano-Donvito, F. M. B. Esame economico del sistema civile, in Economisti di Puglia, Firenze 1956.

Su Gallipoli nel Settecento: Struömberg, Baumoelhandel in Neapel,besonders in Gallipoli, in A. L. Schlözer, Briefwechsel meist histor. polit. Inhalts, parte V, quaderno 27, Göttingen 1779; B. Ravenna, Memorie istoriche della città di Gallipoli, Napoli 1836; V. Tafuri, Della nobiltà,delle sue leggi e dei suoi istituti nel già reame delle Due Sicilie,con particolar notizie intorno alle città di Napoli e di Gallipoli, Napoli 1869; F. Massa, Avvenimenti di Gallipoli dal 1798 al 1815, Gallipoli 1877; C. Massa, Il prezzo e il commercio degli olii di oliva di Gallipoli e di Bari Trani 1897; Id., Venezia e Gallipoli.

Notizie e documenti, Trani 1902; A. Lucarelli, La Puglia nel Risorgimento, II, La rivoluzione del 1799, Bari 1934; D. Derossi, Storia e vicende della tonnara di Gallipoli, Gallipoli 1964.

I manoscritti conservati dalla famiglia Briganti almeno fino al 1897, e descritti da C. Massa, F. B., cit., sono oggi perduti.

La Biblioteca civica di Galliboli conserva un manoscritto sulla formazione della Voce degli olii mosti (n. 3330).

Nell'Archivio di Stato di Lecce si trovano tra le Scritture delle università e feudi della provincia di Lecce le carte municipali di Gallipoli.

Indispensabile per ricostruire l'attività politica dei Briganti è il n. 8, Parlamenti universali e conclusioni decurionali. Gallipoli. 1763-1801.

Numerosi altri documenti nei mazzi 36/11, 36/12, 36/14, ecc. Nell'Archivio di Stato di Napoli, cfr., tra le carte della Regia Camera della Sommaria, I conti della Sommaria (1524-1807), recentemente inventariati a stampa da D. Musto, Roma 1969. Le lettere di F. B. a G. Filangieri si trovano nella Biblioteca del Museo civico G. Filangieri di Napoli, Mazzo 28, n. 5.

Tra i manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli, nel carteggio di D. Diodati, si trova una lettera di F. B., da Gallipoli, dell'8 nov. 1788, su problemi monetari e numismatici. A Firenze, nella Biblioteca Moreniana, sotto la segnatura Frullani 40, vol. IV, si trova una lettera di Astore a M. Lastri, del 20 ag. 1790, in cui si parla a lungo della famiglia Briganti.

(http://www.treccani.it/enciclopedia/filippo-briganti_(Dizionario-Biografico)/ )


Inizio pagina


C O P Y R I G H T

You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the ©opyright rules included at my home page, citing the author's name and that the text is taken from the site www.oresteparise.it.

Il copyright degli articoli è libero. Chiunque può riprodurli secondo le @ondizioni elencate nella home page, citando il nome dell'autore e mettendo in evidenza che che il testo riprodotto è tratto da http://www.oresteparise.it/.