L'aristocratico illuminato

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 11 del 17/03/2012


Rende, 15/03/2012


Francesc'Antonio Grimaldi, discendente da una antica famiglia genovese

Letterato e giurista appartenente alla loggia massonicoa francese dell'Humanité. Strenuo difensore del ruolo e della funzione dlla aristrocrazia, di cui criticava aspramente i difetti e auspicava una radicale riforma. Scrisse un saggio pubblicato dopo la sua morte sul terremoto del 1783.


Francesc'Antonio Grimaldi: la biografia

La famiglia de' Grimaldi è una delle più illustri d'Italia, come a' Genealogisti è ben noto. Un ramo di questa da Genova trapiantossi nella Città di Seminara in Calabria. Ivi nacque nel 1741 Francesc'Antonio da Pio Grimaldi e Porzia Grimaldi. Il genitore volle essere egli stesso l'istitutore del suo figlio, e schiudere la sua giovane anima alle dolci impressioni della virtù colla voce e coll'esempio. Nato colle più felici disposizioni di Natura, Francesc'Antonio corrispose ardentemente alle cure paterne, e rapidamente percorse la carriera tutta degli studj; ma rapito dall'incanto delle Belle Arti egli specialmente si volse al Disegno alla Pittura ed alla musica. In quest'ultima egli non riconobbe un'arte ma una parte sublime della filosofia, come quella ch'ebbe tanta influenza presso gli Antichi sul costume delle nazioni; e perciò s'indusse a pubblicare in Napoli nel 1766 una Lettera sopra la Musica indiritta al Signor Agostino Lomellini. In quest'Opera egli si occupa a rintracciare le cagioni per cui la Musica fu in alcuni tempi miglioratrice degli animi ed in altri concorse alla loro depravazione; e la distingue perciò sotto tre forme, la prima che chiama Naturale, la seconda Armonica voluttuosa, e la terza Armonica Filosofica. Egli propone che si restauri la Musica armonica filosofica, che fu l'emblema e la conservatrice dell'armonia sociale, adoprata da Mercurio da Orfeo e da Chirone.

Pochi anno dopo pose a stampa la Vita di Ansaldo Grimaldi, suo illustre avo, nella quale rischiarò anche varj punti importanti della Genovese Istoria. Genova chiamò il nostro Grimaldi alle più illustri magistrature, ma egli non accettò quest'onore, giacchè erasi allora applicato al Foro Napoletano non da vile leguleo ma da Filosofo. E ben chiara pruova ne dette colla pubblicazione di un altra sua Opera intitolata: De successionibus legitimis in urbe Neapolitana, nella quale con mirabile accordo si scorge l'erudizione e la filosofia.

Allontanatosi un poco dalle cure del Foro scrisse la Vita di Diogene. Egli rivendicò la fama di questo Filosofo dalle ingiurie di Laerzio, e dalla comune opinione in cui viene tenuto. Diogene reintegrò la Morale di Socrate; egli raccomandò la temperanza l'indipendenza, la libertà, la tranquillità, la beneficenza, onde giugnere alla meta della morale. La sua vita fu a questi suoi principj uniforme. Nemico della impostura egli con libertà alzava il velo, che ricopriva le azioni empie de' Sacerdoti del suo tempo; venerando la Religione, intimava aspra guerra alla superstizione ed all'intolleranza. Lo splendore e la potenza de' Re non soffocarono giammai in Diogene il grido della verità; ed egli non cessò mai di altamente disapprovare quelle leggi, ch'erano dannose al bene pubblico. Se disprezzò quel grande Alessandro, che facea tremare l'intiero mondo, ciò avvenne perché egli in lui non vide il Re benefico e giusto, ma il conquistatore crudele e feroce, che toglieva alla Grecia ed a tante Provincie la libertà, che in mezzo a' vili piaceri non apriva giammai il suo cuore alle virtù ed alla pace.

Tali furono le massime di Diogene, che fu chiamato sfrontato, maldicente, e la cui memoria fu sparsa di ridicolo. Devesi adunque al Grimaldi la rettificazione della vita sua del suo sistema filosofico.

Ma ad altra opera più interessante volgeasi la mente ed il cuore del nostro Grimaldi. Egli scelse perciò il soggetto della campagna ove la nostr'anima sembra più adatta a sentire la voluttà della meditazione, e ad elevarsi a pensieri sublimi ed utili alla specie umana. Fu in quest'asilo tranquillo ch'egli scrisse le Riflessioni sopra l'Ineguaglianza tra gli uomini, che possono chiamarsi un corso completo di naturale filosofia, tratta dalla vera natura dell'uomo. Tale opera fu accolta in Europa con sommo plauso, ed è una di quelle che fanno più onore alla Filosofia Napoletana. Sebbene Rousseau eloquentemente avesse trattato lo stesso argomento, la mente tranquilla del leggitore filosofo ritrova ne' suoi ragionamenti molte volte in luogo della fredda ragione l'entusiasmo, in logo della verità la vaghezza di andare in traccia de' paradossi. Grimaldi con una serie di raziocinj ritornò sopra questo soggetto. L'ineguaglianza, egli dice, esiste nella natura, conviene adunque primamente far delle ricerche sull'organizzazione dell'uomo; e così chiama in ajuto la Fisica, la Storia Naturale, la Fisiologia. Quindi nasce l'esame dell'Ineguaglianza originata dalla diversa destinazione degl'individui della istessa specie; e quella de' popoli e delle nazioni provata con una saggia e moderata erudizione, e coll'osservazione de' differenti climi, delle qualità dell'aria, delle diverse maniere di vivere, di abitare, di nudrirsi. Nasce da questa Ineguaglianza quella della sensibilità, e quindi dell'intelligenza; e da queste le passioni che portano il carattere anch'esse dell'inegualianza: ma le passioni determinano la volontà: dunque tutto è Ineguaglianza da' primi composti fisici, fino a' più sublimi morali risultamenti. L'ineguaglianza morale è sviluppata nella seconda parte di quest'opera, e si dimostra che questa è in ragione composta delle facoltà intellettuali dipendenti dal meccanismo particolare degl'individui, e dalle cause esteriori che più o meno si combinano a svilupparla. Esamina quindi il nostro Filosofo l'uomo moralmente sottoponendolo all'esperienza, egli lo considera solitario e nello stato di società; in una parola fa la Storia morale dell'Umanità, e così prova fino all'ultima evidenza, che senza l'ineguaglianza le società non sussisterebbero. I tre ultimi capitoli contengono le più giuste e vere idee della Legge di Natura, del Dritto delle Genti e de Dritto Civile. Infine conchiude non doversi rapportare tutte le azioni morali all'utilità; ma bensì alla Giustizia. Noi avressimo voluto dare un analisi più compiuta di questa illustre Opera; ma gli stretti cancelli in cui dev'essere racchiuso questo Elogio ce lo hanno impedito, e noi rimettiamo i nostri leggitori all'Elogio di Grimaldi scritto estesamente dal Cav. Melchiorre Delfico, e stampato in Napoli nel 1784.

Il nome di Grimaldi si propagava sempre più in Europa, ed il Sovrano si affrettò di averlo al suo fianco conferendogli l'ufficio di Assessore de' Reali Eserciti. La virtù, e la rettitudine con cui esercitò tal carica gli meritarono le benedizioni de' buoni. Il sentimento il più generoso, l'amor della Patria che infiammava il suo cuore lo chiamò a scrivere gli Annali del Regno di Napoli. Profittando di tutte le accurate ricerche de' Filologi, e disponendole da Filosofo, egli descrisse lo stato barbaro del Regno pria che le colonie di oltremare venissero a civilizzarlo, ed i popoli Autottoni d'Italia furono da lui rappresentati con somma veracità. Così frammischiandovi osservazioni, sul Governo le leggi, le arti e le scienze, giunse fino all'epoca in cui Roma tolse a' nostri antenati la patria e la libertà.

Ma egli non potè che pubblicare i primi volumi di quest'opera immortale. Logorata la sua macchina dalle fatiche letterarie, e da quelle del suo ufficio ella ricevette un colpo terribile, giacchè il tremuoto celebre di Calabria distrusse la sua patria, e tolse di vita insiem colla sua madre cinque altri individui della famiglia.

Egli fu il primo che descrivesse quella fatale sciagura, e che implorasse la munificenza Sovrana a sollievo della sventurata Calabria. Ma lo attendeva un altra lagrimevole disgrazia. Poco dopo egli perdè la diletta sua consorte la Contessa Aurora Barnaba, Dama ripiena di tutte quelle qualità, che natura può dare, e l'educazione render perfette. Ella, che aveva formata la delizia del marito, e sparsi i fiori nel cammino disastroso della sua vita, ella morì in età ancor verde senza che le moltiplici cure dell'amicizia e dell'arte salutare avessero potuto trattenere il decreto della sorte.

Tanti ripetuti assalti alla sua sensibilità accelerarono la sua fine. Egli morì nel 1783 avendo vissuto 42 anni e nove mesi.

Fra tutte le virtù di Grimaldi fu la principale la modestia. Egli non vivea, per così dire, che per i suoi intrinseci amici. Fu amico della verità in mezzo alle Corti. Le sue maniere erano cordiali e spontanee, e simili nel candore a' suoi costumi.

La sua morte fu compianta da tutti gli uomini virtuosi. Ma il suo spirito rivisse in quell'Elogio sublime, che consacrò alla di lui memoria il suo illustre amico il Cav. Melchiorre Delfico, oggi Consigliere di Stato. Allontanandosi dalla comune maniera di scrivere gli Elogj in Italia, quest'uomo grande non ci dette sterili notizie istoriche sulla vita di Grimaldi; ma ci donò l'analisi compiuta delle suo Opere, e ci dipinse le qualità del suo cuore; vestendo tutto ciò di quelle grazie spontanee di stile, e di quel sapore di filosofia, che adorna tutti i suoi scritti immortali. Cogli occhi rivolti a un tale Elogio noi abbiamo scritto questa breve notizia della Vita e delle Opere di Francesc'Antonio Grimaldi, Giuseppe Boccanera da Macerata

( “Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli ornata de' loro rispettivi ritratti compilata da diversi letterati nazionali”, Vol. 2 Napoli MDCCCXIV (1814), Presso Nicola Gervasi calcografo, Strada Gigante, n. 23)


Il terremoto del 1783, il più grande disastro naturale dell'Italia Meridionale nei tempi moderni.

Il terremoto del 1783 fu una delle più gravi disastri naturali registrati nell'Italia meridionale, che provocò danni ingentissimi e un numero elevatissimo di morti: dalle 30 alle 50 mila persone secondo i calcoli dell'epoca, su un totale di 440.000 abitanti. Le scosse più forti si ebbero a febbraio, marzo, ma continuarono poi per molti mesi. Si registrarono molti fenomeni inconsueti: molte sorgenti si inaridirono e ne sorsero altre, si aprirono voragine, si formarono laghi e paludi.

Francesco Antonio Grimaldi scrisse un saggio, in forma di diario, per descrivere lo stato dell'area colpita, poiché egli stessi aveva subito enormi danni patrimoniali, la perdita di cinque familiari, e della stessa moglie, morta per il dolore, le sofferenze ed i disagi che aveva dovuto sopportare. L'opera fu pubblicata postuma, poiché lo stesso autore muore l'anno successivo, all'età di quarantatré anni, anche lui vittima indiretta del sisma.

Interessante è leggere la parte finale del suo saggio dove descrive il fenomeno della nebbia a giugno e luglio, certamente inconsueto per la Calabria Meridionale e commenta lo stato della popolazione, che ha mostrato un ammirevole voglia di ricominciare dopo una tragedia così devastante. Il quadro è forse troppo idilliaco, ma testimonia lo sforzo del governo borbonico ad intervenire. Pur tra errori, è stato il primo intervento organico di uno stato per fronteggiare i danni di un disastro naturale.

“Nel giorno 22 comparve un altro fenomeno in iscena, che finì di sconcertare 1'animo atterrito de' Calabresi. Il cielo si vide coperto di una folta, e densa nebbia, che cambiava 1'aspetto consolante dell'astro del giorno in un globo minaccevole di arrabbiato fuoco, e qualche volta lo nascondeva intieramente agli occhi de' mortali. La Luna nella notte quando si facea vedere a traverso della nebbia, non si distingueva dal Sole, se non perchè il suo rosseggiante, e sanguigno colore era squallido, e tetro.

Questa nebbia si fissò nell'atmosfera, per modo, che né la forza de' venti, nè le frequenti tropee, accompagnate da piogge, da fulmini e da lampi, e qualche volta da gragnuole, giunsero mai a dissiparla. Gli oggetti nella distanza di mezzo miglio, non più si distinguevano di giorno; e qualche volta nel più fitto meriggio conveniva di accendere il lume nelle case per fare i proprj affari.

Un fenomeno cosi tetro, e permanente. (imperciocchè durò dal giorno 22 di Giugno fino agli undeci di Luglio) influì lui fisico degli uomini, e degli animali delle Calabrie, non meno che sulle fertili campagne di quella regione.

La nebbia, come generalmente ci assicurano, era formata da un vapore denso, ma secco ; e questa osservazione vien confermata indubitatamente dagl'Igrometri. Dicono, che si sentiva in questa occasione un odore distinto di solfo, e di bitumi, specialmente la mattina al far del giorno; ed assicurano, per qualche esperienza fatta, che la medesima conteneva molto vapore elettrico. Ma di queste osservazioni non vogliamo esser garanti.

Da uomini di buon senso dunque si è osservato, che non solamente gli uomini erano sorpresi da un cattivo umore ippocondriaco, che, li tendeva tristi, e difficili nella società; ma fin anche gli animali gregali inoltravano un inquietudine, ed una indocilità straordinaria al loro natural carattere.

Le vigne, e gli oliveti soffrirono moltissimo; e generalmente tutti i vegetabili mostrarono segni patenti di una malattia cagionata dalla maligna nebbia.

Fortunatamente non si sente che fossero di molto accresciute le infermità, comecchè i convalescenti se ne risentissero oltremodo.

Frattanto i prognosticanti ragionavano diversamente sulla nebbia: alcuni l'apprendevano per un segno sicuro della cessazione de' tremuoti, giudicando che le materie accensibili si erano intieramente consumate, e che la nebbia provenisse dalle ultime evaporazioni delle medesime. Altri più inclinati alla malinconia giudicavano, che la nebbia fosse un funesto annunzio di nuovi disastri, e di più terribili sconcerti. Probabilmente nè gli uni, nè gli altri avranno dato al segno; imperciocchè l'istesso giorno 22 ad ore e m. 43 vi fu una leggiera scossa, ed il giorno 23 ad ore 5 e m. 20 se ne sentì un'altra più forte, e più durevole, ma senza di aver cagionato nessun danno. ...

Dal primo di Luglio fino al dì cinque la nebbia fu persistente: il fragore sotterraneo andò sempre scemando, e non s'intese, che una leggiera scossa la notte dei quattro, ed un'altra l’istesso giorno cinque, che non fu avvertita generalmente. Questa circostanza facea sperare, come da un pezzo si lusingavano, che la cagione de' tremuoti fosse pressoché estinta, ma le ultime relazioni fin ora ricevute ci avvertono che le loro speranze sono ancora deluse; imperciocchè in Reggio nel dì 11 alle ore 22 e 21 m. vi fu una gagliardissima scossa di tremuoto, seguita da diverse repliche nella notte, benchè più leggiere. ...

Non si sente parlare di danni, e di dissapori, perchè le fabbriche che dovean cadere, più non esistono, essendo state diroccate da' passati tremuoti, come nella prima nostra relazione si è detto; e la gente di quelle contrade sta bastantemente in cautela per non esser vittima di un male già reso loro abituale, e conosciuto. Oltrecchè per le diligenti cure del Governo tutti gli edifizj, che da' tremuoti non furono abbattuti, e che potevano in seguito cadere con danno degli uomini, furono diligentemente abbattuti.

Crederebbe taluno, che i Calabresi atterriti da' continui tremuoti, oppressi dalle nebbie, e circondati da oggetti che richiamano alla memoria le rimembranze più funeste, ed orrorose, dovessero stare in una situazione la più misera, che mai; e pure non è così. Noi siamo assicurati, che nelle Horde Calabresi, seminate per le amene, e fertili campagne di quella Provincia, vicino alle distrutte Città, regna 1'abbondanza, il buon ordine, e 1'allegria: e quel ch'è più, si moltiplicano i matrimonj, e la generazione di quest'anno non sarà meno feconda della sorprendente vegetazione, che in quella Provincia si è osservata. Anche il mare va di accordo colla terra per diminuire i mali di quegli abitanti; inperciocchè a memoria di uomini non vi è stata mai in quelle contrade una pescagione di Tonni, di Pescespada, di Alici, ed altri pesci, così abbondante, come vi fu nella Primavera di quest'anno.

Ma sopratutto devono i Calabresi, ed i Messinesi la loro felicità a fronte degli orrori, che la natura loro minacciava, alle paterne, e generose cure del nostro adorabile Sovrano . Le somme ingenti di danaro distribuite per sostener l'industria della seta, ed anticipate senza interesse a' proprietarj degli oliveti, produssero la ricchezza in que' luoghi, allontanarono l'ozio, e la poltroneria, cagioni perenni de' delitti, e diedero 1'anima a tutte le Operazioni economiche de' Calabresi, e de' Messinesi.

A questi generosi provvedimenti furono accompagnate le più diligenti cure del Governo per la salute pubblica, per 1' abbondanza dell'annona, e per 1'esatta amministrazione della giustizia. I prepotenti, i monopolisti, e le sanguisughe de' poveri non ebbero 1'agio di profittare delle comuni miserie, come forse avrebbero fatto se non fossero stati frenati dal rigor delle leggi, e dall'indefessa attività degli esecutori.

Ecco i motivi per cui i Calabresi fra gli orrori, e le minacce della Natura, godono la tranquillità della vita, ed attestano con lagrime di tenerezze la loro gratitudine al Sovrano, pregandolo colle più fervorose suppliche, figlie del sentimento, e non dell'adulazione, di permetter loro l'erezione di pubblici monumenti in attestato eterno delle sue paterne beneficenze”.

(Francesco A. Grimaldi, Descrizione de tremuoti accaduti nelle Calabrie nel MDCCLXXXIII, Napoli presso Giuseppe Maria Porcelli, MDCCLXXXIV)


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