Il microcredito ci salverà

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 12 del 24/03/2012


Rende, 22/03/2012


La scialuppa di salvataggio della BCC Mediocrati

In un momento di crisi così nera, il ruolo delle banche è ben lungi dall'essersi esaurito. Una risposta può venire dal microcredito, piccola importi, ma in grado di dare un aiuto concreto


Tempi duri o tempi d'oro per le banche? Non vi è dubbio che siamo nel mezzo dell'ennesima rivoluzione finanziaria. Sul finire del secolo scorso abbiamo vissuto l'euforia di una bolla speculativa che prometteva grandi speranze e ci ha portato sull'orlo del baratro e non riusciamo più a staccarcene. Ieri le banche e il sistema finanziario ha avuto un ruolo determinante nel provocare cambiamenti epocali nei flussi economici. La globalizzazione si è tradotta in un gigantesco trasferimento di capacità produttiva verso i paesi emergenti, nell'illusione di poter sfruttare all'infinito il know-how accumulato.

L'Asia e il Sud America sono diventati i produttori del mondo, le locomotive dello sviluppo. Un rallentamento della loro crescita provoca subitaneamente una crisi del nostro modo di produrre, che ha perso la sua funzione di guida e di indirizzo dell'economia.

La crisi che stiamo vivendo è stata provocata dal crollo del sistema finanziario e le macerie hanno travolto le banche, soprattutto le grandi banche multinazionali che operano nei mercati mondiali. Ma il riverbero della crisi si è abbattuto anche sulle piccole banche e sul sistema produttivo, che sono strettamente correlati l'uno con l'altro. I governi si sono svenati per sostenerle e impedirne il fallimento che avrebbe travolto l'intero sistema, ma non sono ancora riusciti a trovare una formula adeguata per una radicale riforma del sistema, limitandosi a qualche iniziativa di contenimento degli effetti, senza rimuovere le cause.

“Il fatto che proprio grazie a questa crisi si sta capendo, anche se nessuno lo vuole ammettere, che il capitalismo è arrivato al capolinea», afferma Muhammad Yunus il pioniere del microcredito, premio Nobel per la Pace.

È certo che il ruolo delle banche nel sistema economico è ben lungi dall'essersi esaurito. I tutto il mondo vi va verso l'eliminazione della moneta e la virtualità dei pagamenti. Nel recente decreto approvato dal governo Monti l'uso del contante è stato limitato a mille euro, una cifra irrisoria se si pensa alla media delle transazioni che avvengono nel sistema economico. Anche un modesto pensionato si vede così costretto a entrare in contatto con le banche. Questo è destinato a provocare uno spettacolare cambiamento nel sistema dei pagamenti e nella centralità del sistema bancario che dovrà abituarsi a gestire milioni di piccole transazioni. Il governo le richiama a farlo a costo zero, secondo quanto stabilito nel decreto “Cresci Italia” provocando l'ira funesta di tutte le banche, che piangono miseria lamentando che l'azzeramento delle commissioni provocherebbe il collasso del loro conto economico. Nessuno si azzarda a fare qualche calcolo sull'entità della liquidità che si troveranno a gestire a costo praticamente nullo per effetto della loro accresciuta funzione monetaria. Il progresso tecnologico, d'altronde, consente di gestire questa enorme mole di operazioni senza sostanziali aggravi dei costi. Il vero problema non è quale sarà l'impatto di queste nuove norme sul conto economico delle banche, ma in che modo esse utilizzeranno questo enorme potere. Già oggi esse sono in grado di condizionare lo sviluppo e provocare sconvolgimenti nell'equilibrio economico mondiale. Domani la loro azione sarà ancora più determinante, mentre non vi è più alcun potere politico in grado di controllarle poiché la loro natura tentacolare gli consente di sfuggire di fatto ai controlli nazionali rifugiandosi dietro il paravento dei paradisi fiscali e l'immunità consentito dell'anonimato nei paradisi fiscali.

Le banche devono ritornare ad essere motori dello sviluppo, strumenti di intermediazione dell'economia reale e non dedicata a puri esercizi di speculazione finanziaria. Questa è la sfida a cui sono chiamate nel futuro, che richiede una profonda modificazione del loro approccio nei confronti dell'economia reale.

«Vorrei una società dove nessuno rimanga disoccupato, nemmeno una persona. Il lavoro è la priorità, ma non serve pensare a come creare più posti in questo sistema proprio perché il sistema non funziona più”, afferma ancora Yunus. Bisogna frenare la speculazione e puntare tutto sulla creazione di un cittadino consapevole, che partecipa al benessere creato collettivamente: al di là della produzione, la vera sfida del domani è redistributivo. Bisogna dotarsi di meccanismi che impediscano l'eccessiva accumulazione di reddito e patrimonio in una ristretta parte della popolazione. Una politica suicida che è stato uno dei fattori determinanti della propagazione della crisi e della difficoltà di affrontarla. È una lezione che dobbiamo tenere ben presente noi meridionali che abbiamo sprecato enormi risorse nel tentativo di provocare la nascita di un modello di sviluppo in grado di assicurare un futuro ai nostri figli. E abbiamo fallito e oggi dobbiamo fare in conti con le difficoltà che incontrano i nostri giovani a trovare una speranza, una occasione di costruire il proprio futuro. La gravità della crisi che ci ha colpito ci ha obbligato a riflettere e rimettere i piedi per terra. Bisogna ricominciare dai piccoli progetti, dalle realtà concrete legate al territorio e alle sue risorse, al patrimonio umano che rischia di disperdersi, mentre si ha un disperato bisogno di creare una società funzionante in grado di dare una risposta ai suoi bisogni. Il decadimento anagrafico che dovrebbe essere un indice del benessere di una comunità, viene considerata una catastrofe poiché non siamo più in grado di mettere in moto i meccanismi economici. L'obiettivo non è di una crescita senza confini che produca una ricchezza concentrata su di una minoranza della popolazione, mentre il resto è costretta a confrontarsi con una realtà di povertà e di miseria. Deodat Dolomieu in una sua relazione sul terribile terremoto che ha colpì la Calabria nel 1783: “La maggior parte degli agricoltori si trovavano in aperta campagna, all'arrivo della prima scossa del 5 febbraio; essi accorsero subito nelle città ancora fumanti per la polvere, alzatasi per la loro caduta: se ne vennero non per portare soccorso, alcun sentimento di umanità non si dimostrò in essi in queste circostanze terribili, ma accorsero per saccheggiare”. Un comportamento aberrante provocato dalle condizioni di abiezione in cui erano costretti a vivere. Se non si vuole ripercorre quel cammino di degrado economico e morale, occorre riscoprire il valore della solidarietà, della equità sociale: l'obiettivo dello Stato non è di efficienza ed economicità, ma soprattutto di equità economica e sociale. L'idea dello stato-azienda non ha migliorato l'efficienza dei servizi pubblici e ha provocato un disastroso incremento della disparità sociale. La preoccupazione fondamentale della società non è di natura economicistico, ma distributivo: assicurare a tutti un livello di benessere che consenta a ciascuna individuo di diventare un cittadino consapevole.

Una risposta può venire dal microcredito, aiuti di piccola entità, ma in grado di dare un aiuto concreto ai giovani per costruirsi un proprio futuro, guardandosi intorno alla ricerca delle opportunità offerte dai bisogni inevasi della società, o al proprio interno cercando di mettere a frutto il bagaglio di conoscenze che ha accumulato nel suo processo formativo. Una causa non secondaria del nostro malessere è proprio quella di sprecare il più importante e significativo investimento delle nostre famiglie che si svenano per dare una istruzione universitaria ai propri figli, e questo immenso patrimonio umano viene sprecato e destinato altrove, dove produce ricchezza e contribuisce al rafforzamento dei nostri potenziali concorrenti. Soprattutto il Brasile e la Cina sono affamati di personale qualificato e rappresentano la nuova frontiera per i giovani di domani.

Nella sala Cardona della BCC Mediocrati si è tenuto un seminario di studio organizzato dai responsabili di un progetto PON per il “Monitoraggio e valutazione del microcredito e della Microfinanza” al quale ha partecipato anche l'Ente Nazionale per il Microcredito e finanziato dalla regione Calabria e dalla Fincalabra.

La BCC Mediocrati non si è limitata a offrire la sua ospitalità, la sua struttura e l'efficiente organizzazione, ma ha illustrato la sua attività in questo settore molto innovativo ma con radici antiche. La stessa nascita del sistema cooperativo e mutualistico è legata alla volontà di dare un sostegno e un contributo alle parti più deboli della società per sostenere lo sviluppo e impedire la diffusione della piaga dell'usura.

Federico Bria ha fornito una panoramica degli interventi della Banca nel settore, a cominciare dal primo esperimento che risale ormai a qualche anno fa con il programma “Io voglio restare”, trasformato nell'anno successivo nel progetto “Il seminatore”, per far risaltare maggiormente la volontà di voler finanziare i piccoli semi, le idee piuttosto che le fantasie megalomani e un tentativo di sostenere dare ai giovani l'opportunità di poterli realizzare.

La valutazione più attenta è sulla fattibilità concreta dell'idea, per evitare la tentazione del volo di Icaro, avvicinatosi troppo al sole da sciogliere le sue ali e precipitare nel mare. Tanti progetti, tanti programmi sono miseramente falliti per il senso di onnipotenza, per la mania di grandezza, per l'utopia commerciale che accompagnava la redazione del “business plan”, un libro dei sogni di cui nessuno si preoccupava di verificarne l'attendibilità. Lo stesso concetto del cadeau, del regalo insito nel “fondo perduto”, ha prodotto molti più guasti etico-morali dei vantaggi che ne sono conseguiti: in realtà si è trattato di un fallimento totale. È sufficiente ricordare l'esperienza della legge 44, che concedeva ai giovani senza alcun esperienza, enormi quantità di denaro per realizzare mega progetti dei quali non ne è sopravvissuto nessuno, vittime della megalomania e del mercato, che si è dimostrato molto più selettivo delle commissioni incaricate di valutare progetti. E si trattava di progetti di importi molto rilevanti, che hanno prodotto un enorme spreco di risorse finanziario, di risorse ambientatali. Soprattutto hanno distrutto la speranza di poter provocare uno sviluppo industriale della Calabria.

Con il microcredito si ritorna con i piedi per terra sia per la dimensione dei progetti che devono essere espressione della capacità creativa dei proponenti e non una costruzione sui tavoli dei consulenti, consentire una crescita graduale senza salti nel buoi sia di carattere industriale che organizzativo, e soprattutto essere sottoposti all'alea d'impresa. Una crescita graduale e l'impegno della restituzione del capitale ricevuto in prestito costituiscono un incentivo e uno stimolo per crescere e assicurare un futuro all'iniziativa. Gli importi possono sembrare limitati e limitanti, poiché si parla di “pochi spiccioli” - dai dieci ai quaranta mila euro - se valutati con la lente deformante dei mega progetti d'antan, ma hanno il sapore della genuinità, il profumo della freschezza dei giovani che si propongono, la fragranza di una speranza ritrovata.

L'utilizzo del microcredito può essere utilizzato con un approccio assistenziale venendo in soccorso delle famiglie attanagliate dalla crisi o per lo sviluppo, finanziando le piccole attività produttive proposte dai giovani aspiranti imprenditori. Le banche non possono che concentrarsi in misura molto maggiore sul secondo aspetto, mentre vi sono associazioni filantropiche – molte di ispirazione religiosa – che dedicano la propria attività al sostegno delle famiglie, come L'Ufficio Pastorale per i Problemi Sociali ed il Lavoro della Diocesi di Cosenza.

È stato interessante il racconto delle esperienze di quattro dei protagonisti che hanno potuto fruire di questa opportunità. Il giovane barbuto fumettista che è riuscito a concretizzare il suo sogno di trasformarsi in un venditore di favole illustrate, di racconti fantastici investendo nella propria capacità inventiva, ritornando nella propria terra dopo un soggiorno uggioso (ma fruttuoso, perché ricco di stimoli e di esperienze) milanese. La giovane coppia che dopo aver perso il lavoro si rimboccata le maniche è ha puntato sulla vecchia trattoria, dove offre piatti tradizionali realizzati, conditi e innaffiati con prodotti locali, realizzati giorno dopo giorno, premiati da un lento ma costante aumento di aficionados che assicurano una crescita costante e la possibilità di poter pensare positivo. Il commerciante di pane che ha avuto l'opportunità di trasformare la propria attività in un laboratorio per la produzione di prodotti da forno di qualsiasi specie, dal pane al dolce, alla pizza.

La extra-comunitaria dal sorriso solare che ha puntato sui servizi alla famiglia, con la creazione di una stireria, ritiro e consegna a domicilio.

Piccole attività, ma che costituiscono un inizio. Dal racconto di queste esperienze e da un primo bilancio di queste iniziative della BCC Mediocrati, Federico Bria ha tratto valutazioni molto significative che incoraggiano a proseguire sulla strada del possibile, sostenendo gli sforzi di quanti vogliano cimentarsi con il rischio d'impresa senza voler rincorrere illusorie chimere. Mancano ancora iniziative con un elevato tasso di innovazione: lo spin-off prodotto dall'attività di ricerca universitaria stenta a manifestarsi. Non vi è alcun dubbio però che lo strumento del microcredito costituisce l'approccio giusto per creare un tessuto di piccole e medie imprese che possano generare l'humus idoneo per l'inseminazione di attività imprenditoriali innovative.

Altrettanto entusiasta la testimonianza di Sergio Capone della Fincalabria, che ha voluto sottolineare l'impatto positivo che ha prodotto questo nuovo approccio agli incentivi allo sviluppo.

Questa piccola rivoluzione è possibile solo per l'esistenza della piccole banche, delle banche locali strettamente legate al territorio che mantengono uno stretto legame personale con le famiglie e gli aspiranti imprenditori e possono applicare un approccio meno asettico e più umano nella valutazione del merito creditizio. Sotto questo profilo le BCC e le Banche popolare rappresentano un patrimonio inestimabile per il grande ruolo che possono giocare sul territorio e andrebbero difese strenuamente poiché appare molto difficile colmare i vuoti che si creano con la scomparsa di qualcuna di esse.

Le grandi banche hanno un difetto insito nel loro gigantismo che gli impedisce di poter leggere adeguatamente i bisogni del territorio, e, passato l'euforia della grande illusione finanziaria, si trovano nella difficoltà di dover ripensare il loro ruolo e reinventarsi il loro modus operandi.

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