Il circo magico

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 15 del 14/03/2012


Rende, 13/04/2012


Gli odiati terrun becchini della Padania

Alla squagliata di la nivi, si vidanu li strunzi. La grande dirigenza leghista messa a nudo: una massa di incapaci ed incompetenti raggirati da un manipolo di truffatori da quattro soldi. Mentre il “Boss” denigrava il Sud, faceva affari con la sua parte peggiore …


Il più ineffabile di tutti è proprio lui, il grande Roberto, il futuro leader della “Lega Ladrona”. Prima di arrivare al futuro, sarebbe forse necessario un piccolo sguardo indietro e ricordarselo seduto sulla scrivania del Vicinale, con il fazzoletto verde nel taschino, declinare i successi nella lotta alla criminalità organizzata. Non erano risultati conseguiti a seguito di una sua azione politica, o di una legislazione particolarmente efficace per combattere il fenomeno delinquenziale considerato oggi la più potente dell’Italia e non solo. Si trattava di uno sforzo della magistratura e delle forze dell'ordine che hanno potuto agire indisturbate, proprie per l'assenza di una politica forte ed invadente (e probabilmente incapace di prendere provvedimenti seri essendo in tutt’altre faccende affaccendata). Come sempre vige nel nostro Paese vige il paradosso del calabrone: continua a volare a dispetto di qualsiasi legge fisica, così il loro lodevole sforzo congiunto è riuscita a superare anche lo steccato e puntare al cuore del potere leghista. Le nostre istituzioni hanno continuato a funzionare a dispetto di una classe dirigente raccogliticcia e priva di qualsiasi cultura di governo.

Lo ricordiamo, il Roberto, Ministro degli Interni, guatare attonito la platea di un cinema reggino ed esclamare che poteva finalmente raccontare ai suoi padani che in Calabria esistono anche persone oneste. Anche! In seguito, ha forse dimenticato quella lezione di vita. Non si è accorto del genere di frequentazioni della dirigenza tutta del suo celtico movimento.

Loro non erano scesi in Terronia e non sono riusciti ad operare questa sottile distinzione, individuare lo steccato che in Calabria divide la società civile dalla criminalità organizzata. Si sono sperduti in una serie di inestricabili labirinti, da cui non riescono più ad uscire. Un castello kafkiano abitato da strani personaggi, fantasmi evocati nei torrenziali comizi di Pontida che si sono materializzati negli strani personaggi che ritroviamo nelle inchieste che piovono da ogni parte d’Italia. Una primavera “verde” da incorniciare per noi destinatari degli amabili pernacchi leghisti. I nostri gli stavano al fianco, pronti ad applaudire i deliranti discorsi, per riprendere subito dopo il loro losco cammino nell’ombroso bosco degli affari.

Ah! Il grande dio Eridanio non li ha protetti. La sacra ampolla del Po era finita nelle dissacranti mani di Checco Zalone, che l’aveva profanata scambiando la pura acqua raccolta a Pian del Re con un maleodorante liquido giallo. Lui, il potente decennale guardasigilli se l’è ritrovata in casa la criminalità, senza che se ne abbia avuto il menomo sentore. Povera anima candida. Non aveva strumenti per accorgersi cosa stava succedendo nel suo loft.

Con chi prendersela per questo dannato complotto? Il male se lo sono fatti da soli con la selezione di una improbabile classe dirigente. Burattini in mano a un burattinaio diventato a un certo punto incapace di controllare chicchessia e chicchecosa, ma investito di alte cariche istituzionali, di altisonanti ruoli religiosi come onnipotente capo dei druidi. Nel mentre “the family” intingeva un dito nella marmellata, prima timidamente e poi prendendosi tutto il barattolo tanto era “cosa nostra”. Una coschetta familiare. Ora il “Boss” piange addolorato per le marachelle dei propri rampolli. Piangono lacrime molto più amare le tante famiglie ridotte sul lastrico da un ventennio di governo di Alì Baba e i suoi quaranta ladroni.

Che stupenda genia ci ha regalato la Lega! Prendiamo l’altro superbo Roberto, uno dei triumviri della rinascita dell’orgoglio padano: il più grande costituzionalista d’Italia, autore di una memorabile legge elettorale, inceneritore di quintali di leggi inutili, dissacratore dell'Islam. Un superbo esemplare padano buono per tutte le salse, pronto a riempire i vuoti, un tuttologo disponibile a risolvere qualsiasi faccenda anche la più intricata. Per puro caso si ritrova con le mani sporche di marmellata. Un altro complotto per eliminare lui: l’Incorruttibile, sempre rubizzo di fresche bevute. Lui aveva fatto le cose per benino. Si era preso un consulente coi fiocchi, un quasi avvocato reggino mai abilitatosi all’esercizio della professione, quel Bruno Mafrici, che diventa purtuttavia “avvocato presso il Ministero per la Semplificazione Normativa”. Un ruolo che gli calzava a pennello, per la sua abilità di semplificare bandi e concorsi e addivenire ad una rapida conclusione di lauti affari per le famiglie. Nello stesso ministero si aggirava il suo compare Francesco, di cui si dirà a breve.

E poi la Rosy! La conturbante levantina vicepresidente del Senato, dalla nera e fluente chioma. Sarà giusto che sia lei a pagare, povera gallina spennacchiata senza più l’alta protezione druidica? Paga perché donna, perché terrona? Domande che non trovano una facile risposta, ma sollecitano altri interrogativi. Come è ascesa allo scranno del Senato una persona senza arte né parte partendo da San Pietro Vernotico, in quel di Brindisi? Com'è riuscita a prendere il treno padano per Palazzo Madama? Quali sono state le sue occulte qualità? Perché è stata scelta una che si auto proclama ignorante, la più somara della classe, ed incompetente a ricoprire una delle più alte cariche dello Stato? Chi gli ha consentito di infangare per tutto questo tempo il nostro nome e la nostra dignità? Rimarrà negli annali della Repubblica la sua impeccabile gestione dell'aula in occasione dell'approvazione della legge Gelmini. L'alto consesso finalmente ridotto a bivacco di manipoli.

Per non parlare di tutti quegli altri incapaci ed incompetenti che hanno occupato lo Stato e di cui abbiamo dovuto sorbirci gli edificanti sermoni al limite tra il razzismo e l’idiozia in tutti questi anni. Il loro ruolo diventa fondamentale in questa storia. Utilizzati e manipolati come fantocci, comprati per trenta denari, pronti a vendere appalti e favori. Il sistema di selezione e di scelta non premia i più capaci, gli intelligenti, i competenti o i militanti di lungo corso. Premia moglie, figli, amanti, ruffiani, escort, mediatori che fanno parte del cerchio magico del privilegio.

Da questo brodo di coltura nasce il nostro Francesco Belsito, che trova pronta un'autostrada per arrivare da autista di Alfredo Biondi a “Chancellor of the Exchequer” della nobile Lega Padana fino a diventare sottosegretario potente, invidiato, onorato, protetto dal “Boss”. La sua storia è esemplare per illustrare il sistema di potere familistico amorale, clanico e tribale con cui è stato costruito il teorema leghista, che si pasce delle cazzate più immonde per parlare alla pancia del suo elettorato.

Tentiamo di compilare una sorta di catalogo degli orrori a cui stiamo assistendo sempre più attoniti e quasi increduli. Una serie di inchieste tentacolari che stringono in una terribile morsa tutto il sistema di potere leghista costruito in tutti questi anni coprendolo dal fango meridionale.

E poi quel avvocato dalla ciancia facile, che avvocato non è, ma assurge ad avvocato di Stato. Un baldo giovanotto ricco di spregiudicatezza e buone entrature che gli consentono di operare la saldatura tra Nord e Sud, tra il capitale in cerca di investimenti sicuri e il mondo produttivo che offre opportunità redditizie. O l'improbabile Lino, “guaglionone” di San Sosti, “universitàs” in terra bruzia. Personaggi meritevoli di entrare nella saga dei Sopranos, che infinocchiano una classe dirigente che ce l’aveva duro, ma al momento opportuno se lo sono ritrovato flaccido e moscio.

Il primo mistero glorioso riguarda il partito, o il movimento che dir si voglia: una creatura ibrida che voleva coniugare la politica con l’antipolitica, il governo e l’opposizione, il centralismo e la “devoluscion”, la nobilitazione della rozzezza e dell’incultura e la compravendita dei titoli di studio per nascondere l’ignoranza dietro un pezzo di carta comprata in Svizzera a spese dei contribuenti italiani. Il partito brevettato, una creatura personale che nasce e vive per il carisma del Capo, che ha lo “ius vitae necisque” sui suoi sudditi, senza alcun bisogno di un sistema democratico di elezione: investito nella carica per acclamazione “usque ad consummationem seculi”.

Si mette giustamente in rilievo l’assurdità di un sistema di finanziamento che consente speculazioni finanziari, arricchimenti personali, accumulazione di patrimoni al di fuori di qualsiasi regolamentazione e controllo. Si parla di rimborsi, senza che vi sia alcun obbligo di documentare la spesa, trasformandoli di fatto in gentili elargizioni a disposizione del “partito”. In realtà quei soldi entrano nella piena disponibilità di una banda, che li utilizza in maniera del tutto discrezionale. In questo tutti i partiti si somigliano, perchè tutti sono organizzati per acciuffare il malloppo.

Chiunque abbia militato in un partito in una qualsiasi periferia del “Regno repubblicano” conosce molto bene in quali difficoltà ci si dibatte per pagare una sede, la luce, il telefono o le spese di condominio, mentre persino gli introiti delle tessere vengono spediti a questo mostruoso centro che tutto ingoia senza dare niente in cambio. Non siamo di fronte a un finanziamento pubblico dei partiti e delle loro strutture periferiche che garantiscono la partecipazione democratica dei cittadini elettori, ma del finanziamento ad una casta autoreferenziale, ad una oligarchia politica, ad un insieme di bande che hanno occupato lo Stato a proprio esclusivo vantaggio. Sarebbe sufficiente distribuire quegli stessi fondi alle strutture territoriali sulla base della loro rappresentatività misurata in base al numero degli iscritti per stravolgere il significato e l’efficacia del finanziamento e avvicinarsi allo spirito costituzionale.

Tutti i partiti hanno smantellato le loro fastidiose reti territoriali, fonti di ingenerose critiche e pullulanti di richieste di cambiamento. Si sono blindati nei bunker, hanno centralizzato le strutture, le decisioni, la rappresentanza eliminando gli stessi organi periferici che non sono espressione del territorio, ma rappresentanti della casta. La loro legittimazione nasce dall’atto di investitura ricevuta dall’alto, dall’unzione del capo. Alcuni di questi pseudo partiti che tradiscono il dettato costituzionale dell’art. 49, sono oggetti proprietari dei loro leader, come la Lega Nord, il Pdl o l’Idv, altri cercano una legittimazione nei congressi pilotati o nella coglionetta delle primarie, svolte al di fuori e al di là di qualsiasi regola.

Il secondo orrore che emerge dalla numerose inchieste è l'uso personale e spregiudicato dell'officium, della propria carica. Ognuno si sente autorizzato a confondere il pubblico con il privato, o piuttosto a considerarlo come bene a esclusivo uso personale. Tanti, troppi dei rappresentanti leghisti nelle istituzioni e nelle grandi aziende pubbliche si sono dimostrati disponibili a concludere affari, aggiustare gare ed appalti, favorire acquisizioni societarie. La ‘ndrangheta calabrese aveva trovato il suo canale privilegiato per tessere la sua tela e costruire una “economia criminale” legalizzata utilizzando la potente rete padana, saldamente insediata nel potere politico, economico e finanziario. I metodi sono quelli di sempre, consolidati ed inossidabili: sesso e denaro per piegare la flebile resistenza di questa verde, swinging classe dirigente.

Il terzo mistero glorioso è l’essere diventata una base sperimentale per il riciclaggio dei proventi mafiosi. Se ne sono accorti persino in Tanzania, dove hanno rifiutato i milioni di euro leghisti perché sospetti. Il primo esperimento è stato rovinoso, nonostante potesse far affidamento su di una expertise di tutto rispetto, e dei preziosi consigli dell’onnipotente superministro per l’economia, il “divo Giulio II”.

Tanzania, Cipro, Norvegia: prove tecniche di “money laundering”, in attesa di piazzare i colpi da maestro. Bisognava trovare un canale per consentire il deflusso di un fiume in piena con i proventi del traffico di stupefacenti. Come il Nilo, lasciava sulle sue rive un humus limaccioso per i ricchi raccolti degli esponenti leghisti.

Nella Napoli aragonese quando un banchiere falliva si recava davanti al Tribunale a Porta Capuana, si abbassava i pantaloni sedendosi su una pietra posta davanti al monumentale portone. Come si diceva allora, e si continua a dire oggi, era col culo per terra.

Forse sarebbe il caso che i tronfi esponenti leghisti riprendessero quel rito, lì su a Pian del Re per pulire le proprie vergogne tra le gelide e purificatrici acque eridane. Non è sufficiente qualche pudica espulsione per rifarsi una verginità.


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