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Mezzoeuro

Tommaso Ortale, un eroe per caso?

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 27 del 7/06/2012


Rende, 2/07/2012


Avvocato del Foro di Cosenza

Scelto come avvocato di ufficio nel processo ai fratelli Bandiera divenne un punto di riferimento dei carbonari, chiamato a presiedere il Circolo Nazionale sorto dopo i disordini del 1848

Scrive Eugenio Arnoni: “Tommaso Ortale onore e lume del foro cosentino, ornamento e vanto della Calabria, avvocato principe del secolo presente, nacque il 2 luglio 1802 da Stefano e Fiorita Arcuri, e moriva esule in Genova il 31 luglio 1854”. Egli era nato a Marzi, una universitas associata al comune di Rogliano, che per tale ragione viene spesso indicata come sua città natale.

Era un giovane e valente studioso del diritto, tanto che non ancora ventenne ingaggiò una battaglia legale contro l'intendente di Cosenza, Nicola De Mattheis, il quale sosteneva che la famiglia Ortale aveva attivamente partecipato ai moti del 1820-21, e che fosse il punto di riferimento dei rivoltosi. Tommaso Ortale riuscì a impedire la confisca dei beni minacciata dall'intendente e, secondo la vulgata popolare, lo fece trasferire ad altro incarico.

Fratelli BandieraPer completare la sua preparazione giuridica si trasferì a Cosenza presso lo studio dell'avvocato Cesare Marini, considerato il principe del Foro della città bruzia. L'avv. Cesare Marini si era formato nel Collegio di Sant'Adriano a San Demetrio Corone, considerato la “fucina del diavolo” dai borboniani poiché era il più importante centro di formazione della cultura liberale e progressista.

A Cosenza egli si associò ai Circoli insurrezionalisti e massonici, dove aveva occasione di incontrare la borghesia e la nobiltà illuminata della provincia.

Quando il 18 giugno del 1844 i fratelli Emilio ed Attilio Bandiera sbarcarono in Calabria sulla base di imprecise informazioni sulla rivolta verificatasi nella provincia di Cosenza nel marzo già repressa nel sangue, fu nominata una apposita commissione militare presieduta dal maggiore Flores, per giudicarli. Come avvocati difensori furono nominati d'ufficio tre componenti dello studio Marini, insieme all'avvocato Cesare, Gaetano Bova e Tommaso Ortale. Essi non si limitarono a una partecipazione passiva, ma cercarono con ogni mezzo di evitare ai propri assistiti la pena capitale, ben consci che il loro destino era segnato poiché il re chiedeva una punizione esemplare.

Per mitigare la condanna consigliarono ad Attilio Bandiera di scrivere al sovrano augurandogli di poter unificare la penisola sotto il suo regno, e dichiarando la sua disponibilità a partecipare a qualsiasi atto di guerra contro l'Austria per tale scopo. La linea difensiva non produsse alcun effetto poiché venne considerata un atto di debolezza da parte del collegio giudicante, un cedimento morale da parte dei liberali e una proposta irreale ed irrealizzabile da parte del re.

Tommaso Ortale fu coinvolto molto emotivamente nel processo intessendo un rapporto umano e culturale con gli accusati nel breve spazio di tempo in cui durò il procedimento, considerato che il 25 luglio dello stesso anno, poco più di un mese dopo lo sbarco, essi furono fucilati nel vallone di Rovito, come dimostra l'episodio dell'orologio.

Il domestico di Attilio Bandiera, all'atto della cattura, era riuscito a nascondere un orologio d'oro e questi si premurò di disporre che fosse venduto per dare assistenza ai detenuti che restavano in carcere. “Vendetelo e quel denaro che se ne trarrà siatemi cortesi da darne un tanto a quei poveretti i quali ora difetteranno di tutto”. E l'orologio poi fu premurosamente comprato per lire 271:99 dall'egregio cittadino Tommaso Ortale per tenerlo qual carissimo pegno di ammirazione e di amore; e della somma venne pur fatto l'uso disposto. Questo il racconto di Alessandro Conflenti, il quale ha scritto un voluminoso libro sulla vicenda dei fratelli Bandiera.

FucilazioneIl processo dei fratelli Bandiera costituì un momento decisivo nella vita di Tommaso Ortale il quale ebbe modo di toccare con mano la ferocia della repressione borbonica, chiusa ad ogni istanza innovatrice e solo preoccupata di conservare il potere con la violenza. Qualche giorno prima, l'undici luglio, erano stati fucilati cinque dei rivoltosi calabresi (Raffaele Camodeca, Sante Cesareo, Nicola Corigliano, Giuseppe Franzese, Antonio Raho e Pietro Villacci). Non è escluso che l'arrivo del piccolo drappello dei Bandiera abbia convinto il governo ad agire con maggiore severità e impedito che tutte e diciannove condanne alla pena capitale fossero commutate in detenzione: la clemenza del re si limitò a ridurne il numero a sei, prontamente eseguite.

Un bagno di sangue che impresse una forte accelerazione alla crescita del movimento democratico della borghesia cosentina, resa più diffidente e vigile, ma sempre più convinta dell'impossibilità di modernizzare lo stato con i Borboni. Questa propensione rivoluzionaria si rese evidente nel 1848, quando tutta l'Europa fu scossa da movimenti di rivolta che minavano nel profondo il mondo di assolutismo monarchico creato con la Restaurazione del 1815. Tommaso Ortale rinforzò la sua fede liberale e fu uno dei protagonisti della nuova stagione politica, con un ruolo di primo piano per la notorietà acquisita per il patrocinio legale dei fratelli Bandiera.

Per una ricostruzione sommaria degli avvenimenti di quell'anno eccezionale, seguiamo la ricostruzione degli eventi fatta da Luigi Corapi, Procuratore Generale del Re presso la Gran Corte Criminale e Speciale, nell' “Atto di accusa e decisione per gli avvenimenti politici della Calabria Citeriore”, un testimone di sicura fede realista.

“Era il dì 1° febbraio 1848 allorchè pubblicavasi in questo capoluogo l'atto sovrano del 29 gennaio con cui il Re, N. S. , concedendo la costituzione ne fissava le basi. Funesto avvenimento! Desso non servì che a sbrigliare le più strane ed impure tendenze; non servì che di pretesto alle più enormi criminosità. Viva ed estrema esultanza invase ben tosto gli animi de' novatori, e quei tra loro che inemendati dalla pena o dalla latitanza andavano nei giorni innanzi di accordo per nuove sedizioni, riferivano a merito le durate pruove ed a queste l'immunità del servaggio e le conseguenti franchigie. In particolare Cesare De Bonis, reduce da Napoli in Scalea sua patria, spacciava pubblicamente che usando il suo petto alla bocca de' cannoni per forzare il Tiranno allo Statuto. E quel P. Orioli Domenicano con in mano il vessillo tricolore, spaventosi gridi di ribellione andava per le strade di questo capoluogo in mezzo alla calca levando”.

La tragica fine dei rivoltosi e dei fratelli Bandiera aveva fortemente scosso l'Ortale, soprattutto perché non si era neanche potuto rendere sepoltura alle salme. Il nuovo vento di democratizzazione diede spunto per compiere questo pietoso rito nel quarto anniversario della loro morte e rinsaldare nello stesso tempo la fede rivoluzionaria. Scrive il procuratore Corapi: “A rendere più allettevole la rivolta sotto il manto della religione, autori il ripetuto Ortale, nonché Pasquale Alessio Palmieri ora estinto, Pasquale Mauro, Francesco Valentini, Achille Conforti e Nicola Lepiane, celebravansi solenni funerali per coloro che erano caduti in conflitto o furono giustiziati per gli avvenimenti del 1844. Predicandosi martiri, se ne facevano disotterrare gli avanzi che con pompa grandissima erano portati nel 15 marzo nella Cattedrale di questa città; ove per tre giorni si ripetevano le mortuarie salmodie frammiste ai più assurdi profani elogi di oratori, tra quali primeggiando il frate domenicano Oriali, ebbe a trascorrere in invettive contro il governo ed in oltraggiosi detti contro il re (N.S.). Ed in altri rincontri reiterandosi le profanazioni nella casa del Signore, fu udito dai sacri pergami nella medesima basilica a declamare la sedizione tra gli altri un Biagio Miraglia da Strongoli con la giberna addosso ed il cappello sul capo”.

E' un mese denso di avvenimenti quello della metà maggio metà giugno del '48 a Cosenza, durante il quale i massoni della città fondano il Circolo Nazionale con Tommaso Ortale, Domenico Mauro, Federico Anastasio, Francesco Federici, Biagio Miraglia, Pietro Salfi. A Castrovillari svolge regolarmente i suoi Lavori la Loggia "Lagana", con il sacerdote Raffaele Salerno, Muzio Pace, Carlo Maria Loccaso, mentre altre Logge e nuclei massonici lavorano a S. Demetrio Corone, a Lungro, a Spezzano Albanese, a S. Lorenzo, a Saracena, a Cassano, ad Amendolara, a Diamante e a Paola.

Nell'atto di accusa viene illustrato il ruolo dell'Ortale negli episodi di rivolta. “Tra quelli che in Calabria Citra, di depravata condotta per lo passato, portavano fama di perturbatori, e sin dal principio del calamitoso anno 1848 attivissima parte sostennero nelle svariate reità di Stato, non abbastanza rimpiante, sono notevoli: Domenico Mauro di San Demetrio Corone, Giovanni Mosciari di S. Benedetto Ullano, Pietro Salfi e Domenico Furgiule di Cosenza e Tommaso Ortale di Marzi, domiciliato in questo capoluogo, ov'esercitava la professione di avvocato. Di questi fu detto che unitamente ad altri di questa città corrispondendo co' ribelli di Reggio e di Sicilia aveasi da costoro, avuto più migliaia per ingrossare in queste contrade la fazione”.

“Pubblicavasi nel corso del ridetto mese di marzo la legge provvisoria per la organizzazione della Guardia Cittadina, ed il Circolo Nazionale di questo capoluogo la metteva ad esame. Arringavano specialmente contro la stessa Mauro ed Ortale, ed il primo gridando diceva: “bisogna ricorrere alle armi e basteranno le tre Calabrie per fare stare a dovere il re tiranno”. In aperta ribellione contro il potere esecutivo veniva la legge rigettata, e formata apposita circolare che in istampa era diramata per tutta la provincia”.

“Raccoltisi di poi in questa medesima città, nel caffè così detto a due porte, in maggior numero i faziosi, a capo de' quali Tommaso Ortale, procedevano di propria autorità alla istallazione della Guardia Nazionale, e vi alzavano comandante l'Ortale medesimo.

Marzi, Piazza Ortale“Conferendo Ortale nello stesso giorno cariche ed impieghi nominava cappellano di quella forza cittadina l'effervescente cappuccino, rotto ad ogni vizio, P. Luigi Mauro da Luogorotondo ora estinto; ed aiutante di piazza Giacinto Spadafora (compreso nel rescritto di grazia de' 24 aprile 1850) cui vestiva di soprabito verde ed armava di lunga sciabla. Intervenivano quindi a banchetto in casa di lui quel frate, Giuseppe Mazzei, Pasquale Mauro ed altri”.

“Non guari dopo la promulgazione del Governo Costituzionale, fatta sede questa città de' più violenti faziosi, vi era istituita un così detto Circolo Nazionale. Se ne divulgava per le stampe lo Statuto, e per esso il fine sovversivo nelle frasi di sicurezza, di ammendamento, o di difetti e di svolgimento delle raggiunti istituzioni, ed anche nella parola magica di progresso. Il designarsi poi il numero de' soci, lo squittinio segreto su le qualità richieste per esservi ammesso, le straordinarie adunanze in caso di urgenza, la corrispondenza con i circoli della capitale e di altri luoghi, il pagamento di talune prestazioni, la destinazione del cassiere per raccoglierle ed altre erano circostanze assai gravi per qualificar settaria la riunione”.

“La componevano oltre di Tommaso Ortale che c'era il presidente, Tommaso Cosentini, Pasquale Alessio Palmieri ora trapassato, Federico Anastasio, Francesco Valentini, Domenico Furgiuele, Stanislao Lupinacci, Francesco Federici, Francesco De Simone, Michele Collice, Biagio Miraglia, Giulio Medaglia, Luigi Micieli, Domenico Campagna, Domenico Parise, Pietro Salfi, Carlo Campagna, Nicola Lepiane, Gioacchino Gaudio, Pasquale Mauro, Bruno De Simone, Luigi Gervasi, Bruno Renzelli, Rocco Gatti, Luigi Mazzei, Francesco Renzelli, Raffaele Valentini, ed altri. E venuto in Cosenza Domenico Mauro nel mese di marzo era chiamato pur egli a farne parte".

Nella citata sentenza, il procuratore descrive con dovizia di particolari, la cerimonia di iniziazione al Circolo e le principali regole di comportamento degli associati per dimostrare il carattere eversivo dell'attività svolta dagli affiliati. "Ad opera dei mentovati Ortale e Mauro, fondavansi in altri comuni della provincia consimili associazioni. Empie erano le liturgie nell'associazione di qualche nuovo settario. Vestito il Sommo sacerdote di stola nera al pari di altri due sacerdoti assistenti gli deferivano il giuramento che prestavasi tenendosi infisso un pugnale sul sacro costato del Crocifisso a bella posta con un messale sur una panca apparecchiato, dandosi fedi di vincere o morire, di distruggere la dinastia borbonica, di migliorare la costituzione fino all'ultimo sangue, di difendere le Calabrie. Promettendosi di più sotto pena esemplare la inviolabilità del segreto, il sommo sacerdote non mancava istruire gl'iniziati della esistenza di un Consiglio di quaranta giudici chiamato a punire i trasgressori. Un tal Laurito sol per avere con dispregio osato parlare de' loro colpevoli adunamenti e degl'interventori, veniva da Domenico Principe e da altro settario sottoposto a maltrattamenti e per ventiquattro ore agli arresti. Avevano un catechismo scritto; ed i componenti obbligati alle largizioni, erano in prima apparati de' segni convenzionali sia per farsi riconoscere da socii, sia per altre bisogne, non che della denominazione della setta cui appartenevano”.

Infatti oltre del sedizioso Circolo Nazionale osservavansi in questa città delle segrete riunioni che annunziavano alcun che di più criminoso del Circolo stesso. Desse avean luogo in casa Ortale, ed erano conosciuti sediziosi coloro che vi erano ammessi. Tra molti si numeravano Pasquale Mauro, Pietro Salfi, Francesco Valentini, Giuseppe Mazzei, Bruno e Francesco Renzelli, Giulio Medaglia ed anco Tommaso Cosentini che da Intendente era stato dalla reale munificenza chiamato al governo di questa provincia. Ed a questi conciliaboli non poneva piede senza intelligenza, in guisa che sorgeva l'adagio “che i due Tommasi aveano cagionato la rovina della provincia medesima”. Dalle enunciate arcane riunioni aveano origine, giusta è stato deposto, tutti i disordini e si preparava alla ribellione.

Nel frattempo si tennero le elezioni per eleggere i deputati, che risultarono in maggioranza progressisti, i quali spingevano per una immediata riforma della costituzione con l'introduzione di elementi di maggiore democratizzazione rispetto al testo approvato dal re. Questo provocò un aspro conflitto che si estese rapidamente nelle piazze provocando l'immediato scioglimento del neonato organismo, che si riunì per un solo giorno.

A deputati furono pur nominati per questa Citeriore Calabria Ortale, Raffaele Valentini, Muzio Pace e i fratelli Pasquale e Giuseppe Mauro.

Orgoglioso il Mauro compariva in San Demetrio sua patria e vi era accolto tra spari ed applausi dai convittori del Collegio Italo-greco che a rettore si avevano Antonio Marchianò settatore e divulgatore degli infernali disegni di rivolta. Ivi animoso ei diceva che non concedendo il nostro sovrano la Costituente, sarebbe al pari di Luigi Filippo espulso, ed in ogni triennio un Re elettivo sarebbesi avuto.

Moti 1848Il Corapi così ricostruisce quegli avvenimenti. E di vero fissata pel giorno 15 maggio la solenne apertura delle Camere legislative; moveva alquanti giorni pria per alla volta della capitale co' deputati Mauro ed Ortale numeroso stuolo di sediziosi, tra cui Giovanni Mosciari, Pietro Salfi, Biagio Miraglia, Giulio Medaglia, Francesco Valentini, P. Raffaele Oriolo, Luigi Gervasi, Bruno De Simone, Francesco Renzelli, Giuseppe Mazzei, Gaetano e Pietro Roberti, Luigi Mazzei, Gabriele Gatti e Lelio Gatti. Armati quasi tutti di schioppi a due canne arrivavano in Paola; e dopo segreti abboccamenti con Valitutti, La Costa ed altri di quel comune, nel momento dell'imbarco il Giovanni Mosciari imbrandiva un pugnale, e come ne corse la fama, severo così giurava contro la sacra persona del re (D.G.) “con questo gli andrò a trafiggere il cuore”.

Dato impulso ed azione nel 15 maggio in Napoli al vasto piano cospirativo, la fazione veniva tra poche ore sconfitta. Ma quei perfidi mandatari della nazione, che levati in tumultuoso Parlamento molto si affaticarono per la luttuosa catastrofe, pria di separarsi, formolando una protesta in faccia alla Italia ed all'Europa, dichiaravano che il Parlamento sospendeva sue sedute per la forza brutale del dispotismo; però lungi dall'abbandonare l'adempimento de' suoi solenni doveri, non faceva che momentaneamente disciogliersi per riunirsi di nuovo dove ed appena il poteva affin di prendere quelle deliberazioni ch'erano reclamate dai dritti del popolo, dalla gravità della situazione, e dai principi della conculcata umanità e dignità nazionale. Segnavano tra gli altri all'enunciata protesta Domenico Mauro, Tommaso Ortale, Benedetto Musolino, Eugenio De Riso, Ferdinando Petruccelli, Costabile Carducci e Giuseppe Ricciardi, i quali ultimi cinque una parte preponderante ed attivissima si ebbero belle rivolture che poscia in questa provincia avvennero.

Dopo questi avvenimenti fu condannato a morte e costretto a fuggire vagando per varie città, Gaetano Bova si trasferì a Napoli, insieme al suo maestro Cesare Marini, per esercitare l'avvocheria.

Scrive Conflenti: “Ad onore della patria terra, occorre qui accennare che Ortale dopo di aver avuto molto nobile parte nei fatti del 1848; costretto ad esulare per varie città lasciava or son pochi anni la vita in Genova” nel 1854", all'età di 52 anni. Il suo corpo imbalsamato è sepolto nella chiesa di S. Francesco di Paola a Cosenza.Napoli 1848

Sulla rivista Il Cimento pubblicata a Torino nel 1854, è apparso il seguente necrologia a firma di Giuseppe Massari del 14 agosto.

E finalmente anche l'esiglio italiano lamenta la morte di un ragguardevole galantuomo, l'avvocato Tommaso Ortale di Cosenza, di probità specchiata, d'animo integerrimo, di antiche virtù. Egli era l'avvocato principe del foro Cosentino, e nel 1844 perorò con sereno coraggio la causa degli infelici fratelli Bandiera processati e giudicati da una corte marziale. Nel 1848 i suoi concittadini gli conferirono unanimi il mandato legislativo: di savie e temperate opinioni, di oculato liberalismo avversò le esorbitanze degli avventati con energia pari a quella, con cui aveva osteggiato il dispotismo. La dimane del funesto giorno 15 maggio fu chiamato dal ministro Bozzelli, ed invitato ad assumere l'uffizio d'Intendente della provincia di Cosenza: rfiutò sdegnoso, e ben prevedendo quanto vantaggiosi nuovi tentativi di rivoluzione sarebber tornati alla reazione, scrisse molte lettere (le quali esistono tuttavia) per esortare i suoi concittadini a togliere al governo il pretesto d'infuriare, di colpire nuove vittime e di compiere l'assassinio delle patrie libertà. Questi furono i delitti di Tommaso Ortale; li espiò con la persecuzione, con l'esiglio che lo campò dalla carcere e con la pena di morte che gli fu sentenziata in contumacia. Una malattia cronica ribelle a tutte le cure dell'arte da eseguita la sentenza del tribunale napoletano! Ma Tommaso Ortale lascia un nome onorato, una memoria benedetta ed una eredità di affetti, che i suoi persecutori non potranno rapire, come non ebbero giammai facoltà di turbare la serenità di quella incolpabile coscienza.

(Giuseppe Mascari)

Torino, 14 agosto 1854


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