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Mezzoeuro

'Ndrangheta e politica

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 37 del 15/09/2012


Rende, 10/08/2012


Piccoli collegi e liste bloccate costituiscono un ottimo volano per l'infiltrazione mafiosa nei gangli vitali dello Stato

La malavita si combatte anche e soprattutto con la buona politica che costituisce un potente strumento per diffondere la cultura della legalità.

Cittadini ed elettori devono percepire che vi è uno sforzo comune per combattere il malaffare e il malcostume e in questo il forte legame che si crea tra con i rappresentanti scelti direttamente è un elemento essenziale che il porcellum ha interrotto. Molte delle proposte in discussione tendono a mantenere in vita il sistema di cooptazione che impedisce un rinnovamento politico e approfondisce il distacco dalla politica favorendo il populismo.

“Francesco Belsito? Chi era costui?”

In verità bisognerebbe dire chi è, perché è ancora vivo e vegeto, anche se si sono perse le sue tracce. Non ne parla più nessuno, né i giornali, né la televisione. Anche la Lega Nord è sparita dal dibattito politico. Finalmente, si potrebbe dire. Non se ne poteva più delle sparate umbertine, delle sceneggiate di Pontida, e soprattutto del veleno iniettato in tanti anni nel panorama politico italiano con le baggianate vendute per idee politiche sopraffine, che hanno devastato il paese inoculando il veleno della disgregazione e della distruzione culturale dell'Italia.

È in ogni caso strano che una vicenda così cinematografica, che contiene tutti gli ingredienti di una telenovela non sia stata sfruttata dallo show business: la famiglia, i diamanti, i paesi esotici, il fiume di denaro che scorreva tra ostriche e champagne, la 'ndrangheta che rassomiglia tanto alla Spectre contro cui combatteva James Bond. E anche "les femmes fatales", come la Rosi Mauro e la “Grande Madre” Manuela Marrone i suoi discoli gaudenti, che giocavano nel “Circo magico” del potere leghista. Un materiale di primo ordine da fare invidia alla sagra della Piovra che è stata mandata al macero senza alcun rumore. Un caso un po' strano se solo si pensa a tutte le ore dedicate ad esempio al caso della povera Sara Scazzi. Una vicenda certamente toccante, ma di molto minor impatto socio-politico.

È lecito chiedersi perché iniziare un discorso sulla legge elettorale con la Lega e la poco edificante sua storia dall’epilogo degno di un romanzo giallo: vittima sacrificale del suo peggior nemico (il “meridionale” tanto aborrito e temuto per le spremiture della "minna" nordista) che lo ha stretto in un abbraccio fatale. Intanto perché la legge porta il nome di un suo esponente di spicco che l’ha ideata e portata all’approvazione del Parlamento e additata alla riprovazione universale battezzandola con l’epiteto di “porcellum”. E certamente di una porcata si tratta e nelle intenzioni che l’hanno portata ad approvarlo con una finalità dichiaratamente di parte e nell'angelico rifiuto a tentare qualsiasi giustificazione politica di quella scellerata decisione.

La conseguenza è stata quella di aver prodotto un Parlamento totalmente delegittimato non solo dalla distanza dall’elettorato che non ne riconosce la rappresentatività, ma soprattutto dalla qualità degli “eletti per grazia ricevuta” e non per volontà dei cittadini.

Quello che appare incomprensibile ai poveri mortali non abitanti nell’Olimpo, è che una porcata di parte si è trasformata in un comodo strumento di difesa castale dietro al quale si sono accomodati tutti gli unti. Fa veramente ridere, ad esempio, ascoltare Dario Franceschini difendere le liste bloccate come unico baluardo della democrazia, poiché consente di scegliere i migliori evitando la roulette russa delle preferenze dell’infido elettorato. Almeno lui è onesto e dichiara apertamente la sua posizione, gran parte della nomenclatura ha opinioni simili ma in pochi osano esprimerle per evitare le reprimende dei cittadini. Basta però leggere le proposte di modifica per accorgersi che vanno tutte nella stessa direzione di voler a tutti i costi lasciare nelle mani degli apparatniki le scelte degli eletti. Il massimo che si concede è l’opzione dei collegi uninominali dove i candidati (sempre imposti dall’Olimpo, ovviamente) scendono a singolar tenzone per dirimere la questione. Vae victis, come disse Brenno. Ma anche a questo c’è un possibile rimedio, perché con il premio di maggioranza, una buona dose dei perdenti prenderebbe un comodo ticket per un volo last minute.

Tra i tanti argomenti che si potrebbero portare per demolire questa protervia della casta di voler a tutti i costi trasformare i rappresentanti del popolo in propri mandanti sul territorio, ne scegliamo due.

Alla fine della seconda guerra mondiale, un paese distrutto e analfabeta, è andato a votare con un sistema proporzionale e preferenze plurime ed ha scelto la migliore classe dirigente politica del momento che ha prodotto il “miracolo economico italiano”. Ed era la prima volta che si votava con suffragio universale, donne e proletari si recavano per la prima volta alle urne.

Il secondo elemento Ë trascurato da tutti mentre dovrebbe essere centrale nella discussione. Il referendum elettorale che voleva demolire il porcellum senza affrontare il nodo delle preferenze non ha raggiunto il quorum. Nessuno può pensare che l’elettorato volesse difendere quella sciagurata legge, ma non si è voluto accettare l’impianto che sarebbe risultato dall’abrogazione di alcune norme che avrebbero, inter alias, consentito l’attribuzione del premio di maggioranza al partito che avesse preso il maggior numero di voti. Si tratta proprio di uno dei punti dell’ipotesi di riforma sostenuta con enfasi dal PD che ritiene di poterne beneficiare, ignorando totalmente il monito del risultato referendario. Si potrebbe sostenere che l’elettorato è talmente ignorante da non capire l’importanza della posta in gioco, oppure ha inteso mandare un messaggio che si vuole a tutti i costi ignorare.

Il burrascoso tramonto leghista ha messo chiaramente in luce i pericoli di una democrazia zoppa che affida il proprio destino a un manipolo di “eletti” che si sono trasformati in una casta di intoccabili che autodeterminano il proprio destino contro la massa informe dei paria. Attraverso la Lega Nord la ‘ndrangheta è entrata nel cuore dello Stato, riuscendo a utilizzare un organo costituzionale come un partito largamente presente in Parlamento nella sua lavanderia finanziaria per riciclare i proventi dei suoi sporchi affari, ha occupato un ruolo importante nell’economia nazionale con la gestione di importanti appalti pubblici e la presenza in una tra le più importanti aziende italiane come Finmeccanica. Le numerose indagini giudiziarie, da Milano a Genova fino a Latina, mostrano con chiarezze l’estensione dell’economia criminale in grado di organizzare una rete di aziende affidate a prestanome per inserirsi nei grandi affari. Questo è stato reso possibile per l’allentamento degli strumenti democratici in favore dell’estensione della pratica della cooptazione generalizzata.

Il frazionamento del territorio in tanti piccoli feudi elettorali come i collegi uninominali ha esaltato il potere di condizionamento della malavita organizzata che è invasiva e penetrante nella propria area, ma trova difficoltà a coordinare le sue azioni in un contesto più ampio.

Non è certo un caso se nella seconda repubblica vi è un rafforzamento della presenza criminale al vertice dello Stato, poiché essa non agisce più indirettamente servendosi dei politici, ma si è determinata a scendere direttamente in campo con propri rappresentanti.

In un incontro a Locri sembra che il giudice Nicola Gratteri abbia dichiarato che nella locride il problema del pizzo è stato superato poiché tutte le principali imprese sono in mano della ‘ndrangheta. Si tratta certamente di una esagerazione, ma che dà un’idea precisa della estensione del fenomeno criminale. Dopo aver occupato l’economia, il passo successivo è l’occupazione della politica e la gestione diretta dei territori.

Forse è fantapolitica, ma uno degli obiettivi che la ‘ndragheta intendeva ottenere attraverso la Lega è la legittimazione politica del suo movimento che andava organizzando sul territorio facendo leva sulle spinte localistiche e campanilistiche. La sua mano si intravede dietro molte delle sigle che scimiottano il celodurismo prima maniera. Un processo che si è rallentato per la caduta in disgrazia dell’Umberto e lo sgretolamento del suo potere, ma resta tuttora una opzione seria per la criminalità organizzata che ha tra i suoi manutengoli una vasta gamma di colletti bianchi in grado di assumere direttamente la gestione del potere.

Piccolo è bello, perché è facilmente gestibile dalle organizzazioni criminali. E le liste bloccate sono una manna perché è meglio affrontare un manipoli di scienziati che un esercito di tamarri.


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