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Mezzoeuro

Fasti e nefasti delle Repubbliche delle Banane

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 40 del 6/10/2012


Rende, 4/10/2012


Crisi del regionalismo

Il federalismo sommerso da una serie infinite di inchieste. Dal Nord al Sud l'autonomia si è trasformata in abuso e arbitro. Il leghismo è stato sommerso dagli scandali dei suoi dirigenti e dal fallimento delle sue idee e proposte politiche.

“Ed elli avean del cul fatto trombetta”. Potrebbe essere questo verso dantesco il giusto epitaffio per l’attesa fine della Lega Nord, entrata in uno stato comatoso in attesa del definitivo distacco della cannula che la tiene ancora artificialmente in vita. È stata colpita a morte dalla Nemesi, che si è servita della mano terrona della 'ndrangheta per tentare di ristabilire il turbato ordine dell'universo politico.

Per circa un ventennio ogni perturbazione sonora emessa da un qualsiasi orifizio della sua improbabile classe dirigente è stato attentamente analizzato per carpirne l'entropia informativa, carpirne l’intrinseco valore politico e tradurlo in disposizione legislativa. Quando finalmente ci siamo risvegliati dal sonno ci siamo ritrovati di aver vissuto un incubo dal quale oggi tentiamo faticosamente di uscire. Non sarà facile accomiatarsi da questo “merda party”, poiché siamo sommersi dai nostri stessi escrementi.

Non è facile perché la somma saggezza leghista ha infestato tutto lo schieramento politico, che ha cercato di rincorrerla sul terreno dell’incoerenza, rinunciando in via preventiva a un analisi seria per individuare i rimedi necessari per far ripartire il Paese. Sarebbe stato necessario un attento studio del trattato della pernacchia magistralmente esposto da Totò in uno dei suoi esilaranti film. Questo ci avrebbe dato la chiave di lettura delle esternazioni del capo di questo sublime movimento, nobilitato dal battesimo nelle purissime acque dell’Eridano.

Il centrodestra ha svenduto il suo cervello in nome dell’occupazione del potere e questo può giustificare la loro acquiescenza, poiché una impresentabile classe dirigente alla “Fiorito” potesse permanere ai vertici dello Stato per un così lungo periodo.

Un colpa anche maggiore è da addebitare al centrosinistra, incapace di elaborare una decente proposta alternativa, alla continua ricerca del sistema più opportuno per sganciare la Lega dal Cavaliere e portarlo sulla propria riva. La svendita della sua capacità di proposta politica ha avuto il suo culmine con la grande porcata della riforma del Titolo V della Costituzione, i cui guasti cominciano ad emergere, anche se non sono ancora evidenti gli aspetti più macroscopici.

Abbiamo creato venti repubbliche delle banane caratterizzate da “governi dove un leader forte concede vantaggi ad amici e sostenitori senza grande considerazione delle leggi e mettendo alla porta coloro che non l'hanno votato o appoggiato in senso economico e/o politico”, secondo la definizione che si legge in Wikipedia, che si attaglia perfettamente come descrizione delle nostre regioni. Abbiamo creato delle perfette cleptocrazie, dove “non ci deve essere alcun principio di responsabilità all'interno del governo in modo che la corruzione con cui la repubblica delle banane opera resti incontrollata. I membri del parlamento saranno per la maggior parte in vendita e consultati soltanto per scopi cerimoniali o per ratificare le decisioni già prese altrove”. Questa era una illustrazione dei governi caraibici, ma abbiamo avuto il merito di averli superati con un impareggiabile tocco di fantasia.

Le nostre regioni si sono distinte per la raffinatezze dei ricevimenti, le faraoniche carovane in Sud America per piazzare due etti di fichi secchi tra i nostri emigrati, uffici di rappresentanza nel pieno centro di Roma per contattare gli uscieri dei sottosegretari e le escort dei ministri.

“L’Italia vive una crisi del sistema politico che è certamente la più traumatica dal dopoguerra ad oggi con una situazione delle finanze pubbliche al dir poco preoccupate. Il disordinato modo di spendere le risorse pubbliche è dipeso anche e soprattutto dal funzionamento, o meglio, dal non funzionamento del sistema politico che ha trasformato le istituzioni democratiche, al centro ed ancor più in periferia, in centri di spesa finalizzati esclusivamente alla gestione ed al consolidamento di piccole grandi nomenclature locali secondo la logica dello scambio e per l’acquisizione di status”. Lo sostiene Nicola Carnovale esponente di rilievo dei Riformisti Italiani.

Quale potrebbe essere la via di uscita da questa crisi economica e istituzionale?

“La risposta va trovata nella ridefinizione delle competenze sia esclusive che ripartite spettanti alle regioni e risolva gli innumerevoli conflitti di competenza e le contraddizioni presenti nel Titolo V non dipanate neanche dalla successiva legge La Loggia. Il principio di sussidiarietà, che rappresentava il vero motore della riforma necessita di una rivitalizzazione essendo rimasto un mero enunciato”, risponde Nicola Carnovale.

I Riformisti sostengono la linea di pensiero formigoniano riveduto e corretto, proponendo la creazione di sei macroregioni, che salvaguardi regioni e provincie autonome. Vi è una sorta di rassegnazione in questa visione, poiché si ritiene impossibile che si possa fare un passo indietro e ripensare all’intera architettura istituzionale.

“Le regioni sono ormai una realtà sul territorio e non è pensabile una loro soppressione”, sostiene Saverio Zavettieri, “piuttosto dobbiamo impegnarci per la ridefinizione delle loro funzioni, il ripristino di controlli più puntuali e rigorosi e uno sfoltimento del loro numero per raggiungere il doppio obiettivo del contenimento dei costi e di una maggiore efficacia di governo”.

Il grande fallimento non è solo nei disastrosi numeri dei bilanci. Il fallimento più macroscopico è nella loro incapacità di selezionare una classe dirigente. La corruzione non è frutto solo delle norme, ma anche nella qualità della classe dirigente chiamata a svolgere gli enormi compiti assegnati agli enti locali in questi anni.

Risponde Nicola Carnovale. “La grande opera di moralizzazione e di ricambio del personale politico compiuta dalla seconda repubblica è ormai sotto gli occhi di tutti! Nella situazione attuale risulta fisiologico che si verifichino sperperi e ruberie visto che operiamo prevalentemente senza progetti politici qualificanti che dovrebbero fungere da discriminante e da collante tra elettori, eletti e partiti, con quest’ultimi, che sono divenuti dei franchising elettorali in cui c’è posto per tutto e tutti e dove altresì tutto diventa lecito per accaparrarsi maggiori consensi ed acquisire uno status privilegiato”.

Tutti, oggi, innanzi al caso Lazio, gridano allo scandalo, specie i leader dei partiti nazionali, ma nessuno dice che quei rappresentanti in Regione Lazio, non sono figli di nessuno, ma sono l’espressione diretta dei loro partiti! Altresì nessuno ha il coraggio di affermare che determinate “porcate” possono avvenire solo con il silenzio assenso e la corresponsabilità di tutte le forze politiche presenti alle quali è richiesta, tra le altre cose, la funzione di vigilanza e di controllo. Una funzione, questa, ormai del tutto sconosciuta!”

Inevitabilmente si mettono sotto accusa i grandi partiti, che hanno senza alcun dubbio grandi responsabilità, chi per una disastrosa gestione della cosa pubblica, altri per atteggiamenti acquiescenti e mancanza di controllo, chi per aver rincorso farfalle mentre il pagliaio bruciava, che per aver assunto posizioni clownesche. Gli stessi piccoli partiti hanno contribuito al caos politico con la frantumazione delle proposte, e la difesa del particulare per assicurarsi visibilità.

“Piccoli partiti, piccole colpe, potremmo dire. È vero che qualche volta si assumono posizioni strumentali alla sopravvivenza, ma bisogna ricordare che sono proprio essi ad aver alimentato il dibattito su temi sensibili e attuali”, ribatte Carnovale. “Ci si meraviglia se nelle Regioni ci sono ruberie? Anche in questo caso i partiti nazionali non possono non assumersi le proprie responsabilità, specie se, come avviene, questi incassano i rimborsi elettorali regionali e, nella stragrande maggioranza dei casi, non versano un solo centesimo alle realtà regionali. Nasce così una sorta di patto implicito tra centro e periferia ove ognuno bada a reperire, anche con mezzi illeciti (vedi i diffusi casi sanità dalla Puglia, alla Lombardia) le risorse per le proprie attività che nella stragrande maggioranza dei casi non sono di natura politica”.

Vi sono temi anche di grande importanza che sono scomparsi dall’agenda politica, come il conflitto d’interesse e il Mezzogiorno.

“Quello del conflitto di interessi è un tema scottante per tutti. Se n’è fatto un gran parlare in questi anni come se questo riguardi una sola persona in Italia. Perché non si guarda anche nelle Regioni, dove i Consiglieri spesso hanno interessi diretti nella gestione della Sanità, nel settore della formazione professionale o con le società di raccolta e smistamento dei rifiuti? In questa legislatura non se ne farà niente, speriamo nella prossima se non sarà un altro parlamento di nominati al servizio della casta”.

Questo si può capire, poiché il berlusconismo è ancora maggioranza in Parlamento, ma anche il Mezzogiorno è sparito.

“La forte presenza leghista nel precedente esecutivo lo aveva completamente cancellato. Con Monti c’è stato un recupero dialettico, ma nella sostanza non è cambiato niente, poiché il Parlamento rispecchia ancora quegli equilibri. D’altronde nel PD è forse ancora peggio. Qualche giorno fa è venuto Bersani a Lametia. Non ha fatto intervenire alcun esponente locale, né il tema del Mezzogiorno è stato neppure sfiorato. Di fatto non interessa nessuno, poiché la nostra rappresentanza politica è incapace di assumere una iniziativa nazionale e portare avanti proposte serie. Il porcellum ci ha regalato solo comparse, maggiordomi al servizio dei padrini che li hanno nominati.”

Un giudizio troppo severo per i nostri politici.

“Lo dimostra il modo con cui vengono trattati in tutte le sedi istituzionali e le proposte che riescono a portare avanti. A Lametia è risultato palese il trattamento da coloni riservato ai dirigenti calabresi, alcuni dei quali titolari anche di importanti incarichi nazionali, che evidentemente non sono stati considerati meritori e competenti di poter intervenire in una manifestazione di siffatta importanza che pur li chiamava direttamente in causa. È ormai prassi consolidata che il tema del Mezzogiorno sia considerato un buon argomento per qualche sortita propagandistica nelle regioni meridionali, e che, al di là della retorica del caso, non emergono mai proposte concrete e soluzioni fattibili.”

Si pone un problema serio di rappresentanza.

“La riforma costituzionale del Titolo V avrebbe dovuto rappresentare il momento più alto per avviare una riflessione sull’ente regione a quasi un quarantennio dalla sua entrata in funzione. Ciò non è avvenuto, e le nuove competenze esclusive o ripartite affidate ad esse, hanno portato generato una finanza fuori controllo e la creazione di una classe dirigente regionale votata al saccheggio delle istituzioni. Anche in seguito, con l’avvio del federalismo fiscale, nessuna analisi severa ed organica è stata avviata, ma si è camminati esclusivamente sul binario che teorizzava che efficienza e responsabilità si potessero affermare solo con la minaccia che l’elettore bocci il cattivo governante. Di fatto, è successo soventemente l’opposto. L’assenza di qualsivoglia riflessione ha quindi generato un gap tra lo stato delle cose e i diversi processi di ammodernamento legislativo che venivano compiuti”.

Dobbiamo alla fine tenerci le nostre repubbliche delle banane?

“Oggi, la crisi economica al pari della necessità di ristrutturare il nostro sistema istituzionale e politico ci impongono profondi mutamenti. E’ questa dunque una grande occasione per poter avviare una modifica organica e radicale della costituzione che individui nuove funzioni e ridisegni anche le regioni.

La proposta avanzata per la creazione di tre grandi macroregioni, Nord, Centro e Sud, così com’è stata concepita, più come risposta emotiva al dibattito del momento che non come necessaria soluzione ad un problema reale, rischia di essere futile se non deleteria se non si avvia parallelamente una seria opera di ridefinizione delle funzioni e delle competenze delle Regioni e non si predispongo nuove misure atte ad accentuare la funzione di controllo, senza che ciò segni un ritorno ad un centralismo superato dai tempi. Altresì, annotiamo, che un’unica grande regione del Nord, così come proposta dal modello leghista, segnerebbe un predominio di fatto sulle restanti due condannando il Paese ad una separazione.

Serve avviare una opera di semplificazione in presenza di un quadro frastagliato, poco omogeneo o troppo localistico tenendo contro delle realtà difficilmente aggregabili, quali ad esempio le isole. Il Mezzogiorno del paese, su tutti, né trarrebbe vantaggio, è la questione meridionale, mai risolta ed ormai fuori dal dibattito, troverebbe un unico interlocutore per affermare un progetto di sviluppo che abbia una dimensione ed un orizzonte ampio”.

Altresì, va armonizzata la rappresentanza assembleare tra le diverse aree e stabiliti, con legge nazionale i costi entro i quali Giunte ed Assemblee debbano muoversi i limiti per i ricorsi esterni alle consulenza, fattore primario di malcostume politico, e l’abolizione dei soldi spettanti ai gruppi consiliari essendo oltremodo abbondanti quelli spettanti per i rimborsi elettorali. L’autonomia finanziaria e statutaria ha di fatto portato alla creazione di parlamentini e governi che nulla hanno a che fare con l’autonomia ed il decentramento.


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