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Mezzoeuro

Il vento della Sicilia

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 44 del 3/11/2012


Rende, 2/11/2012


Si preannunciva burrasca, invece è stato un uragano

Un risultato storico la vittoria di Sarino Crocetta del Pd, presidente espressione di una sparuta minoranza ma anche di tutti coloro che hanno manifestato distacco da una classe politica che non sa più mettersi in sintonia con i cittadini, viene da sé che non sarà facile interpretare i sentimenti di tutti

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi di antico... Le previsioni politiche preannunciavano burrasca, ma nessuno si aspettava un uragano. Il voto siciliano è stato una sorpresa per l’entità degli spostamenti. L’astensionismo è di gran lunga il primo partito dell’isola raggiungendo la cifra record del 53%. Un risultato eccezionale se si considera che si trattava di una elezione locale, con forti interessi in gioco dove si intrecciano interessi familistico-clientelari con una condizione di grande disagio, di bisogni insoddisfatti e carenze strutturali che tradizionalmente si tramutano nella ricerca di un patron politico in grado di accendere quel lumicino di speranza di una soluzione personalizzata.

Se dal numero di coloro che si sono recati alle urne si sottraggono le bianche e nulle e i (pochi) voti con una forte connotazione ideologica, ci si accorge che restano solo la gran massa dei clientes che vivono all’ombra di una politica parassitaria.

La casta ha trovato proprio nell’antipolitica, nella diserzione delle urne il suo principale alleato. Gli è bastata una “gioiosa macchina da guerra elettorale” di occhettiana memoria per confermarsi al potere e continuare a lucrare dei benefici del proprio privilegio. Sarebbe stata sufficiente una affluenza “normale” di elettori che avessero giocato un ruolo attivo nel dare una spallata piuttosto che rinchiudersi nel recinto astensionista per spazzare via tutto il politicume responsabile dello sfascio della Sicilia e dell’intero Paese.

Ha vinto Sarino Crocetta, un risultato storico poiché per la prima volta il presidente fuoriesce dal cerchio clerico-moderato, ma ottenuto con un dimezzamento del consenso, se si considera il numero effettivo dei voti, e a prezzo dell’ingovernabilità, poiché i numeri in consiglio regionale non gli consentono di poter esprimere un governo regionale forte ed autorevole.

Come presidente espressione di una sparuta minoranza deve farsi carico di interpretare i sentimenti di tutti coloro che hanno inteso manifestare il loro distacco da una classe politica che non sa più mettersi in sintonia con i cittadini. Il movimento Cinque Stelle ha ottenuto un risultato eccezionale spuntando dal nulla, ma sarà molto duro passare da un momento di protesta alla necessità di trasformare l’indignazione in azioni di governo.

Le prime apparizioni del candidato presidente Giancarlo Cancelleri non appaiono molto esaltanti per le qualità politiche evidenziate nelle prime battute. Si ha l’impressione di rivivere la prima stagione leghista con dei rappresentanti raccogliticci che hanno fatto molta fatica a liberarsi della scorza localistica e trasformarsi in politici capaci di rappresentare le esigenze e i bisogni dell’intera collettività. La Regione Sicilia con il suo statuto autonomista è l’esempio più eclatante del fallimento di un’autonomia che ha prodotto solo una politica affaristico-clientelare. La prima grande sfida è quella dell’abolizione di quell’obbrobbrio per restituire l’isola alla normalità di una gestione condotta nell’alveo della legalità e nel rispetto dei principi giuridici sanciti a livello nazionale e comunitario. L’augurio è che una rappresentanza raccogliticcia sappia produrre una politica di alto profilo contribuendo con la sua azione a smantellare il mostruoso sistema di potere che genera i mostri saliti recentemente agli onori della cronaca.

La recente esperienza finita ignominiosamente a puttane non lascia molto sperare sulla possibilità che un movimento spontaneista riesca a trasformarsi in classe dirigente. La democrazia è fatta di regole, che non possono essere decise in via estemporanea, ma devono rappresentare una cornice entro cui deve svolgersi l’attività politica.

L’art. 49 della costituzione è stato il più dimentica, poiché nessuno ha mai tentato una regolamentazione della vita dei partiti. L’effetto è di una totale anarchia nelle regole e nei comportamenti che ha dato origine ai casi esemplari di Lusi e la Margherita, Di Pietro e l’Idv, Belsito e la Lega Nord e poi i vari Batman e Maruccio. Questo è avvenuto nei partiti “organizzati”, strutturati con delle regole stabilite nei loro statuti (che sono acqua fresca per soddisfare l'insaziabile sete della casta).

Cosa ci si deve attendere da movimenti spontanei, senza una struttura organizzativa? A quando il primo scandalo stellare? A questo bisogna aggiungere la coerenza e la fedeltà di questa nuova classe politica, raccolta qua e la senza un denominatore comune. Basta considerare la composizione di qualsiasi assemblea elettiva al momento del suo insediamento e nell’ultima seduta per accorgersi della mobilità politica dei suoi componenti. La transumanza è diventato un metodo, una prassi quasi obbligata per sentirsi un politico in, una condizione normale poiché non la partecipazione non è accompagnata da una solida struttura ideologica, non vi è alcuna cultura o storia da rispettare, ma inseguire le opportunità e le convenienze poiché l’incarico politico è un business lucroso.

Sapranno i nostri nuovi eroi resistere alle lusinghe del privilegio, rispettare il patto con gli elettori e rinunciare a satana? Il movimento li controlla fin tanto che restano in quel alveo, ma chi potrà impedire lo scilipotismo?

Il Pd vincitore ha poche ragioni per rallegrarsi. Ha vinto perché la componente moderata si è rifiutata di combattere e gli ha consegnato le chiavi di Palazzo dei Normanni, ma il terreno è molto accidentato.

Può certamente cogliere questa occasione per caratterizzarsi con scelte coraggiose ed equilibrare la distribuzione delle risorse spostandole verso le parti più deboli della società, smantellando il sistema dei privilegi che si sono sedimentati nella burocrazia regionale. Dietro di lui, però, si intravede la sagoma dei soliti noti, oggi come ieri nascosti dietro il paravento dell’Udc. Il notabilato isolano gioca l’ennesima commedia gattopardiana, favorendo un cambiamento che consenta di poter proseguire la girandola degli affari attorno alla cosa pubblica.

La traduzione di quel risultato a livello nazionale non è automatico, poiché il vento che spira assomiglia molto ad una gelida tramontana e non si può escludere che da qui a primavera non si trasformi in un altro ben più temibile uragano. In gioco vi è il comportamento incontrollabile del magma incandescente degli indecisi che rende inaffidabile le indicazione predittive dei vari istituti demoscopici.

Si tratta di una massa enorme per cui è sufficiente che una piccola parte di esso per provocare un sovvertimento di qualsiasi risultato. Le prime risposte che provengono dalla nomenklatura del partito non sono incoraggianti, sanno di antico, di dejà-vu con l’arroccamento

Si sente l’esigenza di un completo rinnovamento della politica. Ma la risposta della nomenclatura nostrana è sorda a qualsiasi istanza proveniente dalla base, chiusa nel suo bunker di supponenza- Pretende di rappresentare la continuità e il rinnovamento, il nuovo e il vecchio. Sicura che senza la sua guida sicura e autorevole la regione perde il suo cammino verso l’ignoto. Bersaniani e renziani qui pari sono. Jativinni ca nun se n’accorgia nessuno.


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