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Mezzoeuro

Gaetano Argento, una memoria prodigiosa al servizio dello Stato

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 48 del 1/12/2012


Rende, 28/11/2012


Un precursore dell'illuminismo napoletano

Famoso giureconsulto del Foro di Napoli, creò l'Accademia dei Saggi, che riuniva a casa sua i migliori ingegni giuridici napoletani. Nel suo studio legale si formò Pietro Giannone che concepì la sua “Istoria civile” nel cenacolo dell'Argento.

Gaetano Argento è “nato a Cosenza nel 28 giugno del 1660 da oscuri genitori”, afferma l'Accattatis. Salvatore Spiriti, in una nota della sua biografia sostiene che “quantunque originario di altro luogo, purtuttavia è certo, che nella città di Cosenza nascesse”. “Anzi l'istesso nostro Autore, continua lo Spiriti, “nella Relazione delle Feste ecc. pur si pregia di esser nato in Cosenza” ed esprimeva il suo orgoglio per la città natale ricordando l'aforisma di Euripide “felicem oportet primum habere patriam nobilem”. Sulla nascita nella città bruzia sono tutti concordi, ma la famiglia era originaria di Genova.

Busto di Gaetano ArgentoGiuseppe Reccho scrive, infatti: “Probabilmente stimo che discenda la sua stirpe dalla nobilissima famiglia Argento, che fu chiara e illustre nella patria de' miei bisavoli Serenissima Repubblica di Genova, mentre li liguri ingegni sempre ambitiosi di glorie han vagato il mondo tutto, e non contenti del conosciuto dall'antichi, han ritrovato il nuovo.”

Più oltre aggiunge che “questo supremo ministro ha stretto con la bellissima D. Costanza Mirello figlia del marchese di Calitri, e di D. Laura Carafa, mia nepote figlia di D. Ruberta Reccho mia sorella”. Da questo matrimonio nacque una unica figlia Margherita, la quale, dopo la sua morte, fu “in matrimonio con uno de' Caraccioli nobilmente congiunta”. Queste sono le uniche notizie biografiche che riguardano la sua vita privata.

Sulla sua infanzia non si hanno notizie. I primi documenti raccontano della sua formazione letteraria. “Fu primamente introdotto alla carriera delle lettere da Pirro Schettini”, scrive lo Spiriti, “il quale intravide nella fisionomia del ragazzo i lampi prematuri del genio. Profittò molto alla scuola di quel filosofo-poeta, divenendo profondissimo nella letteratura greco-latina”, “dando saggio negli anni diciotto del profitto, che ne' buoni studj facea, con pubblicare, benché senza suo nome Relazione delle feste celebrate in Cosenza nelle nozze di Carlo II, ecc. in Cosenza per Domenico Mollo 1680, in cui si veggono le scintille di quel sapere, che dovea poi risplendere con tanta chiarezza”.

“Passato in Napoli trovò ricovero appo il rinomato Serafino Biscardi, che scorta la sua bell'indole, accolselo benignamente e gli spianò la strada a quegli onori a' quali poi forse non senza invidia lo vide inalzato; imperciocchè lo Argenti, cominciando a farsi udire nel Foro Napoletano in difesa de' suoi clienti, cagionò di sé ben tosto in ognuno straordinaria meraviglia, per la piena intelligenza, che dimostrava delle leggi nostrali, e forastiere, e di quanto fu scritto nella storia, e di quanto,o sotto il velo delle lor favole gli antichi Poeti e mitiologi, o sotto i profondi loro dettati i vecchi, e nuovi filosofanti racchiusero”, prosegue lo Spiriti.

“Fu nondimeno nel ragionare privo di quella dolcezza, di cui erano per comune sentimento il Biscardi e lo Andrea mirabilmente dotati. Quindi essendo special proprietà del merito trarsi dietro gli onori, non andò guari, che dallo imperatore Carlo VI, saggio discernitore, e largo remuneratore delle virtù, venne Gaetano nel 1707 onorato della toga di di Regio Consigliere: indi nel 1714 innalzato alla dignità di vice Protonotario e di Presidente del Sagro Regio Consiglio, e fregiato del titolo di Duca.

Giuseppe Reccho scrive che “questo supremo ministro ha stretto con la bellissima D. Costanza Mirello figlia del marchese di Calitri, e di D. Laura Carafa, mia nepote figlia di D. Ruberta Reccho mia sorella”. Da questo matrimonio nacque una unica figlia Margherita, la quale, dopo la sua morte, fu “in matrimonio con uno de' Caraccioli nobilmente congiunta”.

“In vista di questi onori accordatigli, la nostra città deliberò di ascriverlo nel numero de' patrizii”, scrive Davide Andreotti nella sua “Storia dei cosentini” con una punta di malcelata ironia.

“In tutti questi onori lungi dal rempiersi di fumo, e di vanità, come agli animi deboli suole avvenire”, scrive lo Spiriti, “dimostrò sempre ogni attenta cura e zelo per lo adempimento della giustizia, e per lo bene così pubblico, che privato di ognuno. Promosse una giunta di ministri per provvedere di pronto rimedio contro una perniciosa invenzione d'imperscrutabile veleno, che faceva in Napoli quant'occulta, altrettanto lagrimosa strage degli uomini, quasi nel tempo stesso, che in Francia un somigliante maligno farmaco partoriva gli stessi effetti.

Aveva una memoria prodigiosa, il cui nome è immortale per la stupenda memoria e per la cognizione delle buone lettere e della verace giurisprudenza. “Dotto in ogni ramo dello scibile, congiungeva una memoria felicissima, per lo che non vi è storico, che non lo odi, e per questa come per le altre virtù, che possedette in grado eminente”, dice lo Spiriti. A lui fu adattato l'elogio fatto dal Salviati a Jacopo Mazzoni “che tanto sa, di quanto si rammemoria: di tanto si rammemoria quant'egli à letto: cotanto à letto, quant'oggi si trova scritto”. Poteva, infatti, ripetere immediatamente qualsiasi discorso aveva appena ascoltato o interi libri che aveva letto, e, secondo la vulgata, aveva letto tutti i libri pubblicati che gli fossero capitati tra le mani.

Ritratto di Gaetano ArgentoChe per ciò i più dotti lo veneravano come maestro: lo imperador Carlo VI non si dipartiva da' suoi consigli, e 'l Pontefice Benedetto XIII con amor di padre lo risguardava in guisa che allora quando per non preveduto accidente della vita di Gaetano Argenti si venne a dubitare, impose (non altrimenti, che il che il Senato romano per la salute di Pompeo) pubbliche preci in Roma, ed egli stesso il Santo Pontefice offerse il Sagrifizio incruento solennemente per la salute di lui, cosa no mai praticata, se non per la vita pericolante del re, e de' sovrani.

Era altresì molto stimato per la sua attività politico-amministrativa. “Stando l'Argento alla testa degli affari, l'amministrazione del Regno camminò così bene, che diceasi essere governata da un potere provvidenziale. Egli riscosse tanta stima dell'Imperatore e del Pontefice, che dubitandosi della sua vita in un momento di malattia che lo assalì , fu dal Santo Padre ordinato il Sacrifizio incruento per lo Stato”, afferma Davide Andreotti.

Oltre alla filantropica istituzione e riforma di molti stabilimenti di pietà, si deve al duca Argento l'istallazione del Collegio degli Alunni Chinesi, che affidato ai Gesuiti, aveva il santo scopo di educare la volenterosa gioventù negli studii delle lingue e nelle scienze, perché quandocchesia diffondessero per mondo la vangelica dottrina. Fu amico dei letterati, che riuniva a convegno nella sua propria abitazione, e di quanta amicizia e lealtà fu prodigo a Pietro Giannone, può attestarlo la vita di questi, scritta da Leonardo Panzini, ed inserita nell'Istoria civile del regno di Napoli del medesimo Giannone.

Gaetano Argento appartiene alla schiera degli studiosi che preparano la grande stagione illuministica napoletana. Benché molto religioso e legato da sincera amicizia con molti esponenti della gerarchia ecclesiastica difese strenuamente il principio della laicità dello stato stringendo un legame profondo con Pietro Giannone, lo storico formatosi alla scuola di Cartesio.

Giannone fu iniziato all'attività d'avvocato da Gaetano Argento, l'incontro con il quale si rivelò fondamentale per la sua formazione.

Nella casa di Gaetano Argento si riuniva a partire dal 1702 l'Accademia de' Saggi, un gruppo di giovani giuristi che sarebbero diventati i principali attori del governo vicereale austriaco. Nel 1714 con il trattato di Rastadt, Carlo VI imperatore germanico del Sacro Romano Impero, dovette rinunciare al trono spagnolo, ottenendo in cambio i Paesi Bassi, Milano e il Regno di Napoli, che mantenne fino al 1738, quando passò ai Borboni. Fu in quell'Accademia che maturò il progetto d'una nuova storia del Regno, cui il G. diede il suo contributo iniziando a lavorare all'Istoria civile del Regno di Napoli.

Quello con il Giannone si rivelò un rapporto molto pericoloso poiché questi era considerato un nemico giurato della Chiesa per le sue idee e le denuncia delle prevaricazioni ecclesiastiche nei confronti del potere dello Stato. Dopo la pubblicazione della sua Istoria, Pietro Giannone dovette fuggire esule prima a Vienna, sotto la protezione di Carlo VI, e successivamente a Venezia, e in Svizzera sempre inseguito e perseguitato dalla Chiesa che lo fece arrestare in Piemonte dove era stato attirato con un tranello. Imprigionato nella fortezza di Ceva, dove vi rimase dodici anni. Nonostante fu costretto a firmare un atto di abiura delle sue idee, non ottenne la libertà e finì la sua vita in carcere.

Un altro personaggio che influenzò la formazione di Gaetano Argento fu il filosofo napoletano Giambattista Vico, con il quale ebbe una lunga frequentazione. Egli trasfuse la sua esperienza culturale nel suo più importante saggio, dove non solo appoggiava le idee del Giannone, ma le arricchiva le sue tesi con argomentazioni giuridiche, in particolare mettendo in rilievo i guasti prodotti dalla manomorta ecclesiastica e sostenendo che lo stato avrebbe dovuto intervenire per eliminare questa distorsione.

A proposito di quest'opera, Salvatore Spiriti “assicura rimanere di questo grande uomo un'opera senza data di luogo, e senza il suo nome, col titolo: De re beneficiaria, disertationes tres, anno 1708, che riputata pregiudizievole alla Corte Romana venne ben tosto vietata; ed aggiunge che a questo lavoro dell'Argento diede occasione lo editto di Carlo VI con che sequestrava i frutti de' benefizii ecclesiastici conferiti agli stranieri non naturali del regno; editto che sebbene spiacente alla Corte romana ed agl'interessati, fu nondimeno emesso esclusivamente a favore de' regnicoli, e non a vantaggio del fisco, come per lo appunto si convenne nel Concordato, che poscia seguì tra Cesare e Roma”.

Pietro GiannoneL'opera era un commento alla prammatica del 1708 emessa dal governo vicereale austriaco con al quale si vietava di poter trasferire a stranieri le rendite e i benefizî ecclesiastici, una prima limitazione del potere della Chiesa e della sua capacità giuridica di disporre liberamente del suo immenso patrimonio immobiliare. La Chiesa non temeva tanto gli effetti di quella legge, ma le possibili evoluzioni che ne potevano conseguire una volta messa in dubbio la legittimità del titolo di proprietà e la piena disponibilità dei beni. Le preoccupazioni erano legittime, poiché solo qualche decennio dopo, con la creazione della Cassa Sacra a seguito del terribile terremoto del 1783, si passò direttamente alla soppressione degli ordini monastici con la requisizione del loro patrimonio immobiliare.

“Fu costante e forte sostenitore della Reale autorità, senza offesa de' diritti del sacerdozio nel carico di delegato della Real giurisdizione: ed in somma confessano tutti, che mentre egli visse una intelligenza sovrana regolava con perfetta armonia la gran macchina di questo Regno”.

La sua opera, messa all'indice, ebbe una circolazione limitata e quasi clandestina. Lo stesso Argento, ben consapevole del pericolo che correva nel mettersi contro la corte papalina, assunse un atteggiamento molto prudente per non irritare la gerarchia ecclesiastica. Tuttavia la proibizione alla sua diffusione non impedì che quelle idee si diffondessero tanto che furono riprese da Gaetano Filangieri nella sua Scienza della legislazione.

Morì a Napoli. Secondo la ricostruzione di Salvatore Spiriti: “Alla fine da radoppiati colpi di apoplessia assalito rimase estinto il dì ultimo di maggio del 1730 in età di 69 anni e fu sepolto nella sua gentilizia cappella entro la Chiesa di San Giovanni in Carbonara, non avendo di sé lasciato altra prole che una fanciulla dopo la morte di lui in matrimonio con uno de' Caraccioli nobilmente congiunta: e quasi erede de' suoi talenti D. Francesco Ventura già Regente del Collateral Consiglio ed ora Presidente del Supremo Maestrato del Commercio, nel quale risplende insieme con ogni altra virtù la vera imagine del suo gran zio. Gli furono celebrati solenni funerali nella Chiesa sudetta descritti in una voluminosa raccolta di componimenti in diverse lingue impresse in Napoli per Felice Mosca”.

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