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Mezzoeuro

Vigilanza bancaria e rinascita europea

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 50 del 15/12/2012


Rende, 14/12/2012


Istituita dopo una lunga e difficile trattativa il Supervisore Bancaro europeo

Il nuovo organismo è chiamato a controllare le grandi banche del continente. In Italia resteranno fuori solo le BCC e le Popolari, piccoli istituti legati al territorio

L'euro è diventato il simbolo della nostra crisi, poiché tutti, favorevoli o contrari alla sua costruzione, sono appassionatamente convinti che ha provocato una vera e propria rivoluzione economico-culturale in Europa, che allarga la sua influenza ben oltre i suoi confini geografici. In paesi come il Kossovo ha corso legale, pur se non è membro né dell'Unione Europea, né a maggior ragione dell'Unione Monetaria, e in altri come la Moldavia o la Cechia ha una diffusione molto estesa.

La sovranità monetaria è una delle espressioni più tipiche della sovranità del potere, tanto che si diceva che "il re batte moneta". Per l'euro vale esattamente il contrario, poiché è "la moneta che batte il re"! Questo apparente paradosso, mira a illustrare come si è avuto un totale capovolgimento nel sistema di governo, con l'economia che ha preso il sopravvento della politica e ne domina i processi e indirizza e controlla le decisioni. Scendendo più nel dettaglio, è l'economia monetaria a dominare i processi, a provocare e dirigere la congiuntura internazionale.

Lo strano potere dello spread, improvvisamente assurto al ruolo di indicatore del successo e dell'insuccesso di qualsiasi politica, il metro di giudizio delle grandi scelte economiche, il parametro di valutazione della solidità di un Paese si fonda sul presupposto che la politica ha rinunciato al suo ruolo, ha abdicato il suo potere lasciando nelle mani del "mercato", nella sua forma mistificata della "mano invisibile" evocata da Adam Smith, che miracolosamente guida i processi verso il mondo perfetto dell'equilibrio economico generale (ma oggi sarebbe meglio dire "universale", per la globalizzazione dei processi economici).

Questa idilliaca rappresentazione delle realtà è un residuo del sogno romantico-liberale che vorrebbe trasformare l'egoismo individuale nella forza della crescita collettiva. poiché la forza degli sforzi individuali per raggiungere il conseguimento dei bisogni provoca nello stesso tempo, il raggiungimento dell'ofelimità collettiva tendente all'equilibrio del sistema economico.

Un meccanismo del genere potrebbe avvicinarsi al comportamento dell'economia reale, dove capitale e lavoro interagiscono nel sistema produttivo per la creazione di ricchezza, pur con tutti i limiti e i vincoli dei casi di "market failure", ampiamente descritti in letteratura, alle esternalità che alternano il meccanismo di funzionamento del mercato. In una economia monetaria "tutto questo un senso non ce l'ha", urlerebbe Vasco Rossi. Intanto, siamo di fronte a una realtà virtuale, sempre più lontana dai bisogni degli individui, basti pensare che la liquidità mondiale è pari a 14 volte la ricchezza complessiva dell'intero pianeta. Ci vorrebbero altri tredici pianeti Terra per convertire in beni reali questa immensa ricchezza che non può neanche essere cartacea, poiché la produzione mondiale di carta non sarebbe sufficiente a stampare le banconote relative.

Il secondo elemento è costituito dalla concentrazione in mani sempre più ristrette del reddito e della ricchezza. Secondo un recente calcolo della Banca d'Italia, nel nostro Paese il 10% della popolazione possiede il 50% della ricchezza, e la disparità di potere d'acquisto è ancora più stridente, con un quinto della popolazione che ormai è sotto la soglia della povertà, arrivando all'indigenza, all'incapacità di procurarsi un semplice sostentamento per sopravvivere, mentre una ristretta minoranza può consentirsi una vita da nababbo, tra diamanti, Ferrari, caviale e champagne. La situazione a livello planetario è ancora più drammatica. La produzione reale è affidata ai "soliti iloti", una sterminata massa di nuovi schiavi, costretti a lavorare in condizioni disperate senza alcuna tutela giuridica e legislativa. C'è da chiedersi se non siamo alle soglie di un nuovo Medioevo, della ricostruzione sotto altra forma di un sistema feudale, in cui il latifondo è rappresentato dalle enormi ricchezze in forma monetarie ed il meccanismo di funzionamento è stato affidato al libero "gioco" degli attori in un ipotetico scenario di tranquillità. Il sistema economico si è sempre più avvicinato alle roulette russa, dove la speculazione impugna una pistola carica sulle tempie dei più poveri ed indifesi. Il mondo è stato dato in pasto alla speculazione, è stato consegnato nelle mani dei paradisi fiscali, dove si accumulano incredibili ricchezze prive di volto.

Già, la moneta unica, la vigilanza bancaria europea. Che c'entra con tutto questo? Bisogna sottolineare che il processo di costruzione dell'Unione Europea è un grande e lungimirante processo politico, che i suoi successi e i meriti, riconosciuti con l'attribuzione del premio Nobel per la pace, sono ampiamente meritati. Si è passati da un secolare scontro tra le varie anime del mosaico linguistico-culturale europeo a una concertazione sul modello di sviluppo per assicurare un futuro di pace e di progresso agli europei. Questo è stato il frutto di una grande visione politica, di leader di grande spessore e livello, come De Gasperi, Jean Monet, Robert Schuman, Paul Heny Spaak, Konrad Adenauer che hanno messo in moto un meccanismo di sviluppo economico, civile e democratico dell'Europa, regalandogli un lungo periodo di pace e di crescita, che ha avuto il suo culmine della creazione della moneta unica.

L'euro è stato un successo strepitoso, che ha sanzionato e consacrato la grande intuizione dei padri fondatori. si è imposto sullo scenario mondiale nonostante i suoi limiti e i difetti di origine, poiché si tratta dell'unico caso conosciuto della creazione di una moneta senza Stato, ha favorito la nascita di una grande area monetaria, ha assicurata un lungo periodo di stabilità monetaria, ha assunto un ruolo di riserva nelle grandi economie in crescita, come la Cina e l'India. A dispetto dei tanti gufi tristi ha saputo mantenere un elevato valore nei confronti del dollaro, che in tanti considerano addirittura eccessivo poiché costituisce una difficoltà per l'export delle imprese.

Il grande difetto di questa costruzione è quello di aver creduto che il momento di crescita non avesse alcuna soluzione di continuità che potesse durare all'infinito e si è creata una governance del sistema tesa più a monitorare benignamente il cheto fluire della moneta piuttosto che prepararsi ad affrontare le possibili bufere. L'eccessiva fiducia nel mercato ha lasciato piena libertà a ciascun Paese aderente e piena libertà a un sistema sempre meno regolamentato, libero da vincoli e da obiettivi.

Solo i drammatici effetti di una crisi che non si sa più come affrontare hanno costretti i governi europei a porsi il problema di una regolamentazione del sistema, della creazione di un potere politico in grado di governare il processi della moneta unica. Il grande pregio della istituzione della vigilanza bancaria è quella di aver ripreso il cammino dell'integrazione, di aver finalmente lanciato il chiaro segnale al mercato che nessuno vuole e può tornare indietro. Sebbene si tratti di una decisione ancora timida e insufficiente, vi è però la chiara intenzione di proseguire il cammino.

Si procede, tuttavia, nello stesso solco di una piena libertà dei mercati, non vi è ancora alcun cenno alla necessità di frenare la speculazione, di creare dei meccanismi di monitoraggio e controllo dei bilanci dei singoli stati, della creazione di un autorevole istituto di rating per tutti gli enti pubblici della comunità, la cui valutazione possa essere utilizzata per la definizione degli obiettivi di politica economica comunitaria. L'Europa deve essere in grado di offrire un modello di governo dell'economia, e non subire i diktat spesso assurdi di organismi che spesso operano in pieno conflitto di interessi ponendosi al servizio della speculazione e della propria clientela.

La Vigilanza europea costituisce un passo in avanti, un piccolo passo rispetto al cammino da compiere, ma certamente significativo perché impone una accelerazione del processo. Raggiungere questo obiettivo non è stato facile. Ci sono voluti mesi di trattative, estenuanti e complicati compromessi, poiché le parti in causa erano perfettamente coscienti che si giocava una partita il cui esito avrebbe influenzato tutto il futuro dell'Europa.

In apparenza è un accordo minimale, se valutato in rapporto al numero di istituti interessati, circa duecento in tutta Europa. Si tratta di banche con un patrimonio di trenta miliardi di euro o superiore al venti per cento del PIL nazionale, una significativa cessione di sovranità, poiché esse costituiscono il sistema arterioso dell'economia e il loro comportamento ha ricadute molto significative sulla congiuntura economica, poiché ciascuno di essi supera il peso economico di Stati medio piccoli, come il Lussemburgo o il Belgio. Hanno aderito quasi tutti gli stati dell'Unione, anche la maggioranza di quelli che non fanno parte dell'Unione monetaria. Ne restano fuori soltanto tre compreso la Gran Bretagna che continua con la sua politica isolazionista. Un risultato eccezionale in un momento in cui sembrava che l'idea europea fosse molto appannata.

L'accordo è stato favorito dalla particolare struttura del sistema bancario tedesco, che ha la sua forza sulle banche locali, mentre poche sono le grandi banche tedesche internazionali, come la Deutsche Bank. In condizioni simili si ritrova anche la Spagna, e la Grecia, che sono considerati gli attuali malati dell'Europa. L'esclusione dalla Vigilanza Europea delle “piccole banche” ha consentito alla Germania di mantenere una gran parte del controllo sul proprio sistema finanziario, permettendo però che anche Spagna potessero godere della stessa autonomia, nonostante le perplessità espresse nei loro confronti e il timore che sappiano coniugare la flessibilità di gestione con il rigore per cui ha preteso, quale contropartita della concessione di aiuti europei, il monitoraggio europeo per evitare comportamenti scorretti. Un importante apertura di credito, che potrebbe instaurare un rinnovato clima di fiducia tra i partner che faciliterebbe il cammino verso una Europa politica.

L'Italia è forse il Paese che ha dovuto rinunciare ad una fetta più consistente di sovranità, poiché la sua struttura bancaria è costituita in gran parte da grandi banche che rientrano nel sistema di controllo europeo. Restano nella vigilanza nazionale quasi esclusivamente le BCC e le Popolari, che rappresentano circa un quarto del mercato bancario.

Quali potrebbero essere i riflessi di una tale decisione sulla politica creditizia italiano e in particolare meridionale? Lo chiediamo ad Emilio Contrasto, il responsabile nazionale dell'Unità Sindacale FALCRI-SILCEA dell'UBI Banca.

“Siamo di fronte a un importante passo avanti, nella costruzione di un vero mercato bancario dell'Unione. I numeri non devono ingannare, poiché una fetta importante del sistema bancario europeo viene sottoposto a un unico organo di controllo, che è più distante dai singoli istituti e, specie per le grandi banche dei paesi più piccoli, sicuramente meno influenzato dalla politica locale. Le grandi banche operano in un teatro molto vasto e la possibilità di un controllo su di un bilancio aggregato a livello europeo rende più trasparente i documenti contabili e consente un controllo più incisivo. Restano irrisolti alcuni nodi, come quello dei paradisi fiscali, dove si possono nascondere comportamenti poco trasparenti che inficiano i dati. Il caso della Parlamat è un esempio di scuola, di come si possa sfuggire ai controlli rifuggendosi dietro questi paraventi”.

Potrà avere qualche riflesso nella politica creditizia delle banche?

“L'augurio è che la transizione verso il nuovo sistema avvenga senza traumi, poiché questo significherebbe che non vi sono scheletri nascosti dentro gli armadi delle banche. Non vi dovrebbero essere sorprese, poiché il comportamento delle grande banche è stato sempre caratterizzato da un estremo rigore formale e sostanziale. Una affermazione che non può essere smentita dai grandi scandali che hanno colpito istituti come la Lehman & Brothers, che hanno pagato duramente la loro leggerezza e poi si tratta veramente di casi eccezionali”.

Cosa cambia per le piccole banche?

“Limitiamoci al caso italiano. Restano fuori dal controllo diretto del supervisore europeo solo le banche locali, BCC e Popolari, ma non completamente, poiché questi può sempre intervenire qualora lo ritenga opportuno e se ne ravvisi la necessità. Il controllo del nostro organo di Vigilanza potrà essere al contempo più rigoroso, poiché l'attività di questi istituti si svolge completamente all'interno del sistema e non vi sono zone grigie; nello stesso tempo si ha la possibilità di valutare con maggiore serenità le specificità regionali per consentire quel margine di adattamento alla congiuntura economica. Proprio in questa crisi si è avuto modo di verificare quanti danni si possono provocare con l'adozione di comportamenti uniformi che non tengano conto della peculiarità delle aziende e i momenti di crisi. Tuttavia, credo che l'aspetto più importante e significativo è la ripresa del cammino di integrazione europea, poiché non si poteva più continuare a sostare in mezzo al guado. L'euro è stata una grande conquista, ma ciascun paese ha pensato di massimizzare i vantaggi, senza preoccuparsi dei pericoli rappresentati da una possibile crisi, che veniva esorcizzata perché nessuno credeva che poteva realmente presentarsi con questa virulenza”.

Non vi nessun pericolo, quindi, che possa risolversi in una ulteriore stretta creditizia?

“Credo che questa sia una ipotesi da escludere completamente. Al contrario il rinnovato clima di fiducia potrebbe dare una spinta alla ripresa, poiché non bisogna dimenticare che i mercati vivono di aspettative. L'idea di una Europa incapace di concepire una adeguata politica per superare la crisi aveva prodotto una forte spinta speculativa, poiché si riteneva che l'euro potesse crollare con conseguenza disastrose per l'intero continente e immensi guadagni per gli speculatori. Questo non solo non è avvenuto, ma ha dato una spinta all'integrazione rendendo difficile la vita a questi sciacalli. La lotta alla speculazione deve diventare un obiettivo prioritario dell'Europa per dare ristabilire un clima di fiducia e consentire quella ripresa che è l'unico vero rimedio alle nostre difficoltà”.


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