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Mezzoeuro

Sul Monte sventola bandiera ...

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 4 del 26/1/2013


Rende, 24/1/2013


"Non siamo pro

Giochi e giochini al Monte dei Paschi di Siena

Gioco anch’io? No, tu no.

Il più antico istituto di credito italiano, che ha superato secoli di guerre e devastazioni rischia di essere risucchiato dal vortice della speculazione finanziaria e dalla improvvisa e disinvolta conversione alla globalizzazione finanziaria

Da meridionali possiamo essere contenti di vivere ore tranquille perché è certo che i derivati non mettono a rischio il nostro sistema bancario. Perché di fatto non esiste più, è ovvio. Completamente liquefatto negli anni novanta del secolo scorso per la creazioni dei megastore finanziari che stanno scuotendo orribilmente l’economia mondiale. Possiamo esultare come quel marito che non corre più il rischio di mettere incinta la moglie per esserselo tagliato.

Prima di proseguire questo discorso di una dimensione che travalica qualsiasi nostra dimensione, una civettuola nota comparativa con il nostro recente passato non guasta. Non servirà a far tornare indietro il pendolo della storia, ma almeno a stabilire qualche briciolo di verità. Chi ricorda oggi la crisi della Carical o del Banco di Napoli? Due scandali enormi serviti su un piatto d’argento al nascente potere leghista per dimostrare l’incapacità, la disonestà, la disinvolta gestione degli istituti meridionali, che dovevano sparire per favorire la catarsi necessaria per creare i presupposti della crescita. Sarebbero arrivati gli efficienti, preparati e morali settentrionali ad insegnarci il mestiere e far ripartire l’economia sana.

Ecco, gli spaventosi buchi neri delle banche meridionali erano bruscolini in confronto delle cifre di cui si discute in questi giorni per il Monte dei Paschi di Siena. Inoltre, pur se con criteri clientelari, discutibili e scarsamente professionali, la massa creditoria degli istituti meridionali era costituita pur sempre di prestiti erogati all’economia reale. Se non avevano favorito la crescita di un sistema industriale (il credito era senz’altro una concausa, ma non era certo l’elemento più importante) avevano però sostenuto i consumi, gli investimenti delle imprese, la ricerca e così via. Persino le “gentili” elargizioni (o dazioni come venivano indicate con un neologismo delle aule di giustizia) ai politici nostrani, appaiono oggi come “argent de poche” rispetto a quello che si immagina possa essere accaduto nella rocca Salimbene.

La stessa operazione di recupero del grande buco meridionale affidato alle neo costituite “bad bank”, sul cui ammontare si può discutere, è stato certamente superiore a qualsiasi aspettativa. Questo perché dietro ogni operazione vi erano delle persone reali, famiglie e imprese, con le loro difficoltà, ma con gli impegni e la volontà di rispettare un patto più che un contratto. L’elevata percentuale di recupero testimonia di un Sud profondamente sano moralmente ed eticamente, la cui immagine è deturpata da una minoranza criminale che occupa le prime pagine dei mezzi di comunicazione.

La grande voragine senese è un pozzo senza fondo, un buco nero coperto con quattro pezzi di carta con i quali si è giocata una partita al tavolo verde della finanza internazionale. Insomma qui si è giocata una partita reale, li ci si è inviluppati in un sistema di scatole cinesi da cui non si riesce più ad uscire.

Questo è una delle conseguenze più aberranti di una ristrutturazione del sistema bancario, che ha trasformato la foresta pietrificata delle banche pubbliche in poche sequoie circondate dal deserto ed esposte alle furie delle tempeste internazionali. Alberi maestosi che cadono con grande fracasso creando il panico in interi Paesi.

La banca senese ha resistito più di cinque secoli come “inefficiente” banca pubblica, mentre come “efficiente” banca commerciale, privata e dinamica, rischia di non superare il secondo decennio. E ironia della sorte, la sua sopravvivenza dovrà quasi certamente essere affidata al ritorno sotto il mantello pubblico. Un bel salto nel futuro, con c’è che dire.

In un clima elettorale, si cercano colpe politiche da utilizzare a fine di propaganda elettorale, ma non si ha la voglia e la freddezza di riconsiderare tutto il processo di trasformazione che ha delegittimato la politica, sottoposta al controllo del potere economico e finanziario. Si è dimentica la lezione del 1929, un disastro superato grazie al deciso intervento politico, di Roosevelt in America e degli stati autarchici in Europa. Una esperienza che nessuno vuole rivivere, ma bisogna trovare una via democratica per il controllo del sistema. La politica deve riprendere il controllo dell'economia, imporre delle regole, frantumare i monopoli, spezzare la concorrenza “negoziata”, dove pochi attori si dividono il mercato, moderne e globalizzate forme di oligopolio vendute per concorrenza.

Questi mostri finanziari hanno mostrato nei pochi decenni della loro esistenza dei difetti enormi. In primo luogo non sono controllabili, perché sfuggono alla vigilanza nazionale. C’è un bel dire che la Banca di Italia non ha svolto il proprio compito, perché sarebbe meglio considerare che semplicemente non aveva i mezzi per poterlo svolgere adeguatamente perché le banche giapponesi, americane o svizzere sono fuori dalla sua giurisdizione. Si è completamente

In termini più chiari, abbiamo creato un sistema finanziario che sfugge al controllo della politica, ma la condiziona e gli impone con la sua forza “liquida” anche le regole fondamentali. Le regole di Basilea, ad esempio, sono costruite su tavoli tecnici e costituiscono il presupposto per una completa libertà d’azione delle banche, che vogliono rispondere a dei requisiti “tecnici” costruiti “in house” per poter aver la libertà di poter operare sui mercati internazionali. Questa forma di autoregolamentazione necessita di un robusto intervento politico per imporre il preminente interesse pubblico.

Questi grandi colossi finanziari sono, infatti, le strutture portanti della speculazione internazionali, le principali responsabili delle oscillazioni finanziarie che creano tanta apprensione nei paesi sotto attacco. Lo spread di cui ci siamo tanto preoccupati in questi mesi, misura il grado di libertà della grande finanza, la sua capacità di influenzare il corso degli eventi e realizzare profitti sulle disgrazie altrui. Non è tollerabile che la vita e il benessere di intere popolazioni siano alla mercé della speculazione. L’economia reale è diventata un fastidio, che impone sistemi di valutazione, l’utilizzo di personale, una organizzazione efficiente. Tutto questo bailamme solo per qualche spicciolo di profitto, quando con una sola operazione speculativa si possono realizzare plusvalenze enormi.

I casi Parmalat e Cirio hanno dimostrato con sufficiente chiarezza che il “core business” industriale era ormai ridotto a una parte ridicola del giro di affari: entrambe le società non sono state stravolte dalla crisi aziendale, dalla perdita del mercato, ma dallo tsunami finanziario che le ha colpite, provocato dalla volontà delle grandi banche di chiudere una partita diventata ormai insostenibile. E prima si sono premurati di rifilare titoli tossici a ignari risparmiatori, adottando una politica di rapina autorizzata.

La devoluzione a livello europeo della vigilanza bancaria costituisce un passo in avanti. Significativo, ma non risolutivo, poiché l’esistenza di centrali speculative come sono i paradisi fiscali e le grandi corporation danno ancora alle grandi banche la possibilità di sfuggire a qualsiasi controllo e qualsiasi vincolo. Rebus sic stantibus è solo un pannicello caldo per combattere i primi decimi di febbre.

Non si può dimenticare che dietro i grandi scandali politico-finanziari degli ultimi anni vi sono dei calabresi da export. Basta ricordare Francesco Belsito, tesoriere della Lega con le sue allegre speculazioni finanziarie, e il suo compare avv. Bruno Mafrici, i fratelli Luigi e Giovanni Bisignani con una lunga teoria di brillanti operazioni, e oggi spunta un altro nostro illustre corregionale, Giuseppe Mussari, catanzarese di origine e senese di adozione per aver conseguito nella locale università la laurea cum laude in giurisprudenza. Ma la sua piena integrazione è di “cunnu” per aver sposato una senesissima dama, moglie del suo amico Franco Masoni che lo aveva introdotto nei circoli buoni della città. Secondo quanto si legge in rete, a Siena circola una battuta: “Aveva due amici: a uno ha fregato la moglie, all’altro il posto”. Vanno ad abitare nel rione Mens Sana, una delle diciassette contrade storiche che con la loro rivalità animano il Palio. Il prestigio di Mussari viene rafforzato dalla vittoria conseguita da un suo cavallo in una delle competizioni, che ne ha fatto un mito locale.

Una storia incredibile quella del nostro, che partendo dalla periferia dell’impero nella ventosa città bizantina, diventa un affermato avvocato, e durante la sua attività forense presidente della Camera penale senese, Consigliere di amministrazione e Presidente di vari enti e società, membro del Consiglio e del Comitato Esecutivo dell’Abi e, dal maggio 2007, del Supervisory Board di Axa Sa, una delle più importanti banche d’affari europee.

Il vero salto di qualità del nostro risale al 2001 con la nomina (a 38 anni, incredibile in una società gerontocratica come quella italiana) a presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, il primo passo per la scalata dello storico istituto della città. Cinque anni dopo viene nominato presidente dell’Istituto bancario, a 43 anni, un vero “enfant prodige” della finanza. Un lustro ancora, il 15 luglio 2010 diventa il banchiere più importante d’Italia, con la nomina a presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, il più giovane nella storia dell’Abi.

La sua presidenza al monte ha subito assunto un carattere giovanilista, con molte iniziative glamour. Come racconta Ascheri, autore di una biografia non autorizzata, “Dal 2006 al 2010 Mps ha speso oltre 297 milioni di euro in “Pubblicità” e più di 629 milioni in “Consulenze”, mentre solo un mese fa ha annunciato di voler ricorrere ai contratti di solidarietà per i dipendenti. Ma non è tutto: Mps ha inaugurato anche una linea d’abbigliamento di capi firmati con il logo “1472” (anno di fondazione, ndr) e ha imbottigliato olio e vino”. È questo il mestiere di una banca?, si chiede Ascheri, ma il modello della banca universale non è stato inventato a Siena, ma qui ha trovato una interpretazione particolarmente brillante.

Prontamente (e giustamente vista la fulminea e inarrestabile carriera) l'associazione Eccellenza calabresi gli attribuisce un ambito premio con la motivazione seguente: “Un uomo capace di coniugare cultura e finanza, tradizione e rinnovamento, coraggio e lungimiranza … ma soprattutto per il suo personale impegno nel consegnare alle generazioni che verranno un Paese più ricco di cultura e opportunità”. Ha “lungimirato” benissimo, ma forse il suo binocolo presentava qualche distorsione ottica. Tutto questo costerà qualche miliardo di euro alla collettività, ma ne è valsa la pena. Abbiamo scoperto un genio.

Nel generale tripudio il solo Raffaele Ascheri sopra citato, un giornalista senese, aveva avuto il coraggio di indagare sulle particolari qualità del personaggio. Secondo il quale Giuseppe Mussari è un avvocato e tale e rimasto, anche dopo tutti i riconoscimenti ottenuti come banchiere, una professione che non si improvvisa. La sua inarrestabile ascesa ha una matrice bipartisan, a partire dalla sue origini di sinistra quale militante della FGCI, fino ad arrivare al sodalizio con Denis Verdini, un altro banchiere dalle accertate qualità professionali.

Il corso inaugurato dal nuovo Testo Unico ha riempito i Consigli di Amministrazione delle banche di uomini di qualsiasi provenienza professionale, nella convinzione che basta un po' di buona volontà formare un buon banchiere, abbandonando la prassi lungamente perseguita di creare il management e la governance all'interno degli istituti con un iter formativo modellato sulle antiche botteghe artigiane. Professionisti e industriali hanno occupato le poltrono con un pericolo intreccio di interessi.

Il management della banca senese è chiamato a rispondere delle acquisizione bancarie, la Banca 121, e soprattutto l'Antonveneta, effettuate a prezzi stratosferici, al di fuori da qualsiasi logica di mercato; delle operazioni di contratti derivati con le quali si intendevano coprire i rischi e le perdite provocate da quelle scellerate operazioni che si sono risolte in un ulteriore fonte di pesanti perdite.

A questo Giuseppe Mussari deve aggiungere i procedimenti aperti dalla procura di Siena per falso e turbativa d’asta, nella gara di appalto per l’ampliamento del piccolo aeroporto di Siena.


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