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Mezzoeuro

Mi duole la banca sinistra

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 6 del 9/2/2013


Rende, 5/2/2013


Il caso MPS nasce dall’incapacità della politica di disciplinare adeguatamente il settore del credito. Le operazioni derivate, oggi criminalizzate, sono state consentite e disciplinate dal Tesoro. Deve essere la Magistratura a individuare gli eventuali profili penali, ma non tutto deve essere criminalizzato. Chi, come la Provincia di Cosenza, ha utilizzato quella opportunità per effettuare investimenti ha conseguito importanti risultati con risparmi strutturali nel bilancio.

Questa sporca faccenda del MPS ha messo sotto la luce dei riflettori la questione bancaria. Sembrava che tutto fosse ormai definitivamente acquisito: un perfetto mercato mondiale, dei protagonisti sempre più dinamici e arroganti, un efficientismo che assicurava una economicità di gestione che produceva una struttura dei tassi contenuti, e dei soggetti per i quali l’accusa di occuparsi solo di prodotti bancari appariva un odioso insulto. Queste misteriose creature sono delle entità “à tout faire”, supermercati del credito e della finanza, in attesa di essere trasformati in Centri finanziari globalizzati. Sono sorti seguendo il modello della cosiddetta “banca universale”, tanto per l’estensione del loro territorio di attività quanto per lo spettro dei prodotti che travalicano di gran lunga il tradizionale mercato del credito, poiché sono in grado di occuparsi di tutto dalla vendita di pregiate cassette di vino ai viaggi in Madagascar. Si occupano di tutto dappertutto.

Nessuno ha oggi il coraggio di dire con chiarezza che è quel modello che è fallito, che l’idea dell’autogestione senza un effettivo controllo è semplicemente impossibile. Cos’altro è il sistema dei rating patrimoniali se non un sistema affidato a un automatismo, classificato come “controllo prudenziale”, che nella sostanza realizza appieno il metodo del “ghe pensi mi”, che tanto successo ha avuto in politica?

Accusare la Banca d’Italia di non aver operato i dovuti controlli è ingeneroso, perché sarebbe più opportuno soffermarsi sull’operato del guru che ha governato la nostra finanza pubblica, che non ha saputo o voluto accorgersi dei limiti di una legislazione che lasciava allo stesso sistema bancario il controllo di sé stesso. A questo bisogna aggiungere che la possibilità di poter operare sui mercati finanziari internazionali consentiva la formazione di poste patrimoniali virtuali con operazioni che avvenivano al di fuori dell’operatività della nostra banca centrale.

Il vero buco nero è la carenza legislativa. In nome di una deregulation che ha non solo depenalizzato i reati societari, ma ha anche eliminato qualsiasi vincolo all’operatività di queste piovre finanziarie, si è creata una miscela esplosiva che ha generato la profonda crisi da cui non riusciamo più a risollevarci.

In particolare vi sono due aspetti che sono particolarmente pericolosi. In primo luogo possiamo annoverare la commistione tra sistema bancario e sistema industriale che ha consentito a tante aziende, soprattutto di grandi dimensioni, a diventare finanziatori di sé stessi, per la presenza delle stesse persone o della stessa provenienza negli organismi bancari e aziendali. L’unico criterio è l’onorabilità secondo il dettato della norma bancaria, senza preoccuparsi della professionalità, competenza e indipendenza nella concessione del credito.

Il secondo elemento è la confusione tra credito e finanza. Alle banche è stata data piena capacità di operare sui mercati borsistici, senza alcuna limitazione per le tipologie di contratti o una netta distinzione della clientela con cui effettuare delle operazioni a rischio. Questo ha comportato che tutte le banche hanno indotto in maniera alquanto dolosa ignari pensionati ad avventurarsi in ardite operazioni speculative servendosi del paravento di dichiarazioni fatte sottoscrivere artatamente. Calcolare l’ammontare delle perdite inflitte ai risparmiatori con questi sistemi molto vicini a truffe legalizzate è quasi impossibile. Parmalat e Cirio sono i casi più eclatanti e clamorosi, ma sono milioni i risparmiatori che piangono lacrime amare per aver sottoscritto dei fondi di investimenti talmente sicuri da provocargli perdite considerevoli del gruzzoletto messo su con tanti sacrifici.

Sarebbe necessario e urgente una netta separazione tra l’attività finanziaria, soprattutto di carattere speculativo, e l’attività bancaria, come raccolta del risparmio e finanziamento del sistema produttivo e delle famiglie. In sostanza distinguere è necessario una distinzione netta tra banca d’affari e banca commerciale.

Questa mancata distinzione ha consentito alle banche di finanziarsi presso la Banca Centrale Europea a tassi prossimi allo zero e utilizzare le somme per investire in operazioni in titoli di stato o speculazioni di borsa, senza alcuna ricaduta sul sistema produttivo. Il “credit crunch” strozza le aziende mentre si scoprono operazioni scandalose che bruciano miliardi di euro senza lasciare alcuna traccia nell’economia reale.

Sono state le banche locali ad aver tentato un impossibile operazione di salvataggio di situazioni sull’orlo del baratro assumendosi rischi che hanno prodotto profonde ferite nei loro bilanci. Le vicende delle BCC calabresi sono una dimostrazione dello sforzo titanico di stare a fianco delle famiglie e delle imprese in un momento di crisi. Gli errori di gestione si sono sommati alla causa principale che ha causato la scomparsa di istituto come la BCC di Cosenza e San Vincenzo la Costa.

Certamente nessuna di esse ha sollecitato comuni o province a sottoscrivere contratti derivati, gli swaps oggi diventati famosi per le tante inchieste iniziate da varie procure italiane, compreso quella di Catanzaro che sta indagando sui contratti della Regione Calabria.

Se vi siamo stati comportamenti penalmente rilevanti come il pagamento di tangenti, sarà la Magistratura a doverlo dimostrare e trarre le logiche conseguenze sul piano penale. Tuttavia, oggi si tenta di criminalizzare operazioni consentite e regolamentate. Tutti gli enti coinvolti non avevano certamente intenzioni criminali, ma si sono serviti di quegli strumenti per sfuggire alle forche caudine del patto di stabilità che impediva qualsiasi forma di investimento.

Gli swaps sono dei contratti speculativi che assomigliano per molti versi a veri e propri giochi d’azzardo. La loro essenza è che si basano sulla volatilità dei mercati finanziari e della struttura dei tassi d’interesse, che nel loro comportamento si avvicinano alla traiettoria del vagoncino delle montagne russe. In questa corsa sfrenata si producono differenze nei prezzi dei titoli e nella struttura dei tassi che consente di realizzare guadagni o perdite rilevanti.

Non è certo un caso se la stragrande maggioranza di questi contratti sono stati sottoscritti nei momenti di bonaccia finanziaria, quando i tassi erano ridotti ai minimi e consentivano agli enti di poter disporre di somme rilevanti sfuggendo a qualsiasi vincolo.

Sotto il profilo politico è un sistema, come l’indebitamento, per trasferire il rischio sulle generazioni future. La disponibilità immediata di somme, anche importanti, è stata una occasione per poter realizzare degli investimenti. Questo è il criterio che si deve utilizzare per poter valutare l’opportunità o meno di quelle operazioni.

Quando l’ente che si è accollato il rischio di tasso ha utilizzato proficuamente la somma ricevuta deve essere considerato virtuoso, poiché ha potuto effettuare manovre strutturali di risanamento del bilancio.

Il caso della provincia di Cosenza è emblematico al riguardo. Ha fatto ricorso agli swaps, utilizzando le somme per investimenti nell’edilizia scolastica e nel miglioramento della viabilità. I risparmi conseguiti con l’eliminazione dei canoni di locazione ha superato l’onere che potrebbe derivare dalla oscillazione dei tassi. Si tratta di un comportamento lungimirante, che non può essere messo in discussione dal gran polverone che ha investito tutte queste operazioni.

Sarebbe stato compito del Tesoro individuare la rischiosità di queste operazioni e disciplinare rigorosamente il loro ricorso da parte degli enti, mentre ha assunto un atteggiamento pilatesco facendo ricadere sugli enti l’onere di una scelta tecnicamente difficile, poiché non vi erano competenze specifiche per una valutazione serena dei rischi che ricadevano sull’ente.

Ma tutti i soloni del ministero che ci stavano a fare?


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