OP

Mezzoeuro

I Golemi, coraggio ed eroismio

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 14 del 6/4/2013


Rende, 31/3/2013


Gjorgj Golemi Araniti Comneni anticipò di anni la resistenza albanese contro i turchi quando ancora Scanderbeg era uno dei più apprezzati comandanti della Suprema Porta

L'eroica lotta condotta dagli albanesi contro i turchi nel Quattrocento è ben nota. Numerose sono state le poesie, i canti, i racconti che si sono diffuse sulle gesta dei tanti eroi che hanno combattuto quelle epiche battaglie, ma poche sono arrivate fino a noi.

Su tutte spicca sicuramente la figura di Giorgio Castriota Skanderbeg, che ha oscurato tutte le altre relegandole in personaggi minori. Egli era nato nel 1405 e morto per malattia nel 1468, all'età di 63 anni, ancora nel pieno della sua vigoria fisica. La sua vita si svolse nel periodo di massima potenza degli ottonami. Il 29 maggio del 1453 essi conquistano Costantinopoli ponendo fine al millenario impero bizantino. L'esercito turco era il più potente e temuto del mondo. Al momento della cadutaa della capitale dell'Impero Romana d'Oriente, Scanderbeg non aveva ancora 50 anni e fino alla sua morte riuscì a tenere testa alle truppe del sultano, restando l'ultimo baluardo della cristianità.

Il padre Giovanni era stato sconfitto da Amurath II nella battaglia di Shales, e fu costretto a dare in ostaggio al sultano i suoi quattro figli, Rapasio, Staniso, Costantino e Giorgio che furono portati alla sua corte ed allevati alla musulmana.1

Giorgio è stato sicuramente la figura più rappresentativa del periodo, celebrato in tutta Europa. Il papa Callisto III lo apostrofò “defensor fidei” e “athleta Christi”, senza però che fosse in grado di dare un concreto aiuto per arginare l'orda turca. Egli dovette sostenere da solo il peso della resistenza agli ottomani. Gli stati europei erano troppo occupati a consolidare il loro ordine interno e proiettarsi alla conquista del mondo. Nel 1492 Cristoforo Colombo avrebbe aperto un nuovo capitolo della storia: nel Mediterraneo i Turchi sconvolgevano l'equilibrio del mondo antico, a Nord si stava costruendo il nuovo ordine mondiale, che a distanza di qualche secolo avrebbe travolto la stessa Sublime Porta Ottomana.

La minaccia turca creava qualche apprensione tanto che il Papa Eugenio IV era riuscito a mettere insieme una coalizione delle potenze europee nella cosiddetta Crociata di Varna (1444-5), che dopo qualche iniziale successo, si concluse con una disastrosa sconfitta per i cristiani, che furono costretti a riconoscere il sultano come il signore dei Balcani. Com'era consuetudine alla fine della battaglia iniziò una sanguinosa carneficina, e tutti i soldati furono passati a fil di spada.

A resistere era rimasta solo l'Albania, con Scanderbeg.

Vi sono molti altri personaggi che si sono distinti per il loro coraggio e l'eroismo dimostrato in quel drammatico momento, che meriterebbero una maggiore attenzione. Tra i più significativi vi sono due membri della famiglia Araniti: Gjorgj e Moisi Golemi Araniti Comneni.

Il primo era il suocero di Scanderbeg, avendone sposata la figlia Donika, “digne, certes, d'un tel père, et vraye idée de toute perfection de beauté”, come scrive enfaticamente Jacques De Lavardin, nella sua Histoire de Scanderbeg, 1621. Ma certamente vi erano solidi motivi economici e politici alla base di questa unione. Scanderbeg era riuscito a riunire tutti i principi e despoti albanesi, e il legame matrimoniale con la potente famiglia degli Arianiti Comneni costituiva un collante importante per mantenere insieme questa coalizione. Il matrimonio era un rinsaldamento del giuramento 2 marzo 1444, nella cattedrale veneziana di San Nicola a Lezhë (Alessio), dove si era costituita una lega difensiva con la partecipazione dei principali principi albanesi e la Serenissima repubblica veneziana.

I festeggiamenti per le nozze rappresentarono un grande momento per tutta l'Albania. Secondo il racconto di Lavardin:

“I principi circonvicini, e quasi tutta la nobiltà del paese assistettero con pompa e incomparabile magnificenza a questa festa. Quelli che non poterono intervenire, l'onorarono con i loro Ambasciatori, e regali sontuosi. In generale con l'affinità si annodava un nodo stretto tra questi due principi, i più potenti dell'Albania: questo lasciava intendere che nel futuro l'unione delle loro forze sarebbe stata la protezione e la difesa della provincia, contro ogni invasione e pericolo di guerra. I Signori di Venezia presenziavano con i loro ambasciatori, i quali recavano ricchi doni da parte del popolo e del Senato della Serenissima; parimenti tutti gli altri principi e potentati gli mostrarono ampiamente la stessa benevolenza … Quello che fu inviato dal Re di Aragona, era talmente singolare e magnifico che si dice che Scanderbeg non lo volesse accettare, e fu convinto dall'insistenza dei suoi parenti e familiari, e le premurose preghiere degli Ambasciatori Spagnoli.”

La famiglia degli Arianiti, o Ariamniti vantava una parentela con i Comneni, una antica dinastia imperiale che aveva regnato per lungo periodo a Bisanzio.

Il cognome appare nelle cronache bizantine già nel 1253, in riferimento a un feudatario Gulem, sposata forse con una cugina dell'imperatrice di Costantinopoli Irena. Questi potrebbe essere uno degli ascendenti da cui ebbe origine il ramo degli Araniti conosciuti con questo patronimico.

L'origine del nome è però sconosciuto, si possono fare solo delle ipotesi, nessuna delle quali è convincente.

La prima è che si tratti di storpiatura di Comneni, per adattarlo al suono albanese. Secondo John Trumper, professore di linguistica generale all'Unical, si tratta di una ipotesi del tutto improbabile, poiché sarebbe un processo molto lontano dalle trasformazioni linguistiche note e riconosciute. Più che una ipotesi si tratta di una suggestione linguistica per una debole assonanza.

La seconda ipotesi è legata ai due villaggi di Golemi i Lartë e Golemi i Poshtëm, nei pressi di Scutari dove gli Arianiti avevano dei possedimenti e varrebbe come “signore di Golemi”. Una ipotesi possibile non suffragata, però, da alcuna documentazione.

La terza lo farebbe risalire all'ebraico “golem”, un essere antropomorfico nominato nella Bibbia, che starebbe ad indicare degli uomini giganteschi, valorosi, sprezzanti del pericolo. Un uso che si ritrova nei romanzi gotici di molti secoli dopo, ma non ha riscontro nella letteratura dell'epoca. L'ultima ipotesi è che sia legato al cognome greco “Golemis o Golemnis”, secondo quanto scrive Gerhard Rohlfs, senza avere alcuna spiegazione di come e perché sia stato utilizzato per gli Arianiti.

Quello che è certo è che si tratti semplicemente di un soprannome che non doveva necessariamente avere un preciso significato, ma è rimasto come patronimico per indicare la famiglia, anche in senso allargato a tutti i componenti del clan (soldati, servitori, contadini ecc.).

Gjorgj Golemi Araniti Comneni, chiamato anche in vari altri modi, anticipò di molti anni la resistenza albanese contro i turchi, quando ancora Scanderbeg era uno dei più apprezzati comandanti della Suprema Porta. Dalla moglie Maria Muzaka, aveva ricevuto in dote un ampio territorio lungo il mare Adriatico, che divenne un baluardo contro l'avanzata ottomana. In seconde nozze sposò l'aristocratica italiana Pietrina Francone. Da due matrimoni ebbe dieci figli, con i quali riuscì ad intessere una serie trama di rapporti con le grandi famiglie balcaniche: Donika aveva sposato Scanderbeg, Vojasava un principe del Montenegro, le altre tre altrettanti rampolli della famiglia Dukagjini.

Gjorgj Golemi riuscì nella difficile impresa di tenere per anni sotto scacco l'esercito turco, costituendo un ostacolo insormontabile per la loro avanzata. Contro di essi combattè numerose battaglie in un conflitto durata circa 35 anni, imponendo la firma di un trattato di pace al terribile Sultano Murad.

Sempre secondo il Lavardin egli era “un uomo insigne e rinomato tanto per l'antica nobiltà della sua famiglia e l'autorità per la grande pratica e scienza militare, e la maestà venerabile del suo viso, un particolare di grande rilievo per il popolo, che aveva al suo servizio una truppa forte e gagliarda tanto di soldati che di cavalieri, che superava in coraggio e diligenza”. Egli era detto il grande tra i Macedoni e gli Albanesi. Scrive il Lavardin:

“Celuy-la est cest Ariamnites, qui a esté recogneu et surnommé le Grand entre les Macedoniens et Albanois. Car il a fait d'insignes et memorables choses pour l'Evangile, et la foy de Iesus-Christ, à l'encontre des Turcs leur donnant de tres lourdes et diverses atteintes et desconfitures: et tant qu'il a vescu, les a persecutez”

Dopo il 1444, con la firma della Lega di Lexhë, di lui si perdono le tracce. La sua morte la si fa risalire a prima del 1463, sulla base di documenti diplomatici veneziani. Nella fantasia e nella poesia popolare egli vive nei boschi tra le montagne di Sopot, dove continua la sua battaglia contro gli odiati nemici della religione e della sua gente. Dopo la sua morte Pietrina ritorna a Lecce con i suoi figli.

Un altro Araniti altrettento meritevole di essere ricordato è Moisi, figlio di Muzaka, fratello di Gjeorg, anche conosciuto come Moisi di Dibra. Moisi è il celebre comandante dell'esercito del Castriota. Un leggendario combattente anch'egli molto celebrato nell'epopea popolare.

Nel 1443-4, durante la Crociata di Varga e sulla scia delle iniziali vittorie dei cristiani, riuscì liberare tutto il distretto di Dibra.

Per un breve periodo nel 1450 - si alleò con i turchi, forse perché la sua figura era offuscata da quella troppo ingombrante del potente congiunto. Ben presto, però, ritornò in Albania e fu perdonato da Scanderbeg, continuando indomito la sua lotta contro i turchi.

Egli fu catturato nel 1464 nella battaglia di Vaikal sul lago di Ohrid. Portato in catene a Costantinopoli, fu scorticato vivo nella pubblica piazza, dimostrando uno straordinario coraggio, insieme a molti suoi commilitoni in quella che venne ricordato come la Strage di Costantinopoli.

La saga dei Golemi (poiché gli Araniti venivano ricordati solo con questo nome) costituiva sicuramente un ricco corpo di componimenti popolari. Di essi solo la “Kënga e Gjorgj Golemit” è pervenuta in maniera più o meno integrale; le altre sono andate perdute o ne rimane solo qualche frammento, come succede per la “Kënga e Moisi Golemit”.

Il contenuto della prima canzone è costituito da un singolo episodio delle vita di Gjorgj Golemi, relativo alla presa e all'incendio di Sopot. Probabilmente doveva fare parte di un corpo più ampio composto da sconosciuti aedi erranti che andavano raccontando le epopee degli eroi albanesi girando per le fiere e mercati.

La freschezza e semplicità dei versi, la linearità dell'ordito poetico, l'immediatezza delle figure denunciano la loro origine popolare. Gjorgj Golemi con il suo esercito si reca a pregare nel Santuario di Santa Maria lasciando sguarnita la città di Sopot, dove vi è anche sua figlia Maria. Ilia Bosi avverte i turchi i quali ne approfittano per mettere a ferro e fuoco la città, e massacrare tutti gli abitanti, rapendo donne e bambini.

Il sabato prima della celebrazione, nello spiazzo davanti il santuario di Santa Maria, vi è una fiera tradizionale, e Gjorgj Golemi e i suoi soldati sono presumibilmente distratti. Nessuno li avverte del pericolo che incombe sui propri cari. Vedono da lontano il fumo dell'incendio delle loro case, e avvicinandosi il cuore si stringe per lo strazio di quanto troveranno. Tutto è perduto, resta solo la voglio insopprimibile di vendetta, che diventa l'unico scopo della vita.

Sono sufficienti poco tratti, qualche figura abbozzata per raccontare una immane tragedia, il dolore e la disperazione sono scolpiti nell'anima, per impedire che la volontà di continuare la lotta sia fiaccata.

Non si tratta di un lamento per una grande tragedia che ha colpito tutto il popolo di Sopot, ma un canto fiero e quasi di sfida, una testimonianza di orgoglio e di coraggio. Le donne e i bambini si armano di coltelli, spade e qualsiasi oggetto che trovano nelle loro case e si difendono fino alla morte pur di non subire la vergogna di una sconfitto ignominiosa. Si manifesta un algido disprezzo per gli assalitori che si scagliano contro donne e bambini non avendo il coraggio di affrontare i valorosi combattenti albanesi.

L'accenno a personaggi come Gjel Çeliku, il figlio di Gjorgj mandato bambino in Italia, o Ilia Bosi, il traditore forse accusato ingiustamente, lascia presupporre l'esistenza di altri componimenti in cui si raccontava la loro storia.

Dopo la morte di Scanderbeg nel 1468, la guerra con i Turchi era ormai perduta, perché non si era riusciti a trovare una figura in grado di riunire le varie anime dell'Albania. Costantinopoli era in mano turca da quasi tre lustri e non vi era alcuna possibilità di avere aiuto dall'Europa cristiana. Inizia il grande esodo che porterà molte migliaia di albanesi in Italia.

Si racconta ancora a Cerzeto che i Golemi, italianizzato in Golemme, furono portati incatenati in gabbia, per la loro ferocia e indomabilità del carattere. Questo è ingeneroso nei loro confronti. Essi probabilmente rifiutavano di abbandonare la loro terra e avrebbero preferito morire combattendo, piuttosto che rassegnarsi all'idea dell'esilio, all'esistenza di una vita povera e senza avvenire. Erano forse una intera “fis”, una gens, una stirpe: nobili, servi e soldati accomunati ormai da un unico destino, che portavano nel cuore la struggente malinconia di una patria perduta, dove neanche le ossa dei lori padri avrebbero potuto riposare in pace, profanate dagli infedeli turchi.

Ve ne sono ancora molti, e mantengono la loro natura fiera, il coraggio innato, il rifiuto di fermarsi di fronte alle difficoltà. “Mi rumpu, ma nu' mi qicu”, sembra essere il loro motto, che unisce la testardaggine calabrese alla fierezza arbrësh.

E non si sono fermati qui. In tanti hanno proseguito il loro viaggio in paesi lontani, Inghilterra, Canada, Argentina, Australia ...

BIBLIOGRAFIA

1) Antonio Bellusci, Magia e credenze popolari, ricerca etnografica tra gli albanesi d'Italia, Cosenza 1983

2) Chalcodile Athenien, L'histoire de la decadence de l'Empire Grec et establissement de celuy des Turcs, avec la continuation de la meme histoire depuis la ruine du Péloponese iusques a l'an 1612 par Thomas Artus d'Embry, Chez Claude Sonnius et Denys Bechet, Paris 1650

3) Jacques de Lavardin, Histoire de Scanderbeg, Parigi, 1621

4) Ralph-Johannes Lilie, Bisanzio, la seconda Roma, Newton-Compton, Roma 2006 (Prima edizione tedesca: Bysanz. Das zweite Rom, Siedler Verlag, Berlin 2003)

5) Gerhard Rohlfs, Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria. Longo, Ravenna, 1977


Articolo in pdf


Inizio pagina


C O P Y R I G H T

You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the ©opyright rules included at my home page, citing the author's name and that the text is taken from the site www.oresteparise.it.

Il copyright degli articoli è libero. Chiunque può riprodurli secondo le @ondizioni elencate nella home page, citando il nome dell'autore e mettendo in evidenza che che il testo riprodotto è tratto da http://www.oresteparise.it/.