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Mezzoeuro

Michele Bordin tenta il rilancio del suo movimento

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 43 del 26/10/2013


Rende, 24/10/2013


La ricerca Svimez ha mostrato un quadro allarmante del Mezzogiorno. La Calabria è la regione più debole in un territorio in affanno. Nei momenti di crisi sono i territori più svantaggiati a offrire le occasioni migliori di sviluppo, attuando la politica del "fare". Il Movimento creato da Giannini realizza perfettamente lo slogan ma ...

Nel salone degli specchi della Provincia, Michele Bordin, presidente di "Fare per fermare il declino", ha rilanciato l'organizzazione creata da Oscar Giannino, dopo il cocente flop elettorale che l'ha vista relegata tra le formazioni politiche da prefisso telefonico.

"Cosenza, bella città, belle persone e parecchie in una bella sala. Ora speriamo che la conversazione sia utile", twitta lo stesso professore Bordin. Il dibattito è stato moderato da Sergio Allevato, presidente Fare per Fermare il Declino – Calabria, che ha introdotto i lavori richiamando la recente analisi Svimez sul declino del Mezzogiorno, che in questo ultimo quinquennio ha perso quasi tre milioni di persone e non riesce più a garantire un futuro ai propri cittadini.

Il magnifico Salone degli Specchi è la cornice adatta per un incontro elitario che vuole lanciare la rivoluzione liberale. Il Termidoro è iniziato con il ghigliottinamento di Berlusconi e la fine del periodo di involgarimento politico e sociale. Nulla di più lontano e diverso dalle "convescion" a cui abbiamo assistito attoniti in questo lungo ventennio. La sobrietà del linguaggio, l'austerità delle analisi sono quanto di più lontano possibile dagli slogan urlati, dai proclami con i quali si tenta di interpretare la pancia del Paese.

La presenza di Beniamino Quintieri, in qualità di presidente di Italia Futura Calabria, contribuisce a questo clima di austerity accademica. Sembra di assistere a un solenne seminario dottorale con la partecipazione di una qualificata rappresentanza di studiosi piuttosto che un incontro politico. Il professore Latorre, ancora Rettore dell'Università, tenta di portare riportare il dibattito su un terreno più popolare. Il suo discorso sembra però un riaffiorare del doroteismo, con uno sguardo nostalgico a un passato quando all'analisi rigorosa dei bisogni e delle problematiche si preferiva la contrattazione clientelare volta a catturare il consenso.

Michele Bordin invita a guardare in avanti, a ricercare il consenso dei posteri sui risultati conseguiti piuttosto che accontentarsi della rincorsa di una ricompensa immediata in termini di potere. L'insegnamento della Thatcher, la lady di ferro recentemente scomparsa, costituisce un esempio nel metodo e nella pratica politica. Non ha goduto di una grande popolarità per l'amarezza delle medicine somministrate all'Inghilterra, ma è riuscita a mettere sulla giusta rotta un paese in declino.

Nell'azione di governo è necessario il rigore dell'analisi e decisioni coraggiose, spesso in antitesi con i sentimenti popolari espressi attraverso i sondaggi. Non si governa con la pancia, ma con la testa, potrebbe essere il motto di questo movimento.

Un ventennio di berlusconismo insegna che si può fare a meno dei lettori di Repubblica e del Corriere della Sera, degli intellettuali e della stampa internazionale, delle università e delle ricerche sofisticate, poiché la grande maggioranza degli elettori si abbevera unicamente alla fonte televisiva, si appassiona alle trame delle telenovelas, insegue le voci del gossip, si lascia intrappolare nella gabbia delle epopee calcistiche. Insegna anche che un simile approccio porta inevitabilmente al declino economico-sociale e al decadimento etico-morale.

Fuori le idee, fuori i progetti, fuori i programmi, basta con il populismo, il consociativismo, il clientelismo, la rincorsa del consenso con l'illusione e l'inganno. Parole sagge, propositi nobili che forse trovano un ostacolo insormontabile nella difficoltà di trovare un seguito adeguato per poterli realizzare.

Beniamino Quintieri espone con pacatezza analisi e propositi condivisibili, soggetti alla stessa condanna di estraniamento rispetto a una società refrattaria a ascoltare discorsi rigorosi che richiedono interventi correttivi importanti per uscire da questa crisi. Il problema vero è il peso che i due movimenti sommati assieme riescono a ottenere. Il dramma è che siamo ancora alla somma di elementi eterogenei che vogliono mantenere la loro identità cellulare poiché ciascuno reca nel suo DNA il ricordo genetico di un organismo diverso.

“La situazione economica italiana e del Mezzogiorno” è il tema del dibattito. Un focus appropriato su un aspetto politica italiana che in questo lungo decennio è stato volutamente trascurato. Il Mezzogiorno muore, ma nel suo lento declino finirà per trascinare l'intero Paese. Sembra giusto e opportuno ripartire da qui. Nei momenti di crisi, sono le aree più svantaggiate a offrire le opportunità più favorevoli.

C'è bisogno di un grande sforzo per superare le barriere culturali che hanno impedito di attuare una politica di convergenza tra le due aree del Paese. La Germania ha dimostrato che in pochi decenni è possibile colmare il gap tra regioni diverse. L'atout è stato l'abbandono della pratica dei trasferimenti a fondo perduto e l'attuazione di un vasto programma di riforme con le quali si sono ricostituite le condizioni di contesto che consentono di poter eliminare il gap strutturale e rendere convenienti gli investimenti.

Il maggior problema del Mezzogiorno è la sua scarsa attrattività per le externalities negative che appesantiscono il business plan di qualsiasi investimento. La politica degli aiuti ha prodotto un tessuto industriale che in pochi anni si è dissolto al confronto con il mercato. L'unico momento di crescita si è prodotto con la Cassa del Mezzogiorno e gli investimenti in opere pubbliche. Il recente rapporto Svimez sottolinea che si ha bisogno di un nuovo protagonismo della mano pubblico per la realizzazione dei driver di sviluppo, eliminando i ritardi nei settori strategici, dall'energia alla tecnologia avanzata e la ricerca.

Una cauta e timida critica al federalismo leghista che ha contribuito in questi anni a approfondire il divario introducendo elementi di irrazionalità nell'organizzazione dello Stato. Michele Bordin ha richiamato la necessità di riportare a livello statale alcune competenza e pervenire a una semplificazione delle autonomie locali, con una riduzione del numero delle regioni e dei comuni, confermando la necessità dell'abolizione delle province e la suddivisione del territorio in poche macroregioni. Una riforma indispensabile per ridurre gli sprechi e gli arbitri che hanno generato profonde distorsioni nella spesa pubblica.

L'incontro è stato molto stimolante e ha fatto registrare un elevato numero di interventi, a dimostrazione dell'interesse dell'argomento e dell'ansia di rinnovamento che percorre una ampia fascia di elettorale che non riesce però a trovare conferma nelle urne per la frammentarietà dell'offerta politica.

La sfida è quella di trasformare un grande movimento di idee in un movimento di massa per incidere sulla realtà politico sociale. Una sfida resa difficile dalla frantumazione del quadro politico e dalla presenza di troppi attori che si candidano a essere protagonisti del cambiamento.


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