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Mezzoeuro

Un calabrese al comando

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XII num. 46 del 16/11/2013


Rende, 15/10/2013


Emilio Contrasto Segretario Generale di UNISIN Falcri – Silcea

Una elezione plebliscitaria in riconoscimento della sua competenza e della rappresentatività, si appresta a guidare il secondo sindacato autonomo dei bancari in un momento particolarmente delicato per l'acuta crisi e le profonde trasformazioni che interessano il settore.

Unisin nasce dalla fusione di due sindacati Bancari, FALCRI E SILCEA, e rappresenta oggi uno di più rappresentativi del settore. Nel Congresso straordinario, svoltosi a Tivoli, il calabrese Emilio Contrasto (dipendente di Banca Carime – Gruppo Ubi Banca), è stato eletto Segretario Generale Nazionale di UNISIN. Egli eredita il testimone da Aleardo Pelacchi. Emilio Contrasto sarà affiancato da due Vice Segretari Generali, Claudio Gulinello (Intesa Sanpaolo) e Sergio Mattiacci (Banca Monte dei Paschi di Siena). Gli altri componenti della Segreteria Nazionale sono Roberto Ferrari (Banca CR Firenze), Joseph Fremder (Bnl/Bnp Paribas), Antonio Liberatore (Intesa Sanpaolo), Angelo Peretti (Unicredit), Gabriele Slavazza (Intesa Sanpaolo), Roberto Vitantonio (Unicredit).

Complimenti ed auguri, dott. Contrasto

Ho accettato l'incarico per spirito di servizio, e per il sostegno ricevuto da tanti amici ai quali va il mio sincero ringraziamento per la fiducia che hanno voluto accordarmi. Sono però cosciente che il settore bancario sta vivendo un momento molto delicato e il mio sarà un compito gravoso poiché si dovranno affrontare le tante sfide che abbiamo davanti a cominciare dalla disdetta unilaterale del CCNL da parte dell'ABI nello scorso mese di settembre.

Quali sono i motivi che hanno indotto ABI ad un comportamento così radicale?

Le banche attraversano un momento molto delicato e non godono di un giudizio positivo da parte dell’opinione pubblica poiché sono ritenute, a torto o a ragione, in qualche modo responsabili del grave stato di crisi in cui ci dibattiamo ormai da anni. Sono anni difficili per i bilanci delle banche e si cercano rimedi. Purtroppo, in molti casi, invece di ragionare su strategie di sviluppo e di medio/lungo termine si preferisce agire sulla leva del costo del personale in quanto ritenuta di più facile azione. Ciò è inaccettabile, non è assolutamente possibile che a pagare il prezzo degli errori del management siano sempre le lavoratrici ed i lavoratori.

C'è stata una forte risposta della categoria a questo tentativo di far ricadere su di loro il costo della crisi.

Erano anni che non si registrava un successo così pieno e caloroso da parte della categoria allo sciopero. I bancari hanno voluto dare una scossa, un segnale inequivocabile che non accetta soluzioni semplicistiche, perché non intendono diventare il capro espiatorio di una politica bancaria fallimentare. Il contratto nazionale scadrà il 30 giugno prossimo e vi è tutto il tempo per discutere senza dover accettare i diktat dell'ABI. Bisogna essere coscienti che la sparizione della classe media costituisce un elemento di forte negatività. Il sistema si è bloccato, poiché la piramide sociale si è schiacciata verso il basso, da cui emerge un vertice di retribuzioni irrealistiche che non possono essere più giustificate e tollerate.

Ma il disagio delle banche è reale e bisogna dare una risposta alle loro difficoltà poiché senza una sana politica bancaria non si esce dalla crisi.

Non si vuole certo negare che stiamo attraversando un momento critico, ma bisogna individuare i nodi reali che appesantiscono i bilanci delle aziende di credito. Per favorire la competitività è fondamentale che vengano rimosse le anomalie regolamentari che le penalizzano. In primo luogo, esse devono recuperare la loro vocazione commerciale e orientarsi effettivamente ai territori di riferimento. Sino ad oggi, invece e incomprensibilmente, l’interesse dei banchieri è stato rivolto a modelli di banca concentrati sull’attività speculativa, ripeto senza strategie di lungo periodo. Finora hanno vissuto sull'ipotesi che sarebbe stato sufficiente qualche sofisticata operazione sui mercati finanziari internazionali per assicurare bilanci in utile. Questo comportamento si è rivelato fallimentare. Potrebbe, a limite, portare benefici di corto respiro in un momento di crescita ma accumula tossine che si sprigionano nei momenti di crisi, contribuendo al peggioramento della congiuntura negativa e mettendo altresì a repentaglio la stessa sopravvivenza delle Banche.

ll comportamento delle banche ha fin qui contribuito all'inasprimento della crisi.

Non si possono addossare alle banche tutte le responsabilità della crisi. Il ritardo e la difficoltà dell’Italia registrano un aggravamento anche per le politiche economiche procicliche, improntate all’austerity e prive di misure in grado di favorire l’avvio dell’auspicata ripresa, ma esse hanno comunque certamente contribuito a tale situazione. Il “credit crunch” è posto in essere dalle Banche in misura prevalente verso la clientela “comune”, famiglie e imprese medio-piccole, che da sempre costituiscono l’elemento trainante dell’economia italiana e non trova analogo comportamento nelle “elargizioni” concesse in nome del cosiddetto “capitalismo di relazione” e delle cosiddette “operazioni di sistema”. Come rilevato nel nostro Congresso, le difficoltà del contesto sono strumentalmente utilizzate dalle Banche quale fondamento per orientare la loro attività verso operazioni di natura finanziaria a discapito del sostegno all’economia reale. In tal senso, sono certamente discutibili alcune note operazioni creditizie, che hanno originato svariati miliardi di euro di sofferenze che le Banche intenderebbero ora far pagare alle Lavoratrici ed ai Lavoratori, continuando anche a riconoscere ricchi compensi e prebende allo stesso Management responsabile di aver progettato ed avallato le suddette operazioni.

Questo significa chiedere una rivoluzione nel sistema retributivo

Bisogna rivedere in profondità il sistema di retribuzione dei manager, rivisitando il sistema dei bonus legati ai risultati, che esasperano la ricerca di massimizzazione a breve termine a scapito di una strategia di lungo periodo. Certe retribuzioni sono francamente scandalose. Tutto il sistema andrebbe rivisto dalle fondamenta, poiché l'allargamento della forbice delle retribuzioni costituisce uno degli elementi fondamentali che provoca la contrazione dei consumi. In Svizzera sono stati organizzati referendum popolari per porre un tetto a questi sistemi che provocano grandi e gravi ingiustizie sociali.

Quali sono le rivendicazioni che intendete proporre per il rinnovo del contratto?

È necessario costruire strategie di lungo periodo, effettivamente performanti, in grado di rispondere alle esigenze della responsabilità sociale delle Imprese e tutelare interessi primari come quelli della tutela del risparmio e dell’assistenza reale a famiglie ed aziende effettivamente meritevoli. Il personale bancario ha la professionalità e la competenza per proporsi come interlocutore delle famiglie e delle imprese del territorio. Rifiutiamo la descrizione di ABI di un personale culturalmente distante dalle nuove esigenze del mercato e incapace di affrontarle. Non accettiamo, inoltre, le richieste di controparte su flessibilità in uscita, sul devastante ricorso ad una deregolamentazione selvaggia ed alle facili esternalizzazioni. Tutto ciò determinerebbe la deprofessionalizzazione del Personale. Soprattutto, difendiamo la rete commerciale, rifiutando il progetto di una rivisitazione in senso restrittivo con la chiusura di filiali che costituirebbe anche un pericolo per i livelli occupazionali e un danno per la clientela che perderebbe il rapporto con la Banca / Persona sostituita da una Banca automatizzata e spersonalizzata. Non è inoltre pensabile che le Banche continuino a credere sacrifici economici agli oltre 300.000 addetti del settore ed alle loro famiglie.

La libertà di circolazione dei capitali finanziari senza regole e controlli pone dei seri ostacoli a qualsiasi politica creditizia.

L'esistenza dei paradisi fiscali e la persistente assenza di una seria azione di contrasto al fenomeno di capitali italiani esportati all’estero, stimati tra i 200 e i 300 miliardi di euro, rappresentano un forte freno alla ripresa e alla crescita dell’economia. È un fenomeno che va affrontato in sede europea, ma non più rinviabile. La deregulation doveva portare all'abolizione di regole e vincoli inutili e contraddittori, non all'anarchia finanziaria. Questo è risultato evidente anche a livello di Unione Europea e credo che sarà uno dei campi di battaglia più importanti del prossimo futuro.

La crisi non può essere superata solo con interventi di carattere finanziario e creditizio.

È necessaria una politica di riforme strutturali per il riequilibrio del bilancio e delle finanze pubbliche che privilegi i fattori di sviluppo reali, che salvaguardi pensioni e sanità che continuano ad essere sacrificate in favore della rendita finanziaria e degli interessi delle lobby, che diano una risposta alla precarietà ed alla disoccupazione, soprattutto giovanile e che rilancino i consumi per avviare una effettiva ripresa.

In che modo le banche possono aiutare il Mezzogiorno e le aree deboli?

In primo luogo è necessaria una separazione tra istituti finanziari che si dedicano a operazioni speculative e banche commerciali che devono essere protagoniste della politica creditizia sul territorio. Il modello di banca universale si è rivelato troppo pericoloso e incontrollabile, poiché le banche hanno progressivamente abbandonato i territori, si sono concentrate sulle operazioni speculative dove – peraltro - non sono necessari grandi numeri di lavoratori. Inoltre, hanno ritenuto che fosse possibile procedere ad una selvaggia contrazione del costo del lavoro, nella convinzione che l'informatizzazione avrebbe risolto qualsiasi problema, lasciando a sé stesse famiglie, imprese e rinunciando alla necessaria relazione con la clientela, sacrificando anche professionalità e conoscenze acquisite dal Personale in anni di attività ed esperienza. Come è stato ribadito in sede congressuale sono convinto che una forte azione sindacale possa contribuire a innescare quella non più rinviabile profonda riflessione sul ruolo delle banche. È necessario che tornino ad essere un effettivo volano per la crescita economica, presupposto indispensabile anche per l’incremento dei livelli occupazionali. In questa ottica, particolare attenzione va prestata alle aree del Mezzogiorno, che registrano una pericolosa ulteriore recessione con gravi ripercussioni sociali. Lo sviluppo delle potenzialità che pure le regioni del Sud Italia esprimono, potrebbero rappresentare una ulteriore spinta per la crescita economica complessiva del Paese intero.

Quali sono le linee guida che intende perseguire nella sua azione sindacale?

Uno dei problemi più urgenti è il riequilibrio della distribuzione della ricchezza prodotta, con un recupero di potere di acquisto da parte dei lavoratori. Inoltre, è necessario sostenere le aree più disagiate del Paese. Non si tratta solo di un problema di giustizia sociale, ma di una necessità inderogabile per rilanciare l'economia. In tal senso, particolare attenzione da parte delle banche, va prestata al sostegno delle aree meridionali le cui potenzialità economiche e produttive non sono supportate adeguatamente. Non bisogna dimenticare il potenziale pericolo rappresentato dal crescente disagio sociale provocato dall'attuale fase recessiva che interessa fasce sempre più ampie di famiglie. Il segnale di compattezza inviato in questi giorni con la massiccia partecipazione dei lavoratori bancari allo sciopero è un chiaro segnale di disagio di una categoria intera considerata ancora oggi, a torto, privilegiata. Su tali problematiche la compattezza del fronte sindacale è un elemento fondamentale per tutelare le lavoratrici ed i lavoratori del settore e poter anche efficacemente intervenire sulle banche al fine di metterle di fronte alle loro responsabilità e spingerle a tornare a fungere da effettivo volano per la crescita economica del Paese.


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