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Il giorno dopo
di Oreste Parise - Rende, 8 marzo 2005


Con il calar della sera, un buco nero inghiottiva quel che rimaneva di Cavallerizzo. Il buio profondo ed un silenzio irreale avvolgeva le case vuote e le tombe del cimitero: anche le sue flebili luci si erano spente.  

Lentamente il cielo si ricopriva di un biancore spettrale lasciando cadere fiocchi immacolati che si adagiavano lenti sulle macerie, adornando gli alberi nudi, con i rami nodosi che si andavano ricoprendo di soffici e possenti muscoli. Al tenue biancore apparivano le ombre delle case, nelle quali sembravano aggirarsi i fantasmi della notte.

Si è svegliata sotto una coltre di neve il giorno dopo. Erano anni che non appariva così bianca ed immacolata. Sembrava volesse mostrarsi in tutto il suo splendore per l'ultima volta, nascondendo le sue profonde ferite, cercando di coprire le macerie delle case, il fango che aveva invaso le vie. Non vi era nessuno ad ammirarla, a respirare l'aria frizzante di una giornata di fine inverno. Non era un giorno qualsiasi. Tutti i suoi abitanti erano altrove, in fuga da un nemico sconosciuto che gli aveva teso un'imboscata, lungamente attesa, ma che li aveva colti di sorpresa nel sonno. Si erano riuniti in alloggi di fortuna presso parenti ed amici lasciando le case vuote, i camini spenti, gli animali vaganti tra le strade.

neve7.JPG (67524 byte)Era stupenda Cavallerizzo quell'otto marzo ammantata nel suo sontuoso vestito bianco da sposa. Voleva ammaliare tutti coloro che l'avevano amata coprendosi con un velo bianco risplendente al sole, coprendosi sotto una coltre immacolata. 

Non vi erano bimbi vocianti tra le sue viuzze, che si rincorressero gettandosi palle di neve, né omini bianchi con il naso di carota. Le loro mamme non erano intente ad organizzare la festa delle donne, ma ad asciugare le lacrime sui loro visi tristi, che non riuscivano a capire perché non potessero ritornare nelle loro case, a riprendersi i giocattoli, a tuffarsi sul lettone combattendo una allegra guerra di cuscini.

Solo qualche animale si aggirava tra le vie: le pecore di Armando Tudda, che belavano disperate, nascoste insieme ai maiali di Pietro Golemme. Il cane di Micuzzo e la gatta di Virgilio che si rincorrevano per proteggersi dal freddo. Non mangiavano da più di un giorno e si chiedevano stupiti che fine avessero fatto i loro padroni. 

Sotto il morbido peso della neve, le case continuavano a scivolare giù, lentamente, dolcemente ...


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