Cerzeto
In alb. Qana - Chiansy, nella trascrizione di V. Padula

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È una delle colonie fondata dagli albanesi in fuga dalla madrepatria sotto l'incalzare dei turchi invasori; fu ospitata in uno dei vastissimi possedimenti di Pietrantonio Sanseverino onde intensificare in quei luoghi le pratiche dell'agricoltura. Tutto ciò in una località dove erano particolarmente numerose le querce, da cui il nome: Cerzeto. Già suffeudo di San Marco, nel sec. XVII, appare infeudato ai Cavalcanti.

Cerzeto o Cerzito, terra in provincia di Calabria Citra in diocesi di Sanmarco, distante da Cosenza miglia 34, e 12 dal Mediterraneo. Nelle situazioni del regno è chiamato Cerzito Albanese. Si dice che nel 1521 molte famiglie albanesi sloggiate da Epiro, e Mor ea edificarono questa terra in un querceto di spettanza al principe di Bisignano Pier Antonio Sanseverino. In lingua albanese si appella Chian, in somiglianza dell'altro paese pure albanese, sito in Sicilia 15 miglia distante da Palermo, detto la Chiana.

La sua situazione è sul pendio della catena degli Appennini, e propriamente sotto quelli appellati Santelia, e Serravendola, in luogo quasi inaccessibile. Il territorio da Sud confina col Vallone detto Vecchietto, inoggi Calvano, che la divide con Sangiacomo. Dall'Est col tenimento di Torano; dal Nord col fiume Saltoroggiero, inoggi Mastrofilippo, oppure di Cerzeto, e dall'Ovest giusta la Montagna Magna, da dove si unisce col fiume Finita.

L'aria è molto sana, ma alcuni cittadini, che praticano nelle vicinanze di Crati, o in quei contorni, si ammalano benvolontieri, e per l'aria mefitica, che vi si respira.

Il terreno di sua natura è sterile. Il fiume di già accennato ha la sua sorgiva da una selva di castagne, appellato Sticano, sita alle falde degli Appennini; indi a tre miglia prende poi il nome di Turboli, e si unisce col Crati. Nelle parti boscose vi è caccia di lepri, lupi e caprj, e similmente di molte specie di pennuti.

Nel 1545 quella popolazione fu tassata per fuochi 27, nel 1561 per 32, nel 1595 per 24, nel 1648 per 50, e nel 1660 per 45. Inoggi ascende al numero di 500, la massima parte è addetta all'industria de' bachi da seta. Il lor linguaggio è già albanese, e così anche il vestire, e le costumanze le han ritenute, come se essi appunto fossero i trasmigrati. Nell'esequiite praticano le Nenie degli antichi: Costume peraltro, che si pratica in più altre parti delle Calabrie, e della Basilicata.

È infeudata alla famiglia Spinelli de' Marchesi di Fuscaldo. (Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli di Lorenzo Giustiniani, Napoli 1805)

Osserva il rito latino. Racconta Pompilio Rodotà (in Dell'origine, progresso, e stato presente del rito greco in Italia, osservato, dai greci, monaci basiliani, e albanesi, vol. III, Roma 1763). "I Castelli di Pizzillo altrimenti detto di S. Caterina, di Mongrassano, Cervicato, Casalicchio, Cersito, Serra di Leo, e Cavallarizzo, rimasi privi di sacerdoti greci l'anno 1607, furono obbligati dalla necessità di dover ricevere per direttori i Latini. Poco dopo rappresentarono alla Suprema Inquisizione la comune brama d'essere restituiti al rito greco; giacché i loro figliuoli, e le femine particolarmente ignare della favella italiana, e soltanto intese dall'albanese, non potev ano che con pena aprire i segreti de' loro cuori ai Sacerdoti latini. Ciò non ostante fu rigettata l'istanza con decreto de' 21 marzo del 1609".

La Chiesa di San Giacomo Apostolo nota anche come di Pietro e Paolo, è di origine secentesca. Più volte rimaneggiata, contiene belle opere lignee tra le quali, un tabernacolo intagliato del sec. XVIII, un pulpito e un confessionale della stessa epoca, pregevoli e delicati arredi e paramenti sacri. Di rilievo, alcune statue processionali e cinque altari dedicati rispettivamente a: S. Giuseppe, S. Pietro e Paolo, S. Francesco di Paola, Madonna del Rosario e Madonna delle Grazie.

La Chiesa della Madonna del Buonconsiglio sede dell'omonima confraternita, è di origine secentesca con rifacimenti di epoca successiva: all'interno, decorato con stucchi in stile barocco, alcune buone statue processionali.

Si credeva che in questo paese ci fossero le Magare. A loro veniva attribuita la causa di tutte le malattie croniche che affliggevano i giovani. L'antidoto era affidato ad un'altra magara la quale bruciava nella stanza dei capelli di una zitella, cospargeva l'ammalato con un unguento ottenuto dalla bollitura di lucertole, rospi, serpenti, ossa di morti ed erbe rare e sconosciute che ella cercava da sola nei boschi. Poi lo si faceva coricare da solo in un letto pieno di stracci colorati, capelli, erbe e grasso.

Anche quì viene organizzata una festa simile a quella di San Nicola della vicina Sartano, con la differenza che i pani votivi vengono infilati nelle bracce del Santo.

Sull'altura di Serraventola, che sovrasta l'abitato, si dice che ogni tanto appaia il afntasmo di una giovanetta che incanta i viandanti e l ifa precipitare nei crepacci. Si racconta che un giovane pastore che suonava la zampogna vide la figura trasparente della donna avvicinarsi a lui e chiedergli di suonare una dolce armonia. Il malcapitato pastore rimase di sasso e i compaesani che lo cercavano dappertutto, lo trovarono petrificato e , per giunta, con i vermi in bocca. Fortunatamente dopo poco tempo si riprese, ma non era lo stesso di prima: appariva sempre melanconico e con la testa chissà dove.

Nella zona montana, ai confini con il comune di Fagnano Castello, da lungo tempo è stata istituita la RNS (Riserva Naturale Statale) di "Serra Nicolino - Piano d'Albero", che ha una estensione di 140 ettari. Si tratta di un'area recintata e totalmente selvaggia, per la tutela e la valorizzazione della flora e della fauna. La Riserva è gestita dal Corpo Forestale dello Stato, alla quale ci si può rivolgere per una visita.

A Sartano, frazione di Torano, sopravvive un vecchio culto latino nella festa di San Nicola che viene organizzata il 6 dicembre dai massari. Il santo nella tradizionale raffigurazione con le tre sfere, reca appeso al braccio un nastro rosso. Man mano che la processione si snoda per le strade del borgo, la gente infila nelle stanghe che si allungano dalla base ove è poggiata la statua, dei pani votivi detti «cullacci», il tutto mentre si offre da bere ai portantini. In chiesa il sacerdote distribuisce i panini benedetti, poi taglia il nastro rosso e lo distribuisce, a pezzetti, ai contadini affinchè possano legarlo alle corna dei buoi e vengano così posti sotto la protezione divina; contemporaneamente tutt'intorno la festa continua col suono della zampogna confuso in un gran baccano, perchè «Santu Nicola vo' ra ciroma ca s'unna vida 'un rida».

Fidanzamento: l'innamorato adorvìnova la porta della casa della amata con un arco di fiori, con al centro appeso l'anello di fidanzamento. Se i fiori venivano ritirati, equivale ad un assenso al fidanzamento. L'arco era costituito da due virgulti di ciliegio uniti assieme adornato di fiori. In primavera si utilizzavano fiori di erica.

All'Epifania si scambiavano l'augurio di "Buona Pasqua".

A Pasqua amici e parenti stretti "mirreshin me riqe": si appendeva un un bouquet di fiori alla porta. Il padrone di casa li riceveva con qualche dono. Mos ngë jipjin fare gjë, veviva cantata la canzone:

Lule,lule, sa ka kjo lule
Aq tumen me kukule
Aq tumen grurë e mollë
sa të nzojin ndë një kamisollë.

Luigi Bilotto, La Provincia di Cosenza: una guida; Edizioni Santelli, Mendicino, Via Pasquali, 85, Catalogo 1996.

NOTA

Molte delle notizie riportate sono riprese da Vincenzo Padula (vedi oltre) e si riferiscono all'abitato di Cerzeto. La Chiesa della Madonna del Buonconsiglio è nella frazione di San Giacomo. Anche a Cavallerizzo, nella processione di San Giorgio, il 23 aprile, si usa offrire kulaçet al Santo; per maggior devozione si offrono anche galli, capretti o agnelli che poi vengono posti come premi alla riffa serale organizzata per raccogliere fondi per i festeggiamenti.


Nel "Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli" di Lorenzo Giustiniani, Napoli per Vincenzo Manfredi, 1797, si legge:

Cerzeto, o Cerzito, terra in provincia di Calabria Citra, in diocesi di Sanmarco, distante da Cosenza miglia 34 e 12 dal mediterraneo. Si dice che nel 1521 molte famiglie albanesi sloggiate dall'Epiro e Morea edificarono questa terra in un querceto di spettanza al Principe di Bisignano Pierantonio Sanseverino. In lingua albanese si appella Chian, in somiglianza dell'altro paee pure albanese, sito a 15 miglia distante da Palermo, detto la Chiana.

La sua situazione è sul pendio della catena degli Appennini, e propriamente sotto quelli appellati Santelia, e Serraventola, in logo quasi inaccessibile. Il territorio da Sud con fne con il vallone detto Vecchietto, inoggi Calvano, che la divide da Sangiacomo. Dall'est con il territorio di Torano; dal Nord col fiume Saltoruggiero, inoggi Mastrofilippo oppure di Cerzeto, e dall'ovest giusta la Montagna Magna, da dove si unisce col fiume Finita.

L'aria è molto sana, ma alcuni cittadini, che praticano nelle vicinanze di Crati, o in quei contorni, si ammalano benvolentieri, e per l'aria mefitica che vi si respira.

Il terreno di sua natura è sterile. Il fime già accennato ha la sua surgiva da una selva di castagne, appellata Sticano, sita nelle falde degli Appennini; indi a tre miglia prende poi il nome di Turboli, e si unisce col Crati. Nelle parti boscose vi è caccia di lepri, lupi e caprj, e similmente di molte specie di pennuti.

Nel 1545 quella popolazione fu tassata per fuochi 27, nrl 1561 per 32, nel 1595 per 24, nel 1648 per 50, e nel 1660 per 45. Inoggi ascende al numero di 500, la massima parte è addetta all'agricoltura ed alla pastorizia, facendo pure qualche industria de' bachi da seta.  

Il loro linguaggio è già albanese, e così il vestire, e le cotumanze e han ritenute come se essi appunto fossero i trasmigrati. Nelle esequie praticanon le Nenie degli antichi. Costume, peraltro, che si pratica in altre parti delle Calabrie e della Basilicata.

È infeudata alla famiglia Spinelli de' Marchesi di Fuscaldo.


 

Da "La Calabria prima e dopo l'Unità" di Vincenzo Padula"

Sito. Sotto i monti Serraventola e S. Elia che fiancheggiano l'Appennino. Vasto orizonte fino al Jonio: clima freddo, ma sano.

Venti. Predominanti il ponente in primo luogo, poi il levante e lo scirocco.

Rito. Latino.

Quadro di Richelmo da CerzetoMagare. Si credono causa di tutte le malattie croniche che attaccano giovani belli, e belle. A curarle si chiama altra magara, che guarda l'infermo a costui spese: brucia nella stanza capelli di zitella, lo unge con unguento di lucertole, rospi, serpenti, ossa di morti, ed erbe che va a cercare da sè in boschi reconditi. Gli riempiono il letto di cenci di varii colori, capelli, erbe, e sozzure. Se l'infermo muore, la cosa finisce a sangue. Al 1843 Valentino Judda, persuaso che suo fratello moriva per maleficio d'una donna di S. Giacomo, nel cuore del giorno a colpi di scure l'uccide; e Judda fu condannato all'ergastolo, e morì nell'isola di S. Stefano.

Fontane. Croi Magare, l'«acqua del magaro»: ottime acque.

Anticaglie. Nella contrada Rasxi Croi Vonat (cioè «monte di fontana di Vona») i lavoratori, nel '67, trovarono ruderi di antiche fabbriche, e ciarre, e piatti, e vasi di forma antichissima.

Massari. L'anno dei massari comincia a Soverano, quello dei pastori a S. Pietro (29 giugno).

Forni. Privati.

Trappetaro. In un dì fanno 12 tomoli, cioè 4 macine, e le partite danno le spese per ogni macina!

Cotone. Si coltiva.

Fichi. Eccellenti.

Boschi. Varri i Diels (sepolcro di Domenica, fanciulla là uccisa). - Domenica era sorella unica d'unico ed orfano fratello. Costui esce soldato, e la confida ad un cugino, che la fotte, e la fe' madre. Il fratello ottiene il congedo, e si ritira. Domenico va ad incontrarlo. Ei le presenta un uovo avvelenato, e 'l coltello. Ella scelse l'uovo; ma anche poi la stilettò.

Monti. Serraventola è un falso piano di castagne sul Monte dei Muli (che chiamasi così perchè vari muli vi caddero), sotto cui è il paese. E dicono: «Una volta un pastorello sonava la zampogna; era sul finire, quando una fanciulla, seduta sulla cresta del monte, gli volse la parola, esortandolo a continuare. A quella vista al giovanetto sorpreso cade la zampogna, e cade anche lui. E stette così 24 ore. I parenti andarono e lo trovarono coi vermi in bocca; ma stando per seppellirlo il creduto morto risorge» (dicono che il pastorello era Saverio Stamile di San Giacomo).

(Tratto da Vincenzo Padula (Acri 1819 - 1893), in «Calabria prima e dopo l'unità»).


NOTE:

  1. Soverano è una località sulla riva destra del Crati, in comune di Bisignano, nei pressi della stazione ferroviaria di Mongrassano. Vi si teneva una importante fiera annuale di bestiame (Markati i Zuferanës), la seconda domenica di settembre. Vi confluivano gente da tutte le parti della provincia.

    Ricorda Faustino Ricioppo nga Kajverici:

    «E para herë ç' vajta kishnja shtatë vieçe (1929). Vejim a pedi e sat shkoim Kratin nxierijm këpucët se kat kallshim me këmbë brënda ndë ujë. Bisnjanitet qellijn gjindien ngalosh për dy solde ç' nga një anë tjetër të lumit. Ish një markat shumë i madh tek shitshijn e bijehshin pullej, llopa, dhi, dele, rrëpase. Biehëji edhe fara sat e mbiellin ndë vjesht e parë. Atje zëj annata e rea.»

    Traduzione libera:

    "La prima volta che ci sono andato avevo 7 anni, correva l'anno 1929. Andavamo a piedi e per passare il Crati ci toglievamo le scarpe, perchè dovevamo ficcarci con i piedi nell'acqua. I bisignanesi portavano la gente in spalla per due soldi da una parte all'altra del fiume. Era un mercato molto grande dove si vendevano e si compravano asini, mucche, pecore, capre ed i maialini per l'ingrasso. Si comprava anche la semente per la prossima annata. Allora cominciava la nuova annata."

  2. A proposito di magare, Gaia Parise manda una e-mail con la quale segnale una curiosa citazione trovata in un romanzo poco conosciuto: "La Sanfelice" di Alexander Dumas, Adelphi Edizioni, Milano, 1999.

    Il romanzo è apparso a puntate sul quotidiano parigino "Le Presse" fra il 15 dicembre del 1863 ed il 3 marzo 1865 e con uno scarto di qualche mese (dal 10 maggio 1864 al 28 ottobre 1865) sull'"Indipendente", il giornale che proprio a Napoli, Dumas aveva fondato e diretto. Pressocchè contemporanea l'edizione in nove volumi di Michel Lévy, Parigi 1864 - 1865. 

    Nel romanzo appare la figura di Nanno, una maga arbrëshë che predirà alla giovane Sanfelice ed al suo amante il loro futuro e la loro tragica fine. Tutte le cose da lei predette si avvereranno puntualmente...

    Riportiamo qualche brano del romanzo.

    Ecco la prima descrizione di Nanno: "La donna è avvolta in un ampio mantello nero, sulle spalle del quale si vedrebbero brillare, se il buoi lo consentisse, dei fili d'oro consunti, residui di un antico ricamo: ma del suo abito non si scorge nulla, e la sola cosa che luccichi nell'ombra del cappuccio che le copre la testa sono gli occhi".

    Entrata in casa della Sanfelice, predice un funesto futuro al fratello di lei: "La giovane con un certo terrore, rivolse nuovamente lo sguardo verso l'albanese, la quale si era liberata del mantello che ora giaceva a terra, e sotto il quale indossava il suo costume nazionale, consunto dall'uso ma ancora assai ricco; quello che la colpì, tuttavia, non fu il turbante bianco ricamato a fiori un tempo vivaci, che le stringeva il capo lasciandone sfuggire qualche lunga ciocca nera mescolata a fili d'argento, non fu il corpetto rosso intessuto d'oro, e nemmeno l'ampia gonna color mattone a strisce nere e azzurre, bensì gli occhi grigi e penetranti della donna, che la fissavano come se volessero leggerle nel più profondo del cuore".

    Alla giovane Luisa la maga viene presentata da suo fratello di latte (capitolo IX "La Maga"p. 109-110):Il suo fratello di latte, figlio di una sua nutrice, un lazzarone della Marinella, le ha promesso, cedendo alle sue insistenze, di condurre da lei una vecchia albanese, le cui predizioni sono considerate infallibili; del resto, costei non è stata la prima a possedere quelle doti divinatorie che le sue antenate hanno raccolto sotto la quercia di Dodona: da quando i suoi antenati, alla morte di Scanderberg il Grande, ossia nel 1467, hanno lasciato le rive dell'Aoos per le montagne della Calabria, mai una generazione si è estinta senza che il vento che spira sulle rive ghiacciate dei Tomorit (nota: Aoos è l'antico nome del fiume Voiussa, che nasce in Grecia e sfocia in Albania; i Tomorit sono monti dell'Albania.) abbia recato a una novella pizia il soffio della divinazione, retaggio della sua famiglia. Quanto alla giovane...

    Nel successivo Capitolo LII "Dove ricompare Nanno" e LIII "Achille e Deidamia" p. 555 a p. 564, si legge:

    Salvato (protagonista maschile della storia e amante della Sanfelice) viene salvato dalle cure di Nanno. ...Il lazzarone e la cameriera, che non avevano le stesse ragioni del ferito per isolarsi dal mondo circostante, rivolsero lo sguardo verso la porta e gettarono un grido di meraviglia.

    Era entrata Nanno.

    Al grido dei due, Salvato si girò a sua volta e, riconobbe subito la maga e le tese la mano.

    «Buongiorno madre!» - le disse. «Ti ringrazio di essere venuta a trovare il tuo malato; temevo di dover lasciare Napoli senza aver potuto ringraziarti».

    Nanno scosse la testa.

    «Non è per il mio malato che sono venuta», disse «perché il mio malato non ha alcun bisogno della mia scienza; nè sono qui per ricevere ringraziamenti, giacché, avendo fatto solo il mio dovere di montanara che conosce la virtù delle piante, non me ne aspetto neanche. No, sono venuta a dire al ferito...«le campane e i colpi di cannone annunciano» - rispose Nanno - «che re Ferdinando è entrato a Roma e che i massacri sono iniziati». «Grazie», disse Salvato prendendole una mano, «ma che interesse ha a venirmi a dare questo consiglio, tu che sei calabrese e suddita di re Ferdinando?».

    Nanno si erse in tutta la sua imponente statura.

    «Io non sono affatto calabrese»; disse, «sono figlia dell'Albania, e gli albanesi sono fuggiti dalla loro patria per non essere sudditi di nessuno; essi obbediscono e sempre obbediranno solo ai discendenti del grande Scanderberg. Ogni popolo che lotti per la sua libertà è nostro fratello, e Nanno prega la Santa Vergine per i francesi, che combattono in nome della libertà».

    «Va bene» disse Salvato...

    Alexandre Dumas immagina che la magara provenga da Vena di Maida, uno degli insediamenti arbrësh più antichi della regione. A pag. 1351 del romanzo si legge, infatti: «Qui dentro» disse «c'è un costume completo da contadina di Maida. Un volta vestita da albanese, nessuno si accorgerà che è la moglie del cavaliere Sanfelice...»

    Tutte le stampe napoletane tenevano in grande considerazione gli usi ed i costumi di questo piccolo villaggio, oggi frazione del comune di Maida, e ne riproducevano i costumi in eleganti raffigurazioni pittoriche.

    Tuttavia Cerzeto era famoso per la loro presenza, che usavano preparare i loro intrugli a Croi Magarë. L'appellativo di "traditori" che si portano appiccicato addosso, sembra rafforzato dalla loro sinistra presenza. Non ci si può mai fidare completamente di chi è pronto a colpirti con qualche occulto maleficio.

    Degno di nota altresì è il sentimento antiborbonico presente in maniera molto esplicita e manifesta nei discorsi della magara. Cerzeto aveva una lunga tradizione di ribellismo contro il potere costituito, come testimoniato dai tanti condannati, in buon numero anche a morte, per la loro lotta contro i borboni. Altrettanto "entusiasta" fu la partecipazione al brigantaggio post-unitario.

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Gustavo Valente, Dizionario dei luoghi della Calabria, Edizioni Frama's - Chiaravalle Centrale 1973, riporta le seguenti notizie.

Il territorio - kmq. 21,88 - è situato tra quelli dei Comuni di Bisignano, Cervicati, Fuscaldo, Mongrassano, S. Martino di Finita, Torano Castello, nella media valle del Crati, sul versante interno della catena paolana.

L'abitato è sul fianco sud-orientale della Serra dei Muli, a 450 metri sul livello del mare a 41 chilometri da Cosenza, su una strada provinciale con accesso alla Statale 19.

Si vuole fondato da un gruppo di famiglie profughe dall'Albania, alle quali il Principe Pietrantonio Sanseverino aveva assegnato un vasto territorio da coltivare coperto quasi interamente da un querceto, in dialetto Cerzeto, donde il nome, talvolta alterato in quello di Celsito.

Subfeudo della Baronia di S. Marco, per successione femminile pervenne nel '600 ai Cavalcanti. Fu danneggiato dal terremoto del 1905.

L'ordinamento amministrativo disposto dal Generale Championnet nel 1799 lo comprendeva nel Cantone di Acri, Dipartimento del Crati.

La legge francese del 19/1/1807 lo considerava Luogo, ossia Università, e l'includeva nel cosiddetto Governo di S. Marco.

Il riordino effettuato per Legge 4-V-1811 ne faceva un villaggio, ossia frazione, di Cavallerizzo.

Il nuovo ordinamento, dato dai Borboni per Legge 1-V- 1816 ne faceva un capoluogo di Circondario comprendente i Comuni di Cerzeto con le frazioni di Cavallerizzo e di S. Giacomo; Torano, con Sartano; S. Martino, con Santa Maria Le Grotte; Rota, con Mancalavita; Mongrassano, con Serra di Leo.

L 'economia, a fondo agricolo, è basata soprattutto sull'allevamento del bestiame. Gli estesi boschi di querce e di castagni alimentano discrete industrie del legname. Buone qualità di patate, legumi e fichi che vengono essiccati al sole.

L'artigianato è presente con alcuni telai familiari, ed una apposita scuola per la produzione di tessuti rustici, coperte ed arazzi, con tradizionali disegni d'ispirazione orientale.

La popolazione attiva assomma a 902 unità, di cui 511 addette all'agricoltura ed impiegate in 388 aziende a conduzione diretta e in 45 con salariati od a compartecipazione; 89 addette alle industrie; 178 alle costruzioni; 6 all'energia elettrica; 36 al commercio; 16 ai trasporti; 3 al credito; 33 ai servizi; 30 alla pubblica amministrazione. Scolari e studenti 224.

Nel 1545 erano presenti in Cerzeto 27 fuochi; 32 nel 1561; 24 nel 1595; 50 nel 1648; 45 nel 1669. Alla fine del secolo successivo contava 500 abitanti. Pochi anni dopo, nel 1815, gli abitanti erano 1.628; nel 1825 se ne contavano 2.008; 2.796 nel 1849; 2.670 nel 1861; 2.820 nel 1871; 2.622 nel 1881; 2.577 nel 1901; 2.354 nel 1911; 2.270 nel 1921; 2.386 nel. 1931; 2.549 nel 1936; 2.895 nel 1951.

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In politica ha espresso le sue preferenze votando così.

Periodo costituente

Referendum popolare per la monarchia ed Assemblea Costituente.

 

2-VI-1946 Referendum per la Monarchia

 

ASSEMBLEA COSTITUENTE

 
Monarchia

471

Elettori

1.493

Repubblica

807

Votanti

1.338

Non validi

60

PCI

473

Totale votanti

1278

PSIUP

63

PC Int

43

 
Part d'Az

26

Part Lab It

4

PRI

13

DC

358

Udn

103

Uq

23

Bnl

80

Mui

18

Crp

8

Non validi

126

 

Elezioni del 1948

 

18-IV-1948 Senato

 

18-IV-1948 Camera

 
Elettori

1.356

Elettori

1.596

Votanti

1.259

Votanti

1.469

Dc

510

Fdp

574

Sc

516

Pcs

5

Bn

133

Us

57

Pri

54

Pri

38

Non validi

46

Dc

446

Pc d'It

2

 
Bn

109

Pnma

5

Msi

195

Mnds

0

Bpu

1

Cils

1

Gpld

0

Non validi

36

 

Elezioni politiche del 1953

 

7-VI-53 Camera

 

7-VI-53 Senato

 
Elettori

1.582

Elettori

1.387

Votanti

1.443

Votanti

1.283

Pci

517

Pnm

67

Psi

48

Cpi

28

Usi

17

Psdi

15

Psdi

13

Usi

115

Pri

16

Pci

453

Dc

473

Dc

380

Pli

63

Pli

126

Adn

2

Adn

3

Pnm

67

Psi

49

Msi

136

Non validi

47

Cpi

2

 
Non validi

89

 

Elezioni politiche del 1958

 

25-V-58 Camera

 

25-V-58 Senato

 
Elettori

1.662

Elettori

1.465

Votanti

1.396

Votanti

1.255

Pci

476

Dc

508

Psi

103

Pci

474

Psdi

8

Pli

71

Pri-Prad

3

Pmp

15

Dc

629

Psdi

5

Pli

36

Pnm

20

Pmp

15

Msi

76

Pnm

23

Psi

63

Msi

71

Non validi

23

Fusi

6

 
Non validi

26

 

Elezioni politiche del 1963

 

28-IV-63 Camera

 

28-IV-63 Senato

 
Elettori

1.664

Elettori

1.504

Votanti

1.217

Votanti

1.122

Pci

499

Pci

473

Pdium

6

Pli

23

Msi

61

Pdium

12

Psi

60

Dc

433

Dc

524

Msi

67

Psdi

10

Psi

63

Pli

32

Non validi

40

Pri

1

 
Mci-Frni

1

Non validi

23

 

Elezioni politiche del 1968

 

19-V-68 Camera

 

19-V-68 Senato

 
Elettori

1.727

Elettori

1.578

Votanti

1.131

Votanti

1.062

Pci

432

Psiup

447

Psiup

36

Msi

42

Msi

40

Pli

11

Socialdemocrazia

1

Psu

150

Psu

168

Pri

3

Pli

25

Dc

360

Pri

1

Non validi

39

Pdium

4

 
Nuova Repubblica

3

Dc

402

Non validi

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Nacquero a Cerzeto Giuseppe Petrassi, poeta e patriota (sec. XIX); Luigi Petrassi, albanologo {sec. XIX). Scrive il Tajani: "Seguitando a scriversi colle lettere latine sussidiate dalle greche Luigi Petrassi da Cerzeto tradusse il primo canto del Byron Child-Harold,e il carme su i sepolcri del Foscolo" (Vedi Albanesi in Italia, Napoli 1886).

Ebbero parte nei moti risorgimentali: Michele Candreva, Francesco Capparelli, Vincenzo de Rosa, Giuseppe Fazio, Domenico, don Federico, Ferdinando, Giuseppe e Scanderbek Franzese, Domenico Gliosci, Pietro Lata, Domenico, Michele e Raffaele Matrangola, don Giuseppe e Giuseppe Felice Petrassi, Giuseppe Pollera, Arcangelo Siciliano.

È in Diocesi di S. Marco. La Parrocchia è intitolata ai Santi Pietro e Paolo. Il Patrono, S. Nicola da Bari, viene festeggiato il 6 dicembre. Le Piccole Operaie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria vi tengono Scuola Materna e Laboratorio.

Ufficio Imposte a Montalto Uffugo. Tribunale a Cosenza.

Stazione ferroviaria a Torano Lattarico, km. 13.

Scuola Media.

Ricco il costume tradizionale delle donne. Vi si parla in italiano ed in albanese, e vi si praticano usanze pure albanesi.

Gli abitanti son detti Cerzitani.

BIBL.: C. M. ALFANO, ed. 1798, p. 80; ed. 1823, p. 164; U. CALDORA, Calabria Napoleonica, 62; G. CINGARI, Giacobini ecc., 314; L. GIUSTINIANI, III, 455-456; L. Izzo, 234-300; D. MARTIRE, Ms, II, 298r; J. MAZZOLENI, Fonti ecc., 254; M. PELLICANO CASTAGNA, Storia ecc.; F. SACCO, I, 301; SVIMEZ, II, 5012; G. VALENTE, I calabresi ecc.; VARI, La scuola ecc., 62; C. ZUPI, Cosenza ecc., 63.

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I moti rivoluzionari del 1843-44

Sui moti rivoluzionari del 1843-44 ne scrive dettagliatamente Francesco Tajani in Albanesi in Italia (pagg. 109 e 110), riportate di seguito.

Nel contrasto tra l'ansia di un governo libero, e le difficoltà da superare ne scaturì l'embrione di un piano di generale sommossa, e la si andava preparando pel mese di luglio 1843. Ma le concitazioni e dentro e fuori d'Italia tenevano desti gli sgherri dei governi, pur quello di Napoli di sua natura sospettoso non se ne sarebbe addato se la polizia austrieca non lo avesse prevenito. Il rigore della sorveglianza ne rallentò la mossa, e quando lo si traduceva in atto per quante precauzioni si fossero usate, onde occultare gli apprestamenti bastò un semplice susurro a procurare lo arresto di un Domenico Mauro di San Demetrio, principale animatore della insurrezione, e distogliere i meno spinti congiurati, laonde molti riflettendo bene su i pericoli di una mossa già presentita si astennero, tranne pochi dei più ostinati, che non vollero recedere dalla presa risoluzione. Di fatti un centinaio, dei più spinti nel 15 marzo dell'anno seguente con mal connesse file scesero in Cosenza, e quivi rimasti soli pugnarono invano; la voce del riscatto non corrisposta fu di leggieri soffocata. Dei sollevati caddero nella giostra cosentina sotta la carabina dei gendarmi un Francesco Salfi, un Francesco Coscarella, un Giuseppe De Filippis, calabresi; un Michele Musacchio, un suo zio, uno Emmanuele Mosciaro, tutti e tre albanesi di San Benedetto, e fra i più intrepidi combattenti di quella sciagurata giornata.

Inoltre quarantasette cittadini furono sentenziati a morte, altri a pene minori; non uno rimase immune dai rigori della giustizia prevenita dai panici dei giudicanti minacciati dalla regia indignazione. Degli albanesi furono sentenziati alla pena capitale con sentenza del 10 luglio Franzese Giuseppe, Franzese Ferdinando, Petrasso Francesco, tutti e tre da Cerzeto; Mosciaro Carlo, Tavolaro Francesco, Barà Vincenzo, Tavolaro Giuseppe, Manes Giovanni, Petrassi Gaetano, tutti e sei di San Benedetto Ullano; Camodeca Raffaele da Castroregio. Per costoro la identica reità aveva uguagliata la condanna, a fronte dello estremo supplizio non si poteva sottindendere che alcuni fossero stati più o meno colpevoli, delinquenti ad eguale grado avrebbero dovuto o tutti avere salvi la vita, o tutti morire; in quella vece con Decreto reale del 18 luglio venne commutata la pena di morte in quello dell'ergastolo a vita, solo a otto di essi, facendo andare il primo e l'ultimo per ostentazione di terrore a finire su di un patibolo infame. La clemenza istessa divenne odiosa per la deferenza o lo arbitrio! Sarri Domenico di San Giacomo, Tocci Gaetano, e Manes Lazzaro da san Benedetto, Cendrone Michele da Cerzeto furono condannati ad anni trenta di galere. Mazzuca Angelo da San Benedetto, Pallera Giuseppe, Matrangolo Raffaele, Gliosci Domenico, Franzese Domenico, Siciliano Arcangelo e Matrangolo Michele, tutti di Cerzeto a venticinque anni di ferro. Petrassi Giuseppe, e Messinetti Giuseppe anche di Cerzeto, il primo a sei anni di reclusione, a cinque anni di prigionia l'altro.

Più delle morti, e delle condanne afflisse la turpe velleità di quel Lazzaro Manes sopranotato, il quale aveva combattuto per la libertà, stava espiando la pena inflittagli, e dopo quattro appena venduto al potere lo si vide pattugliare armato per la provincia sgherro del governo, sconfessando il suo operato in faccia ai connazionali, ed a quanti gli avvenimenti del giorno conoscevano. Ma se il perfido volle sottrarsi  al rigore della galera non sfuggì alla pubblica esecrazione e alla morte, essendo stato a capo di dodici anni da uno più tristo proditoriamente ucciso.

10 - A fronte di tanto rigore l'atonia politica subentrava per poco all'azione, quella mestizia in cui gli animi si concentravano dopo lo infortunio faceva sperare un periodo di calma per dimenticare i tristi casi avvenuti, e nuova lena raccogliere: non però casi ancora più terribili avvennero e più tanto inaspettati. Noi toccheremo uno episodio di più nell'annosa tragedia, che il suolo delle Calabrie insanguinava, un soggetto doloroso, uno appendice dei narrati avvenimenti pure a queste istorie annesso.

Attilio ed Emilio Bandiera nati in Venezia, il primo nel 1811, il secondo nel 1819 l'uno Alfiero di Vascello l'altro di Fregata, figli del Barone Bandiera Controammiraglio al servizio dell'Austria, dal cuore italiano nel fiore degli anni sentirono le commozioni d'Italia. Malvisi dalla polizia locale fuggirono prima a Trieste poi a Corfù. Là ebbero da Giuseppe Mazzini consiglio a sperare, anzichè ad agire incautamente e soli; ma posti al bando lungi di attendere tempi più maturi anticiparono una mossa facendosi trascinare nello inganno da iniqui traditori. Nel dodicesimo giorno del mese di giugno di quello stesso anno partirono da Corfù con altri diciotto italiani, Nicola Ricciotti, Domenico Moro, Pietro Razzoli, Tommaso Mazzoli, Giuseppe e Francesco Tesei, Luigi Nanni, Anacarsi Nardi, Francesco Berti, Carlo Osmani, Giuseppe Pacchioni, Domenico Lunatelli, Giacomo Rocchi, Giovanni Venerucci, Giuseppe Miller, Paolo Marino, Giovanni Manesse, Pietro Boccheciampa. Quest'ultimo era oriundo corso nato in Cefalonia, si disse che vi stava pure un fuoroscita calabrese chiamato il Nivaro, offertesi di servir loro da scorta e da guida. Anche un Boccheciampa, ed anche corso soldato d'artiglieria e disertore con altri tre della stessa patria e dello stesso conio sotto le mentite spoglie dei Principi di Borboni sollevarono i popoli delle Puglie nel 1799 alla controrivolta; onde le fasi non solo si ripetono nella Storia degli umani rivolgimenti, ma taluni paesi, taluni nomi, par che avessero il destino di essere in ogni tempo, in ogni età fatali. Della partenza già la polizia inglese ne aveva prevenute quelle di Vienna e di Napoli.

Nel dì 16 giugno eludendo la vigilanza delle navi poste in crociera sbarcarono sulla marina di Crotone alla foce del fiume Neto. Rimondando la corrente giunsero nel vallo di Cosenza in dove credevano di rinvenire proseliti, ma non ne rinvennero,  procedendo avanti addentraronsi alla volta di San Benedetto, speranzosi di trovare gli albanesi preparati e facendosi grossi piombare su di Cosenza, per tentare al riscossa. Intanto lo iniquo Boccheciampa tutto aveva riferito all'autorità di Crotone, quella di Catanzaro e di Cosenza conosciuto il punto di sbarco, la direzione presa tosto posero in moto le soldatesche ad inseguirli. Il Nivaro si dileguò ancor lui, e gl'infelici abbandonati, traditi, ignari dei luoghi stavano per essere colti i mezzo, se non che avvisati dello imminente pericolo dalle fucilate, che quelle già tiravano, si rivolsero indietro col proponimento di battere il sentiero tenuto, e riembarcarsi. Poi dalla tema di trovarsi altri soldati a fronte, non potendo correre perchè abbagliati dalle tenebri, stanchi dalle fatiche presero i monti della Sila, ove nascosti passarono il resto della notte. L'indomani partirono alla volta di Santa Severina scendendo verso la marina. Non avevano percorso un gran tratto e già si videro sopragiunti da una bordaglia squinciata da San Giovanni in Fiore, la quale faceva da guida l secondo battaglione cacciatori, con molti gendarmi. Allora si aprì tutto intero lo abisso in cui erano caduti. Circondati, presi di mira caddero combattendo Giovanni Muller da Forlì, Francesco Tesei da Pesaro, gli altri arresi furono menati nelle prigioni di Cosenza.

Rasserenati gli animi, ognuno si domandava, quali precedenti, quale chiamata avesse indotto i fratelli Bandiera a venire nelle Calabrie, uno volta che non furono secondati, niuno protesse i loro movimenti? Un tentativo cotanto periglioso, evidentemente isolato non si poteva arrischiare se non vi fossero stati dei maligni suggerimenti, delle false prevenzioni da far credere le Calabrie pronte ad insorgere, gli albanesi di San Benedetto decisi di vendicare il sangue tre mesi prima versato, e con essi stare uniti gli armigeri casalini. Per questa illusione o per questo inganno, un Giovanni Manesse lusingato accorreva con i Bandiera nelle Calabrie a vendicare i fratelli caduti nella giostra cosentina. Noi abbiamo additati già un Paolo ed un Gino Manesse tra le file di Scanderbergh, l'ultimo fatto scorticare vivo da Maometto secondo, or questo loro discendente nato poi in Venezia vittima del furore borbonico ne ricorda i nomi, ed insieme una famiglia che già figurò nell'Albania del Caucaso. Del pari alcuni parziali conflitti nei trivi di Roma tra i soldati del Papa ed il popolo, le scorrerie di pochi insorti guidati dai Muratori nelle Romagne, ed altri parziali subugli ben si prestarono allo inganno, e decisero ben otto romagnoli di partecipare a quella troppo audace impresa. Laonde passò come cosa incontestabile che dato loro il bando i capi della polizia austrieca di accordo con gli agenti consolari prepararono la rete, simulando li fecero incintare, onde buttarli soli nel cimento, disfarsi degli agitatori, schiacciare alla impreparata una seconda insurrezione temuta per lo scontento, e la indignazione rimasta dai recenti fatti del 15 marzo. Spiega siffatta gli estimatori delle pubbliche cose  diedero a priori a quel massacro. nè il giudizio andò fallito, essendochè il turpe agire dei governi ben si chiarì dappoi. Quelle anime gentili trascinate dagl'inganni e dai tradimenti, vittime delle illusioni giovanili diedero al Re Ferdinando la opportunità di rendere un gradito servizio allo Imperatore d'Austria, e facendo per lui il carnefice sfogava la sua connaturata sete di sangue; perciocchè dodici finirono passati dal piombo, altri col Manesse allo ergastolo condannati, in mezzo al compianto di una cittadinanza presa di sdegno per un governo cui la forza con apparente ragione di stato ogni senso di umanità e di generoso perdono aveva attutito. Ora i nomi delle vittime immolate, ed il ricordo del cruente sacrifizio seguito nel punto detto il varco di Rovito sulle tetre sponde del fiume Crati nel 25 luglio 1844, leggonsi in una epigrafe su di una lapide scolpiti, e fra essi quello del cognome storico albanese.

 

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