Il cinema italiano in debito verso la Calabria

di Oreste Parise

Mezzoeuro Anno XI num. 03 del 21/01/2012


Rende, 19/01/2012


Tavola rotonda al ridotto del Teatro Morelli

Le associazioni “Le Muse d'Arte” di Myriam Peluso e Xenia di Gabriella Coscarella hanno organizzato un dibattito che ha visto la presenza di numeroso pubblico.


Rapporto molto intricato e controverso quello tra la Calabria e il cinema. La tavola rotonda organizzata da Myriam Peluso animatrice delle “Muse d'arte” in collaborazione con l'associazione Xenia, al ridotto del restaurato Teatro Morelli venerdì scorso ha avuto il merito di aver aperto un dibattito, che meriterebbe un approfondimento. “Il cinema e la Calabria”. Questo è il titolo che potrebbe avere una declinazione multipla. La diffusione del fenomeno cinematografico nella regione, il ruolo avuto nella formazione intellettuale dei giovani nel secolo scorso, primo bombardamento visivo di mondi lontani, di diffusione di modi e modelli sociali innovativi. Il cinema come fenomeno economico e sociale, con l'apertura delle sale negli angoli più sperduti della regione e tutto l'indotto che ruotava attorno. La rappresentazione della Calabria nel cinema, con gli stereotipi e la rappresentazione di una realtà complessa e multiforme.

Myriam Peluso in piedi, da sinistra Fernando Miglietta, Natino Chirico, Vincenzo Ziccarelli, Massimo Veltri, Emilio Tarditi, Oreste Parise e Umile PelusoLa scoperta dei calabresi che hanno operato nel cinema come sceneggiatori, registi, produttori, attori, e tutte le attività collaterali, come la fotografia che ha visto il “marziano” Mauro Fiore insignito dell'Oscar per la fotografia per il film Avatar nel 2010.

Numerosi i partecipanti al dibattito riuniti attorno al tavolo, Mario Bozzo, presidente della Fondazione Carical, l'arch. Fernando Miglietta, il drammaturgo Vincenzo Zicarelli, il sen. Massimo Veltri, il sen. Umile Peluso, Oreste Parise e Emilio Tarditi.

Tentare di riassumere tutti gli interventi è una impresa ardua, poiché ciascuno degli oratori ha illuminato una delle facce di un poliedro multiforme senza che si sia tentata una sintesi del dibattito.

Come in tanti altri settori, anche il cinema può considerarsi una occasione mancata per la Calabria, una terra generosa che annovera importanti personaggi che hanno dato un contributo rilevante al cinema. Molti gli attori famosi come Aroldo Tieri, Raf Vallone, Warner Bentivegna e anche Ninetto Davoli preferito da Pier Paolo Pasolini che conoscere e amare la Calabria lasciando importanti testimonianze documentarie e vaticini poetici. Numerosi anche i registi tra i quali si possono ricordare Vittorio De Seta, Gianni Amelio e Mimmo Calopresti.

Pubblico in salaMolto più numerosi sono tuttavia i nomi rimasti in un cono d'ombra, misconosciuti al mondo intellettuale calabrese. L'attore e regista Vincenzo Musolino, ad esempio che interpretò il ruolo principale nel film "Due soldi di speranza", Palma d'Oro al Festival di Cannes nel 1952.

Vincenzo Talarico, attore, sceneggiatore e giornalista che animò la stagione della dolce vita romana negli anni sessanta/settanta del secolo scorso. Giuseppe Gironda scrittore, sceneggiatore cinematografico e giornalista, che fu a lungo il curatore della pagina letteraria del Messaggero di Roma. Vi sono anche personaggi singolari. Francesco Misiano chiamato da Lenin a creare dal nulla il cinema all'indomani della rivoluzione russa. Ha contribuito a inventare la grande scuola sovietica che ha prodotto i capolavori quali “La corazzata Potëmkin” di Sergej Mikhajlovič Ejzenštejn, La madre di Vsevolod Illarionovič Pudovkin e tanti altri che costituirono una tappa fondamentale della crescita dell'arte cinematografica influenzando l'evoluzione di tutto il cinema mondiale.

Mario Bozzo ha sottolineato questa costante presenza della Calabria nella storia del cinema, ma oggi "aspetta di avere un ruolo da protagonista”. Il senatore Umile Peluso ha messo in rilievo il ruolo svolto dal cinema nella formazione degli intellettuali cosentini negli anni cinquanta del secolo scorso, ricordando i grandi dibattiti che si svolgevano nei cineforum che animavano la vita culturale della città. Il cinema era una finestra aperta sul mondo, portava immagini e comportamenti sconosciuti, costringeva a riflettere su problematiche che apparivano lunari nel clima provinciale che avvolgeva la regione ancorata ad un modello agricolo-pastorale.

La Calabria è stata scelta come “location” ideale per le storie più diverse. I suoi mari, le infinite coste incontaminate, i laghi in mezzo ai boschi, i calanchi e le aridità selvagge di alcune aree, l'asperità dei rilievi sono stati il palcoscenico di storie d'amore, di rappresentazione classiche, intrighi passionali, storie di santi e di briganti. Pasolini la preferì alla stessa Palestina quale scenario ideale per il suo “Le 120 giornate di Sodoma”. Salvo rare eccezioni, però, la Calabria nel cinema non c'è, viene utilizzato il suo paesaggio, il verde delle sue foreste come un luogo idealizzato fuori dal tempo e dallo spazio. Presta solo il suo vestito naturale per il dipanarsi della storia, ma la sua anima, la sua realtà resta misconosciuta allo spettatore. Pochissimi i film dove la Calabria è riconoscibile: Il lupo della Sila di Duilio Coletti, Il ladro di bambini di Gianni Amelio, Il brigante Musolino di Mario Camerini.

Tanti spezzoni di storia, tanti occasioni d'incontro, ma è mancato un filo conduttore, la creazione di una scuola, di un gruppo riconoscibile per volesse mettere insieme le tante individualità, sinergizzare gli sforzi e gli interessi per un prodotto originale e riconoscibile. Vi sono tanti calabresi che hanno operato e operano nel cinema, ma non vi è un cinema calabrese. Lo iato tra i due mondi è sporadico e occasionale. I protagonisti vivono la loro esperienza altrove, quasi nascondendo la loro origine e la loro identità regionale. Pochi sono i tentativi di squarciare il velo che impedisce di guardare con occhio sereno e scevro da pregiudizi alla sua realtà socio-economica, rappresentata crudamente solo nelle sue negatività, nelle brutture di alcune periferie, nella violenza della delinquenza organizzata, che non è riuscita a imporsi nella rappresentazione cinematografica sovrastata dalla mafia siciliana, a dispetto della supremazia conquistata sul campo. È diventata la principale organizzazione criminale d'Italia, forse d'Europa, ma il cinema continua a ignorarla.

Uno spot negativo che ha condizionato la visione dall'esterno. Ancora oggi sono i molti a immaginare la regione come una realtà arretrata dove vigono leggi tribali, stretta nell'abusivismo e nel degrado. Il cinema non è stata una occasione di crescita, ma una rappresentazione sbilanciata delle sue reali condizioni.

Oggi è inutile recriminare per le occasioni perse, poiché le cause vanno ricercate nell'incapacità organizzativa, nella scarsa lungimiranza della politica, nella inevitabile fuga dei cervelli che qui non trovano alcuna opportunità di esercitare il loro talento e sono costretti a correre altrove. La fuga non interessa solo il cinema, ma attraversa tutto l'arcobaleno dei giovani di talento. Scappano alla ricerca di una normalità che qui gli viene negata dal clientelismo e dal nepotismo che chiude tutte le strade. Massimo Veltri ha lanciato un appello per superare la subalternità e rivendicare un ruolo di protagonista, abbandonando gli sterili piagnistei e l'invocazione di un intervento dell'elemosiniere di turno. Vincenzo Zicarelli lancia un appello per esaltare la funzione civile e di crescita democratica del cinema con un coinvolgimento diretto degli intellettuali calabresi. “C'era bisogno di Wim Wenders per raccontare Riace e il suo esperimento di integrazione creativa?”, si chiede.

Forse sì, perché lo sport più popolare è quello di far impedire che quanto di positivo va emergendo nella regione possa trasformarsi in modello e creare coscienze consapevoli. Una prospettiva inquietante per le mediocrità che gestiscono il potere ad ogni livello.

Nel cinema come in ogni altro settore, la Calabria ha le potenzialità di crescita, ma deve imparare a fare affidamento solo sulle proprie forze. (OP)

Cosenza, 17 gennaio 2012

Pubblico in sala 2

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