Cavallerizzo
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Kaiverici, 1973

Cavallerizzo è attualmente una frazione del Comune di Cerzeto. Una breve storia è in preparazione.

Insieme a Rosario Golemme (Prufessur Rruzari) abbiamo raccolto un po' di toponimi relativi a tutto il territorio del comune di Cerzeto (località, torrenti, fonti, masserie e quant'altro ci è venuto in mente). Servono per ridare un nome ai luoghi della propria infanzia e ricreare una piccola emozione, stimolare un ricordo.

Si è cercato di mettere insieme tutte le notizie dalle più insignificanti a quelle più grandi, che nel loro insieme possano creare un interesse, in tutti coloro che per qualsiasi ragione siano legati a questi luoghi.

Padre Nicola da Pietrafitta (Padre Nicola Tudda da Cavallerizzo), del locale Convento di Sant'Antonio, ha riportato nel libro delle ricorrenze che viene letto giornalmente in refettorio per ricordare i frati minori, la seguente annotazione:

1736 (giorno non noto) muore a San Marco Argentano Fra' Diego da Cavallerizzo, laico profresso, con fama e segni di santità. Al suo funerale vi fu gran concorso di popolo, che gli tagliò in pezzetti la tonaca per dovozione.

La citazione è copiata dalla "Cronaca del Convento di Pietrafitta", pag. 75. La cerimonia funebre fu officiata nel Convento della Riforma di San Marco Argentano. Non si hanno altre informazioni di questo personaggio. Preghiamo chiunque avesse qualche documento o altre notizie di mettersi in contatto.

Il piccolo centro è stato minacciato da sempre da una frana, che si ripresenta puntuale "alla scordata", con un periodo di circa un secolo. In una pubblicazione del 1908, l'Eco di San Giorgio, vengono ricordate, in particolare, le frana del 1635 e quella del 1720 entrambe di rilevante entità.

Ma l'episodio più importante che ha lasciato una traccia nella memoria risale al 1827. Il giorno delle Ceneri l'abitato rischia di essere inghiottito. Domenico Nico ricorda che a San Giacomo si raccontava che quello che era accaduto a Cavallerizzo era la conseguenza della profanazione della Chiesa il giorno di Carnevale. Per festeggiare, alcuni abitanti ubriachi: "pakëzuan një dhi dhe e kënguan pa e samulisur." (battezzarono una capra, facendogli fare la comunione, dandogli un'ostia benedetta senza confessarla). Lo stesso racconto è blasfemo, ponendo l'accento sull'impossibile confessione della capra. A questo grave peccato, la fantasia popolare attribuisce il conseguente castigo divino. L'inverno era stato molto piovoso. La sera stessa, mentre la comitiva usciva dalla Chiesa per portare in giro per il paese la capra benedetta, inizia un vero e proprio diluvio, durato ininterrottamente tutta la notte con l'acqua che veniva giù a catenelle. Non si era mai visto nulla di simile, tutti si rinserrarono nelle loro case. La mattina seguente, all'alba del nuovo giorno, si sentono raccapriccianti boati e rumori di scrosci d'acqua. Tutta la popolazione esce atterrita per strada, mentre continua a diluviare. In lontananza si vedono gli alberi rotolare nel fango, che le inghiotte come un drago famelico, mentre la terra sembra inabissarsi.

Nella cronaca di Don Gaetano Melicchio, il parroco di Cavallerizzo dell'epoca, non si fa riferimento alla profanazione, ma si richiede l'intervento dei tre santi più venerati nel paese per scongiurare il disastro, poiché l'intero abitato rischia di sparire. Proprio a ridosso dell'abitato di Cerzeto si forma una enorme spaccatura, ed il terreno scivola di un centinaio di metri, formando la Sciolla. Non si hanno notizie di morti, anche se appare improbabile che non siano state inghiottite anche delle case. Sembra, infatti, impossibile che l'abitato sia stato costruito con una linea così retta lungo la linea del terreno marnoso. 

I Tre Santi (San Giorgio, San Michele e La Madonna del Rosario) vengono portati in processione fino a Repantanë, dove vengono lasciati tutto il giorno, mentre la gente continua a pregare. La pioggia cessa ed esce il sole. La frana si ferma e si grida al miracolo. Da quell'anno e fino alla fine degli anni sessanta, la seconda domenica di febbraio si usava celebrare "Festa e Sholës" o "Festa e tri Shëitrat", portando in processione i Tre Santi per tutto il Paese. Inoltre, ogni famiglia si tassava per celebrare la festa di San Giorgio, il 23 aprile, che terminava con lo sparo di fuochi pirotecnici a mezzanotte per un tripudio di gioia, un grido di felicità per essersi salvati da una orribile morte. Kaivericiotët si vantavano che i loro fuochi di artificio non avevano rivali nella zona.

In segno di devozione, e come riconoscenza per il "miracolo", si decise di raccogliere fondi per la costruzione di una nuova dedicata al Santo Patrono, poiché mancava una Chiesa capiente e dignitosa. Vi contribuirono tutti, con i pochi soldi che avevano a disposizione, ma soprattutto con il lavoro: ognuno raccolse una pietra, lavorò per qualche giorno, portò il frutto della sua terra: un agnello o un gallo, un tomolo di grano o un sacco di castagne. Ci vollero alcuni decenni per completare la costruzione.  Il nuovo edificio fu inaugurato il 23 aprile del 1860, con una cerimonia molto sontuosa, ricordata persino sul giornale del Regno delle Due Sicilie.

In un documento del 1848 (per la divisione di Salto Ruggiero) viene menzionato che sotto il Cozzo di S. Elia (Rahji) vi erano ancora dei ruderi di una piccola chiesa dedicata a S. Elia, di cui non si hanno altre notizie. Tuttavia, Vincenzo Padula, che scrive subito dopo l'Unità d'Italia, fa riferimento al rito propiziatorio della pioggia, con una processione al colle S. Elia, nei pressi dei ruderi della Chiesa. Era la continuazione di una cerimonia romana, che si è tramandata nel corso dei secoli ed andata perduta per la rovina del "tempio".

Durante il periodo borbonico, Cavallerizzo era un molto rinomato per i suoi costumi sontuosi, la bellezza delle donne e la vivacità della vita sociale. I costumi venivano considerati tra i più belli del Regno e paragonati a quelli siciliani (Sciacca, Augusta) e calabresi, come Pizzo (vedi Tav. 8). In una collezione di piatti in ceramica della regia fabbrica di Capodimonte, uno di essi raffigura una donna di Cavallerizzo

Vi operava anche una piccola banca "Banka e Kanies", la "Banca di Candida",  "një katananë e Kolucit", seguendo una tradizione di donne dedite al prestito di denaro, come ai tempi dell'infeudazione della famiglia Dattilo.

I movimenti del terreno sono continuati. Nel febbraio del 1941 si registra un'altra frana, questa volta sul versante nord, sotto l'abitato di Mongrassano, in località Llahjidi. La gente guarda con sgomento il terreno scivolare giù lentamente, gli alberi vengono travolti dal fango e si crea quella frattura che ancora oggi è chiaramente riconoscibile sotto Serra di Leo. 

Qualche tempo dopo, il Consiglio Comunale decide che nella frazione non è possibile alcuna attività edificatorio, mentre il sindaco, Antonio Amantea, propone il trasferimento del centro abitato, osteggiato rabbiosamente da tutti gli abitanti che non vogliono abbandonare il proprio luogo natio. 

Qualche intervento di risanamento ambientale è stato fatto negli anni '50-60, con la costruzione di briglie ed il rimboschimento degli alvei di torrenti e qualche impluvio. Molte di quelle opere sono andate degradando, per mancanza di manutenzione e di interventi aggiuntivi, mentre il progressivo abbandono della coltivazione agricola creava altri problemi soprattutto a causa dell'acqua che si infiltra dappertutto disordinatamente.

Il 7 marzo del 2005, il "lunedì maledetto", il ripetersi del fenomeno ha distrutto molte case, e vi sono seri dubbi che sia possibile ricostruire nello stesso sito. Inizia un difficile cammino verso la ricostruzione ... Con DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) dell'11 marzo 2005, " Dichiarazione dello stato di emergenza nel territorio del comune di Cerzeto, provincia di Cosenza, interessato da gravissimi dissesti idrogeologici, con conseguenti diffusi movimenti franosi", pubblicato sulla GU n. 67 del 22 marzo 2005, è stato dichiarato lo stato d'emergenza.

(19 aprile 2005)

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Nel "Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli di Lorenzo Giustiniani, Napoli per Vincenzo Manfredi, 1797, alla voce Cavallerizzo si legge:

Cavallerizzo, o sia Sangiorgio di Sanmarco, terra in Calabria citra, in Diocesi di Sanmarco, distante da Cosenza miglia 22. Ella è situata alle radici di un monte degli Appennini chiamata Santelia, tutto piantato di castagni, e che abbonda di lepri, volpi, ghiri e similmente di volatili. Da mezzodì tiene una gran rupe, che minaccia la rovina del paese. Da mezzogiorno un ruscello chiamato Torbido, ed altro da settentrione appellato Limpido, i quali unendosi formano il Turboli, che poi si scarica nel Crati. Vedi Cerzeto. Tutto l'abitato è diviso in tre borghi. Questa terra è abitata da albanesi. Le sole donne però vestono alla greca. Il territorio dà tutte le produzioni necessarie. Vi sono due fontane di buon'acqua, cioè, la fontana della Noce, e l'altra detta Lacerata. Si vuole che il suo nome fosse derivato da un cavallerizzo del Principe di Bisignano, che cedette quel luogo agli albanesi, quando i medesimi trasmigrarono in queste nostre parti dall'Epiro. Inoggi i suoi naturali ascendono a 530, ed oltre dell'agricoltura, e della pastorizia, hanno l'industria de' bachi da seta. Nel 1545 furono tassati per fuochi 23, nel 1561 per 22, nel 1595 per 27, nel 1648 per 33 e nel 1669 per 30. È sempre detto Sangiorgio di Sanmarco.


 

Vincenzo Padula (Acri 1819 - 1893), in in «Calabria prima e dopo l'unità» (raccolta di scritti pubblicati tra il 1864/5 ed il 1875) riporta curiosità varie su Cavallerizzo (pagg. 324 e 325 del vol. II), che riportiamo quì di seguito. Altri cenni si trovano sparsi nei due volumi, trattando del comune di Cerzeto o delle arti e dei mestieri.

Nome. Ebbe il nome da un cavallerizzo del Principe di Bisignano.

Fontane. Noce e Lacerata

Ingiuria. Latrunyra (ladroni).

Religione. Al colle S. Elia si va per ottenere la pioggia, e subito si ottiene. - I Romani avevano il lapis manalis. Si portava in precessione, e Festo dice: «Insequebatur pluvia statim; eumque qui aquas manaret, manalem lapidem dixere».

NOTE:


Umberto Caldora in «Calabria Napoleonica, Fausto Fiorentino Ed., Napoli 1959» (pag. 148), trattando degli obblighi di origine medievali imposti alla popolazione, riferisce che a Cavallerizzo, alla fine del Settencento, ogni casa doveva dare grani 50 per le uova di Pasqua. L'usanza fu abolita nel periodo murattiano e se ne è persa ogni traccia, anche nella memoria popolare.

Per una conoscenza del sistema monetario napoletano alla fine del settecento vedi Galanti

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Gustavo Valente, Dizionario dei luoghi della Calabria, Edizioni Frama's - Chiaravalle Centrale 1973, riporta le seguenti notizie.

Frazione (ab. 712) del Comune di Cerzeto (Cs).

Detto anche Cavalato.

Abitato dagli albanesi, fu dapprima chiamato S. Giorgio, S. Giorgio di San Marco. Il Principe di Bisignano Nicolò Berardino Sanseverino lo donò ad un suo cavallerizzo, donde il nome.

Fu feudo, successivamente, di Pietrantonio Selvaggi, di S. Marco, poi di Francesco Antonio de Belveris, o Baviera, ed infine della famiglia Dattilo, di Cosenza.

L 'ordinamento amministrativo disposto dai francesi per legge 19-1-1807 lo considerava Luogo, ossia Università, e lo comprendeva nel cosiddetto Governo di S. Marco.

Il successivo riordino, avvenuto per decreto 4-V-1811, faceva di Cavallerizzo un Comune, assegnandogli i villaggi, o frazioni di Cerzeto e di S. Giacomo.

Con la sistemazione amministrativa del Regno, data dal Borbone per legge 1-V-1816, unitamente a S. Giacomo, Cavallerizzo diveniva frazione di Cerzeto elevato anche a capoluogo di Circondario.

La popolazione, dedita all'agricoltura ed alla pastorizia, praticava l'allevamento del baco da seta.

Nel 1545 contava 23 fuochi, 22 nel 1561, 27 nel 1595, 33 nel 1648, 30 nel 1669. Cento anni dopo gli abitanti erano 530.

Qisha e Shën GjergjitLa Parrocchiale, di rito greco, è intitolata a San Giorgio. Vi era una Confraternità laicale dedicata al nome del Rosario.

BIBL.: C. M. ALFANO, ed. 1798, p. 80; ed. 1823, p. 163; P. C. FIORE, I, 402; L. GIUSTINIANI, III, 413-14; L. Izzo, 233; A. LUCIFERO, Ms, n. 51 ; D. MARTIRE, Ms, II, 297v; F. SACCO, I, 283.


NOTA: Il Valente riporta che a Cavallerizzo ancora nel 1973 persiste il rito greco-bizantino, estirpato già da circa due secoli.


 

San Giorgio

È il protettore di Cavallerizzo, e la sua festa, celebrata ogni 23 aprile, costituisce un evento per l'intera zona. L'attrazione principali sono i fuochi d'artificio dopo la mezzanotte. Ogni hanno si fa una sorta di gara per superare quella dell'anno precedente.

Il 23 aprile si apriva con gli spari della gara di tiro al bersaglio (skhaku), che si svolgeva "tek Përroi i Shën Gjergjit" con la parteciapazione di cacciatori ed appassionati, che si contendevano një qëngjë, come primo premio e një gjel come premio di consolazione. Negli anni più recenti, si mise in palio një viç per l'alto numero di partecipanti e l'interesse che rivestiva.

La mattina era dedicata alla cerimonia religiosa e alla processione che doveva passare davanti ad ogni casa. Il pomeriggio si svolgevano vari giochi popolari, come 'ntinna (l'albero della cuccagna) e le pignatte.

L'attrazione maggiore era costituita da un gioco particolarmente crudele "gjelli në shkak" (il gallo come bersaglio). Si interrava un gallo dentra una fossa, lasciandoli fuori solo la testa, e i "giocatori" bendati dovevano cercare di colpirlo, chi riusciva ad ucciderlo riceveva in premio lo stesso sfortunato animale. Questa tradizione fu abbandonata negli anni settanta del secolo scorso, ma è rimasta l'espressione "të bëshin si gjelli në shakë".

La statua proviene da Piana degli Albanesi, secondo quanto riportato su L'Eco di San Giorgio, una pubblicazione del 1903, dove vengono puntigliosamente elencate tutte le località in Italia che hanno in San Giorgio il loro protettore, raccontandone i prodigi ed i miracoli.

Per Cavallerizzo si riferisce che ogni qual volta l'abitato è stato minacciato, sempre da una frana, si è fatto ricorso a lui per poterlo salvare. La Chiesa è stata costruita con contributi volontari da parte di tutti i fedeli, soprattutto come segno di devozione per averlo salvato nel 1827, l'evento più catastrofico che si ricordi, che ha rischiato già all'epoca di trascinarlo a valle. È stata inaugurata il 23 aprile del 1860 dal Parroco Don Gaetano Melicchio. Alla solenne cerimonia era presente il vescovo di San Marco Argentano, Monsignor Parladore e fu un evento che ebbe larga eco, tanto da meritare una menzione sul Giornale del Regno delle Due Sicilie.

La frana che ha cancellato il paese la notte tra il 6 ed il 7 marzo, ha lasciato quasi intatto la parte più antica dell'abitato, quella che costituiva Cavalato, prima del cambio del suo nome. Sono rimaste la Chiesa e la Chiesa del Rosario, trasformata in asilo prima e centro sociale poi, quando il numero esiguo dei bambini ne hanno determinato la chiusura. 


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